La memoria è mia, è nostra
Giuseppe Aragno - 17-02-2004
Lo segnalo, perché mi pare appassionato, forte e... di sinistra. La sinistra che non c'è più.

Da http://www.exju.org

La "memoria condivisa" di cui si ciancia tanto in questi giorni ["foibe", definizione magica che di tanto in tanto riapre il sesamo del revanscismo] per cominciare dovrebbe passare per il vocabolario. perché io, prima di condividere la mia memoria con qualcuno, voglio esser certa che ci sia un'intesa semantica sui termini che adopreremo per celebrarla. Storace, il terminator-governator della regione Lazio, ha dichiarato di attendere dal parlamento "una decisione coerente che renda giustizia all'olocausto italiano (di Istria e Dalmazia)". Per cominciare, Storace non specifica che la coerenza che va cercando è coerente solo con il suo revisionismo: quello che vuole criminalizzare la resistenza; è una coerenza funzionale ad un'incoerenza, ché il parlamento a cui domanda una decisione è proprio il prodotto di quella resistenza che Storace vorrebbe affossare. Vedete un po' voi se è il caso che si sproloqui di coerenza. quindi, il termine "olocausto" che il governator sceglie: sebbene la computisteria dei morti non sia mai particolarmente decorosa, Storace dovrebbe sapere che il termine 'olocausto' non è a disposizione di chiunque voglia farne un grimaldello per scassinare le (fragili) coscienze degli ascoltatori.
Olocausto, ha detto? a meno che Storace non voglia rifarsi al significato primordiale (nelle religioni del mondo antico, sacrificio cruento in cui la vittima veniva bruciata completamente sull'altare) e debba quindi considerarsi un novello fascio-zoroastriano, la verità è che il lemma olocausto è per diritto storico inteso come il genocidio perpetrato contro gli ebrei, i comunisti, gli antifascisti, gli zingari e gli omosessuali durante la seconda guerra mondiale. genocidio perpetrato dai progenitori culturali di Storace. Olocausto non è vocabolo per tutte le stagioni: se per Storace un certo numero (5000? come al solito, il balletto delle cifre) di "infoibati" valgono un genocidio e una shoah, Storace ha smarrito l'unità di misura o, come più probabile, non ne ha mai avuta una. Intanto Fini, che prima riga dritto a Gerusalemme dove domanda perdono, e poi torna a casa col suo perenne grugnetto da camicia nera, dice che "non esistono tragedie di serie A e di serie B", e gli fanno pure eco i diessini, è la frase più insulsa che un politico possa pronunciare: l'apoteosi della demagogia, la degenerazione del pensiero in nullità. Dire che "non esistono tragedie di serie A e di serie B", guardate, è come dire che le idee giuste e quelle sbagliate si equivalgono. Esistono eccome, tragedie di serie A e di serie B, e ancor di più, esistono tragedie e non-tragedie: la resistenza causò dei morti che furono necessari alla liberazione, alla costituzione e alla democrazia. Per comprendere le dimensioni e il peso storico di ciascuna tragedia contano i numeri, i fatti, e soprattutto contano le motivazioni, contano le idee. L'assassinio d'un dittatore e l'assassinio d'un ciclista - pur avendo in comune la morte d'un uomo - non hanno lo stesso valore ideologico né lo stesso peso storico. Questo "nuovo" pensiero, che vorrebbe tutte le "tragedie" essere di serie A, in realtà vorrebbe pigiare il tasto reset per cancellare i risultati della storia. Se tutte le battaglie sono uguali, nessuno può più avere torto. La logica che vorrebbe "appaiare" tutte le morti, tutte le guerriglie, tutte le vittime e tutte le rivoluzioni è la logica del pari e patta: far diventare la vittima una vittima assoluta e generica significa assolvere il colpevole e togliere al fruitore della storia il diritto a una coscienza critica. State attenti alla 'memoria condivisa': esiste una memoria a cui hanno diritto solo coloro i quali credono e hanno creduto nelle idee che diedero vita a quella memoria, che le permisero di sopravvivere. Il 25 aprile non è la festa di tutti gli italiani, né mai vorrei che lo fosse. E' la festa di quegli italiani antifascisti che lottarono, con le armi o con le parole, per la liberazione, e degli italiani che hanno raccolto il loro testimone, la loro bandiera: il loro pensiero, signori miei, ed il pensiero non è un optional. In mente, quegli uomini resistenti avevano e hanno l'internazionalismo, i diritti dei lavoratori, la pari dignità delle donne, la libertà e l'uguaglianza, la fine della guerra. Io non metto a disposizione la mia memoria, la memoria di Primo Levi, di Elio Vittorini, di Cesare Pavese e dei fratelli Cervi con dei fessi che da sempre si battono per la conservazione di valori antitetici e incompatibili, e men che meno la voglio condividere con i nipotini degli assassini che mandarono milioni di persone a morte nel nome di "dio, patria e famiglia". Di quegli individui - che ancora si aggirano, spettri per l'Europa - io ho ribrezzo, scelgo di averne ribrezzo; e io non condivido pane, vino e la mia reminiscenza con chiunque passi per la strada. Chi di voi sa di cosa parlo ha in comune con me quella memoria, e lo incontro ogni 25 aprile a festeggiare la bellezza di un'idea che, mi dispiace per Storace, non è mai morta.
Gli altri, vadano pure questuando una memoria a cui non hanno alcun diritto. Ecco, questa faccenda sulle "foibe" è a metà strada fra il solito revisionismo ottuso e la povertà morale di chi, privo di una classe intellettuale e privo di ideali che non siano la cieca obbedienza ad un padrone e ad un dio coglione, deve ridursi a implorare una ricorrenza paritaria per sdoganare i nuovi imperi come se fossero "legittimi". La memoria di Storace sono i forni di Auschwitz, il Mein Kampf e la Bibbia. Bisogna saperla scegliere, una memoria, prima di poterne alzare gli stendardi. Si rassegni.


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