Compagna
Giuseppe Aragno - 04-03-2004

Scuola e Resistenza”, numero unico del Comitato di Liberazione Nazionale della Scuola, uscì quando la sorte del fascismo stava per compiersi. Nella copia che ritrovo tra le mie carte, la data non si legge, ma il giornale fu certamente stampato alla macchia fra giugno e luglio del 1945. Quattro facciate dense di articoli: il ricordo commosso di docenti caduti lottando contro la barbarie fascista, la questione ormai attuale della “epurazione dei libri di testo fascistizzati”, l’invito a sfidare il regime morente, “macabro fantasma" che si sforza di delinquere per credersi e affermarsi vivo - “Non giurate! […] Insegnanti! Opponete un incrollabile rifiuto” - il sogno di “un’Italia risorta” in cui la scuola “sarà il fondamento, l’elemento innovatore” e l’insegnante “rivestirà una missione augusta: perché l’educazione forma l’uomo vero ed eleva il popolo; essa è l’unica condizione di libertà e di eguaglianza e di progresso”.

Quell’Italia risorta è oggi sotto processo.

Storici improvvisati versano lacrime strumentali sul “sangue dei vinti”, leader d’una presunta sinistra recitano il “mea culpa” per le foibe, la costituzione nata dalla Resistenza è calpestata e passa una riforma della scuola, per la quale davvero si potrebbero usare le parole che scrivevano nel 1945 gli insegnanti che si armavano per l’ultima battaglia decisiva contro la dittatura: “Plutocrazia, reazione e fascismo con demagogica sagacia intuirono che l’istruzione è la vera liberatrice dello spirito umano, che eleva e libera l’uomo e lo rende conscio dei doveri, dei diritti, delle sue fondamentali rivendicazioni; ma il fascismo temeva il popolo; voleva il gregge, la massa, la folla, da sfruttare, da gettare al macello. Allora comprò letterati e falsi profeti, per traviare l’opinione e tarpare le ali al libero ricreatore insegnamento, lo soggiogò, lo volle dominare e dirigere e la costituzione sociale fascista, fondata unicamente sulla potenza del denaro, offerse un mezzo sicuro all’oppressore. L’insegnante fu asservito e domato colla miseria, col bisogno diuturno; fu ridotto a un paria, dalla vita grama e stentata, che mortifica e alla fine immiserisce anche i più arditi: la professione fu angustia, conformismo e, alfine, rinuncia. E l’insegnamento fu come la classe dominante imponeva e la gioventù crebbe informata a principi falsi, a ideologie assurde e funeste come si voleva; e l’attuale catastrofe è l’ineluttabile risultato”.

Gli articoli sono tutti anonimi – era in gioco la vita – tranne l’ultimo, un “Appello alle maestre” in cui Luisa, maestra a sua volta e partigiana, si rivolge alle compagne di lavoro per incitarle alla lotta: “Uniamoci, ribelliamoci, seguiamo l’esempio delle colleghe più ardite, aiutiamole nella loro e nostra lotta, altrimenti saremo indegne di partecipare alla vita della futura scuola dell’Italia libera”.
Non saprò mai chi fosse Luisa, ma ci giurerei: tornerebbe a scriverlo oggi questo suo coraggioso appello e muterebbe solo poche parole. “Per difendere -scriverebbe - per difendere il futuro dell’Italia libera”. E occorrerebbe ascoltarla questa nostra dimenticata e coraggiosa collega. Questa riforma della scuola chiama alla resistenza.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf