breve di cronaca
Pubblica, cioè di tutti
Lo scontro sociale si sta spostando sulla scuola. L’accanimento ideologico ha scelto la riforma Moratti come bersaglio per attaccare il governo, e sta creando un clima in cui slogan e menzogne prendono il posto del confronto anche teso ma leale di cui il Paese – famiglie, studenti, insegnanti - avrebbe bisogno. Vorremmo invece provare a ragionare sul merito delle questioni.
Il male della scuola italiana è da sempre lo statalismo. Ciononostante negli ultimi decenni insegnanti e dirigenti sono riusciti, anche lottando contro le rigidità del sistema, a costruire forme di scuola innovative. La riforma Moratti fa un deciso passo avanti.
Applica infatti al sistema dell’istruzione il principio della sussidiarietà: lo Stato definisce obiettivi e norme generali, e riconosce che il compito di disegnare i percorsi formativi, flessibili e diversificati, compete alla capacità di progettazione delle scuole autonome, alla professionalità degli insegnanti e alla libertà di scelta delle famiglie. Disegna così un quadro all’interno del quale diverse ipotesi educative possono trovare ciascuna il proprio spazio.
Perché le intenzioni non siano però vanificate dalle rigidità che ancora ingessano il sistema saranno decisive le prossime scelte su alcuni punti chiave:

La formazione dei futuri insegnanti
La preparazione universitaria deve privilegiare decisamente la conoscenza delle materie che si insegneranno rispetto agli aspetti psicologici e didattici; la formazione e la verifica della capacità di insegnare sia affidata al tirocinio, mediante forme di collaborazione fra università, scuole e altre agenzie formative

Il ciclo secondario (licei e istruzione e formazione professionale)
È il punto più innovativo della riforma, perché rivaluta la formazione professionale come ambito educativo e culturalmente significativo. Deve avere grande flessibilità, così che le scuole possano progettare percorsi realmente aderenti alle necessità di ogni ragazzo

L’autonomia degli istituti
Va incrementata, a partire dalle scuole che hanno un progetto educativo qualificato, nel rispetto del pluralismo delle ipotesi culturali.
Occorre per questo ridefinire le competenze degli organi di autogoverno, oggi di fatto indebitamente sostituiti dalle rappresentanze sindacali d’istituto, e ampliarne le responsabilità nella gestione delle risorse umane e materiali

La professionalità degli insegnanti
Sono professionisti e non impiegati. Occorrono perciò un nuovo stato giuridico e un contratto separato da quello dell’altro personale della scuola, che valorizzi i risultati dell’azione formativa e sia adeguato alle funzioni diversificate che la nuova scuola richiede

Le scuole paritarie
Sono un fattore determinante per un’offerta formativa realmente qualificata e pluralista; occorre perciò dare fondamenti normativi stabili al riconoscimento anche economico della loro funzione pubblica, privilegiando l’erogazione di contributi alle famiglie

Compagnia delle Opere
febbraio 2004
DIESSE – Didattica e innovazione scolastica


Segnalato da Claudia Fanti
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 Claudia Fanti    - 18-02-2004
ALCUNE BREVI E INIZIALI CONSIDERAZIONI SU …

Pubblica, cioè di tutti -Compagnia delle Opere - 16-02-2004


"Lo scontro sociale si sta spostando sulla scuola".


Molte/i di noi maestre/i e genitori vorrebbero sapere chi aveva chiesto lo scontro sociale sulla scuola: ci sembra che a volerlo non siano state né le famiglie né la categoria dei docenti di infanzia, elementari e medie, la quale da tempo immemorabile viene definita moderata e restia alla “ribellione”. Perché ancora una volta chi ha le redini del Paese non si pone domande realistiche sui motivi che spingono le persone a opporsi? Lo sa quale scompiglio e quale sbandamento sta arrecando agli equilibri delicatissimi sui quali si basano decine e decine di relazioni interpersonali le quali fanno funzionare l’organizzazione di ogni singola scuola? Chi, se non chi ha legiferato, ha portato il conflitto, la tensione e l’ansia nelle aule e nelle case?


"L’accanimento ideologico ha scelto la riforma Moratti come bersaglio per attaccare il governo"

Ogni volta che parte di cittadine/i si oppone alle decisioni di chi è al governo, si comincia a parlare di ideologia: questo modo di reagire al dissenso, chiamandolo ideologico per sminuirne il valore, è ormai un’abitudine, tuttavia a quali benefici porta? E’ mai possibile che non si possa argomentare in un altro modo, magari spiegando le ragioni delle scelte che hanno portato a limitare l’autonomia delle scuole costringendole al tutor, alle tre ore opzionali e alle sei, all’aumento di materie in meno ore, ai dettagliatissimi obiettivi specifici, a tante altre problematiche? Siamo ancora al punto di “criminalizzare” il dissenso e di vedere “strumentalizzazioni” dappertutto?


"e sta creando un clima in cui slogan e menzogne"

Ho letto e riletto quanto contenuto nel collegamento “slogan e menzogne”, ma non ho capito a quale “scuola” ci si riferisca. Può darsi che esistano scuole “uguali” in cui tutto è “uguale”, ma ciò non è dovuto all’attuale organizzazione così come nulla è mai dovuto soltanto all’organizzazione, Moratti o non Moratti. L’ideologia non c’entra, non c’entra proprio per nulla. Io penso che ci sia un’autonomia delle scuole che andrebbe senza dubbio potenziata affinché famiglie e Collegi Docenti potessero liberamente darsi orari e regole condivise. Sicuramente sì, ma non sarà mai con le ingegnerie imposte dall’alto che si farà una buona scuola condivisa e amata. Non sarà imponendo orari opzionali e tutor, programmi fatti per obiettivi minuziosi che si solleciteranno gli entusiasmi. Non sarà imponendosi a tutti i costi che si otterrà l’attenzione costruttiva dei docenti e delle famiglie. Sicuramente non sarà così, né ora né mai. Anche il centrosinistra ha toccato con mano cosa significhi non tener conto delle opinioni generali e anche il centrosinistra, proprio al suo interno, ha avuto lotte da sostenere nel settore scuola, e non mi riferisco nel modo più assoluto al “concorsone”, perché sarebbe troppo facile, mi riferisco invece ad alcuni contenuti della Legge 30 che qui sarebbe lungo e ormai inutile ricordare, anche perché ben noti a chi della Legge era sostenitore accanito anche contro gli amici del centrosinistra e della sinistra che trovavano pecche e suggerivano accomodamenti, inascoltati. La verità è che proprio per il fatto che la scuola è di tutti sarebbe ora di imparare a coinvolgerla tutta insieme con l’intera società civile nella discussione sull’opportunità di modifiche all’organizzazione scolastica e ai programmi, su obbligo e strategie per il postobbligo, durata degli studi e anticipo, ecc…


"prendono il posto del confronto anche teso ma leale di cui il Paese – famiglie, studenti, insegnanti - avrebbe bisogno. Vorremmo invece provare a ragionare sul merito delle questioni."

E' proprio sul merito che si vorrebbe discutere: di opportunità o meno di alcune scelte imposte alle scuole autonome per mezzo di decreti e circolari.


"Il male della scuola italiana è da sempre lo statalismo"

Pare anche ora.


"Ciononostante negli ultimi decenni insegnanti e dirigenti sono riusciti, anche lottando contro le rigidità del sistema, a costruire forme di scuola innovative"

Allora lasciamo che tali scuole continuino a farlo nel rispetto della loro autonomia!


"La riforma Moratti fa un deciso passo avanti.
Applica infatti al sistema dell’istruzione il principio della sussidiarietà: lo Stato definisce obiettivi e norme generali"


Non si è limitato a questo.


"e riconosce che il compito di disegnare i percorsi formativi, flessibili e diversificati, compete alla capacità di progettazione delle scuole autonome"

Allora perché ha dettato limiti di orario e organizzazione e imposto il tutor?


"alla professionalità degli insegnanti e alla libertà di scelta delle famiglie"

Si ritiene veramente auspicabile che siano le famiglie a decidere gli anticipi o a scegliere materie opzionali correndo il rischio di fatto di frammentare la proposta educativo-didattica rivolta a chi è in tenera età, quando le” vocazioni” sono lungi dall’essere definite?


"di apprendimento/insegnamento. Disegna così un quadro all’interno del quale diverse ipotesi educative possono trovare ciascuna il proprio spazio"

Limitate da paletti su orari e tutor che, già ora soltanto in fase di studio per il prossimo anno, ci stanno facendo perdere letteralmente la testa per elaborare soluzioni possibili e didatticamente funzionali affinché ogni bambina/o possa avere comunque in futuro a disposizione il massimo delle professionalità dei docenti della scuola, affinché non si ritrovi con "Uno spezzatino di attimi" con il rischio di perdere trasversalità e multidisciplinarietà auspicate a parole dalla stessa riforma, con il rischio di perdere l’unità della classe in cui molti di noi credono per aver sperimentato percorsi didattici di successo utilizzando, insieme con i colleghi, la classe e i suoi componenti come unità di combattimento contro il disagio e per il potenziamento delle qualità di ogni singolo.


"Perché le intenzioni non siano però vanificate dalle rigidità che ancora ingessano il sistema saranno decisive le prossime scelte su alcuni punti chiave:
• La formazione dei futuri insegnanti
La preparazione universitaria deve privilegiare decisamente la conoscenza delle materie che si insegneranno rispetto agli aspetti psicologici e didattici"


Non sarebbe migliore un sistema che prevedesse il potenziamento di ambedue gli aspetti? Perché questo timore di psicologia e didattica che, tra l’altro, in alcuni settori della scuola non sembrano poi così dominanti?


" la formazione e la verifica della capacità di insegnare sia affidata al tirocinio, mediante forme di collaborazione fra università, scuole e altre agenzie formative
• Il ciclo secondario (licei e istruzione e formazione professionale)
È il punto più innovativo della riforma, perché rivaluta la formazione professionale come ambito educativo e culturalmente significativo. Deve avere grande flessibilità, così che le scuole possano progettare percorsi realmente aderenti alle necessità di ogni ragazzo"


“Necessità” che cosa significa? Chi potrebbe mai essere sicuro che un certo tipo di “necessità” non sia stata indotta da una scuola di base affrettata, anticipata, selettiva? E’ nella scuola di base e proprio sulla didattica del recupero e superamento delle difficoltà nell’età dell’infanzia e della preadolescenza che ci si dovrebbe interrogare per investire in formazione e risorse, a cominciare dagli ambienti di apprendimento, dal numero di alunne/i per classe, dalla preparazione dei giovani insegnanti e dalla ricerca pedagogica in servizio… si dovrebbe poi cominciare a ragionare su come garantire tempi distesi e idonei per l’insegnamento/apprendimento.


" • L’autonomia degli istituti
Va incrementata, a partire dalle scuole che hanno un progetto educativo qualificato, nel rispetto del pluralismo delle ipotesi culturali.
Occorre per questo ridefinire le competenze degli organi di autogoverno, oggi di fatto indebitamente sostituiti dalle rappresentanze sindacali d’istituto, e ampliarne le responsabilità nella gestione delle risorse umane e materiali
• La professionalità degli insegnanti
Sono professionisti e non impiegati"


Chi ci sta trattando come non professionisti se non coloro i quali decidono per noi organizzazione, orari, gerarchie, obiettivi specifici didattici dettagliatissimi, materie da “tagliare”, da aggiungere, nuovi equilibri interpersonali e via dicendo.


"Occorrono perciò un nuovo stato giuridico e un contratto separato da quello dell’altro personale della scuola, che valorizzi i risultati dell’azione formativa e sia adeguato alle funzioni diversificate che la nuova scuola richiede"

Qui si dovrebbe riaprire tutto il discorso su carriera e differenziazione all’interno della categoria, ma in questo contesto non mi pare il caso ritornare. Invece, altrove, sarebbe veramente opportuno cominciare seriamente a confrontarsi e a riflettere su ciò che ha realmente valore e non nelle professioni che presuppongono relazioni interpersonali ed equilibri delicati da proteggere, su ciò che la nostra professione sia e per raggiungere quali mete debba impostare il proprio lavoro un docente.


" • Le scuole paritarie
Sono un fattore determinante per un’offerta formativa realmente qualificata e pluralista; occorre perciò dare fondamenti normativi stabili al riconoscimento anche economico della loro funzione pubblica, privilegiando l’erogazione di contributi alle famiglie.
Compagnia delle Opere
febbraio 2004
DIESSE – Didattica e innovazione scolastica"


 claudia fanti    - 18-02-2004
Pensiero in coda agli altri.

Ho tralasciato volutamente di commentare l'ultima parte relativa alle scuole paritarie per riflettere un'ennesima volta sull'argomento senza scrivere d'impulso. Ora io mi chiedo se non converrebbe, anche e soprattutto ai sostenitori dei finanziamenti alle famiglie delle paritarie, il pretendere decorose risorse economiche per la scuola statale e per le famiglie che ne usufruiscono,così da innescare una equilibrata e positiva "competizione" tra statale e privato. Come si può, in buona fede, conoscendo nel quotidiano, i gravi problemi di reperimento di fondi della statale, non lottare pima soprattutto per essa, la quale ospita, in edifici ormai cadenti, la stragrande maggioranza dei giovani?
Io non penso che esista alcuna possibilità di pluralismo e competizione reale se non si dà forza alla possibilità di una accoglienza decorosa a tutti, da parte della statale. La chiamo statale proprio per rimarcare la connotazione di tale scuola che dovrebbe potersi offrire come regalo a ogni giovane cittadino dello stato, regalo ricco sia nel contenuto sia nella confezione.
Claudia Fanti
18 febbraio 2004

