Riforme: Il sistema scolastico rivisto dalla Moratti
E la sfida tra due ideali pedagogici
di GAETANO QUAGLIARIELLO
IL DIBATTITO suscitato dalla proposta di riforma della scuola del ministro Moratti, rivisitato con gli occhi della storia, è facilmente riconoscibile. Lo scontro non è tra "riformatori" e "conservatori", ma tra statalisti e liberali, cioè tra due ideali pedagogici differenti e, in fondo, tra opposte concezioni della libertà.
Chi, nel centro sinistra, si oppone alla riforma, ritiene che lo Stato abbia un ruolo prioritario nel plasmare l'educazione e la cultura del futuro cittadino e, per questo, debba possedere una sorta di monopolio dell'istruzione da utilizzare uniformando il più possibile la sua offerta formativa. Le peculiarità personali dei discenti debbono sì trovare spazio, ma mediate dal riferimento ad un orizzonte culturale condiviso. Quest'ideale ha un suo modello di riferimento: il sistema scolastico della Francia repubblicana dove, non a caso, gli edifici si assomigliavano tutti. Gli scolari, già prima che si vietassero veli e croci, vestivano in modo sobrio ed uniforme. E agli istitutori laici, possessori delle "tavole della legge" repubblicana, era assegnato il compito sociale di trasferirle da una generazione all'altra. I sostenitori della riforma, nel campo del centrodestra, assegnano invece la priorità nell'educazione dei giovani alle famiglie, non allo Stato, cui, di conseguenza, spetterebbe di offrire strumenti d'apprendimento e non di selezionare una propria proposta pedagogica.
Differenti progetti - seppure di privati -, qualora presentino i requisiti della serietà, possono essere posti tra loro in concorrenza. Ed i programmi scolastici, assai più che ad integrare i giovani uniformandone le diversità, dovrebbero mirare a scoprirne ed esaltarne le propensioni individuali. L'offerta delle opportunità ai meno abbienti si situa, in questo caso, in un sistema che esalta il merito e la competizione individuale. Tale modello ha storicamente trovato la sua realizzazione nel mondo anglosassone: nelle scuole inglesi e nelle università americane.
C'è da chiedersi, a questo punto, perché un dibattito così limpido nei suoi riferimenti ideali faccia fatica ad essere identificato e svolto con la dovuta coerenza. La ragione di fondo risiede in una peculiarità della nostra storia nazionale. In Italia, infatti, la diffusione dell'istruzione pubblica è stata condizionata da una duplice evenienza. Il nostro sistema scolastico, giunto nella fase della maturità, fu forgiato dalle idee di Gentile attraverso la riforma che porta il suo nome. Egli cercò di trasferire nell'attualità della vita politica il suo ideale di Stato etico e perciò educatore. Si era agli esordi del Ventennio. Quella riforma non volle solo affermare la centralità dello Stato nel campo dell'istruzione; fu pure concepita come presupposto affinché la libertà dei singoli potesse effettivamente realizzarsi in quanto libertà nello Stato e non libertà dallo Stato. Il tentativo, nella sua organicità, durò poco. Affermatosi il sistema concordatario, che dava alla Chiesa un autonomo spazio d'influenza nella formazione delle coscienze, il "totalitarismo" originario del progetto entrò in crisi. Gentile se ne accorse e, perciò, cercò di opporsi con tutte le forze al Concordato. Come Gramsci, lo considerava una capitolazione dello Stato. E non è un caso se proprio dall'approvazione dei Patti dati l'inizio del declino della sua fortuna politica. In Italia la mediazione tra esigenza di statualità e libertà di coscienza nel campo dell'istruzione può considerarsi, dunque, un prodotto inconsapevole della storia. Per questo non vi è mai stato un confronto così aspro tra scuola laica e cattolica come quello che ha interessato la Francia. Per questo l'impianto di una proposta così rigida nei suoi presupposti, come quella Gentile, è potuto sopravvivere fino ad oggi, adattandosi a stagioni ed esigenze differenti. Ma non tutto dipende dalla storia. Oggi le due opzioni di fondo delineate all'inizio non appaiono più così evidenti nelle loro implicazioni. Ed è su questa scena - all'incrocio tra passato e futuro - che andrebbe individuato il vero snodo del dibattito in corso. Non siamo più, infatti, negli anni Trenta. Alla società "rigida" e largamente analfabeta di allora si è sostituita la società "multiculturale" di oggi. I rischi dell'assolutismo statuale sono divenuti più flebili e in loro vece s'intravedono all'orizzonte i rischi del relativismo culturale: la difficoltà di cogliere i riferimenti alla propria cultura e tradizione. Paiono pericoli antitetici, ma sono assai più prossimi di quanto si pensi. Perché solo chi ha una coscienza critica dei propri valori può entrare in contatto con quella degli altri: accettare di confrontarsi, lasciarsi contaminare. Alla sfida proposta da questa novità storica possono offrirsi risposte diverse ma tutte debbono confrontarsi con l'eredità gentiliana. E’ plausibile, seguendo le orme del centrosinistra, rinnovare l'esigenza di statualità insita nella riforma Gentile, contando che solo essa possa offrire un pensiero sufficientemente strutturato? Per le ragioni fin qui esposte, è lecito dubitarne.
Un'altra possibilità è quella di recuperare lo schema formale della riforma gentiliana, caratterizzato dalla volontà - soprattutto nei primi anni - di limitare i punti di riferimento del discente (da qui la limitazione del numero degli insegnanti), adattandolo ad una accentuata flessibilità della proposta educativa, in grado di coniugare dei riferimenti fondamentali con la scoperta di attitudini individuali, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie. Questa soluzione, proprio perché non si fa carico di ricercare "un nuovo programma", ha la possibilità di conservare molto di più del precedente sistema: quanto meno nella forma e nell'architettura dei cicli. Ed è la strada che, ci sembra, stia cercando di seguire il ministro Moratti.
Il confronto tra le due opzioni non è né agevole né scontato. Esse andrebbero valutate in quanto tali e per le soluzioni concrete attraverso cui vorrebbero inverarsi. Non è concepibile, invece, che tutto sia ridotto a questioni materiali. Non è possibile che, nel considerare problemi di questa portata, si presti attenzione solo ai tempi di digestione dello studente o si contrabbandino per conclamate esigenze didattiche quelle che sono state, al più, delle "conquiste" sindacali. Non s'intende svalutare così quegli elementi che insieme determinano la qualità della vita. Ma un dibattito serio deve coniugare i problemi della quotidianità con scelte di fondo, per elaborare gli strumenti di formazione più idonei ad affrontare la complessità dei tempi. Quando è in gioco il futuro dei figli, non è troppo chiedere che su queste scelte vi sia un effettivo confronto e che il tutto non si risolva a colpi di manifestazioni di piazza o di slogan fasulli.
annarita tiezzi - 08-03-2004
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Desidero solo esprimere il mio accordo con il contenuto dell'articolo. Con questo continuo a collocarmi nell'area del centrosinistra e anche a ritenere sbagliati e dannosi i tagli alla scuola pubblica; ma condivido l'impostazione generale dell'articolo e alcune delle conclusioni cui giunge. Dovremmo dibatterne più chiaramente. |
Rick Astring - 08-03-2004
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Sante parole!: "Non è concepibile, invece, che tutto sia ridotto a questioni materiali. Non è possibile che, nel considerare problemi di questa portata, si presti attenzione solo ai tempi di digestione dello studente o si contrabbandino per conclamate esigenze didattiche quelle che sono state, al più, delle "conquiste" sindacali. "
Ho visto Ballarò venerdì 5 marzo. Il confronto della Morati con la Melandri. Quest'ultima sembrava lo facesse apposta, una vera macchina per perdere voti! Improvvisazione, slealtà nel dibattito, hanno fatto fare una pessima figura alla sinistra. Possibile che non ci si accorga che per superare il presunto neoliberismo governativo la sinistra deve decidersi ad essere essa stessa più liberale? |