 Giuseppe Aragno    - 18-02-2004
L'insieme delle considerazioni di Claudia Fanti mi sembra un modello di equilibrio tra passione, ragione e competenza. Ne condivido la forma e lo spirito.
La considerazione finale sulle "paritarie", che non a caso viene dopo una riflessione sofferta, non è altrettanto lucida: se ne comprendono agevolmente gli intenti, non se ne può, a mio modo di vedere, accettare la sostanza. Il finanziamento statale alle scuole private, o alle famiglie che le scelgono per i propri figli, è incostituzionale, Claudia.
Esiste, questo è vero, un problema che riguarda la scuola dell'infanzia, che non ha posti a sufficienza. Ma è una questione di "risarcimento", non di finanziamento d'una scelta. Risarcimento dovuto ai genitori costretti a rivolgersi al privato.
Per il resto no. Non è legale.

 claudia fanti    - 18-02-2004
Grazie veramente per lo stimolo che viene da Giuseppe Aragno di cui ho letto e leggo con stima e attenzione tanti scritti.

Credo anch'io che il finanziamento non sia costituzionale, ma qualche dubbio, a una persona qualunque come me, viene, dopo aver sentito, sia nel passato sia ora "in giro", e non soltanto a destra, tante argomentazioni, se non proprio a favore, possibiliste.

Io ho tentato di esprimere, nelle ultime righe, il mio sconcerto procurato dall'insistenza con cui una certa area del Paese chiede finanziamenti, senza particolare "occhio" di riguardo per la scuola statale. Il mio sconcerto aumenta quando chi insiste per tali finanziamenti lo fa in nome della qualità della scuola di tutti, fa pronunciamenti di adesione totale al nuovo che avanza senza interessarsi di alcuna argomentazione contraria, infine si pone in una posizione di distacco, quasi sarcastico, etichettando, chiunque esprima dissenso, come "disonesto" avversario sovvertitore.

 Grazia Perrone    - 19-02-2004
Credo che questo documento formulato dalla Compagnie delle Opere debba indurre tutti a riflettere sul significato da dare al concetto sociologico - e, non a caso, costituzionamente rilevante, e giuridicamente tutelato - della libertà di insegnamento e della laicità della scuola statale (e ribadisco statale ... non pubblica).

Perché le "paritarie" di berlingueriana memoria sono "pubbliche" ... nonchè "agevolate" (e finanziate!) dallo Stato.

La liberta' di insegnamento - lungi dall'essere considerata un "valore aggiunto" della scuola statale che si contrappone all'unanime conformismo della scuola privata - e' sempre piu' esposta al rischio di essere soffocata o imbrigliata da presidi invadenti che considerano da un lato il "proprio" istituto come il proprio feudo; dall'altro il genitore/utente/cliente come unico ... "padrone".

Per non parlare, poi, "dell'invadenza" dei politici (alla Storace/Garagnani ... per intenderci!), delle famiglie, della Chiesa e ... della Compagnia delle Opere!

Per dirla con Guido Calogero (...)"Di fatto, la battaglia per il laicismo e per il pluralismo culturale non è altro che la battaglia per una scuola più intelligente contro una scuola meno intelligente. E’ proprio per ciò che essa si presenta da noi in primo luogo come difesa della scuola di Stato – cioè della scuola che dovendo essere assicurata dallo Stato a tutti i cittadini, quale che sia il loro orientamento religioso, ideologico o politico deve restare indipendente da ogni presupposto di tal natura – nei confronti della scuola privata, la quale, essendo quasi sempre ornata da gruppi caratterizzati confessionalmente, si appella a famiglie e forma scolaresche, sempre educate in modo più o meno unilaterale.

La fondamentale legittimità di questo aspetto della difesa della scuola laica consiste nel fatto che un’educazione condotta, comunque, in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi, o discussi in misura insufficiente, crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù ed alleni continuamente i giovani all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea e fede, propria ed altrui. In una situazione come la nostra, il pericolo della delusione di un tipo di educazione conformista, in cui i docenti cerchino soprattutto di formare giovani che la pensino come loro, coincide ovviamente, in larga misura, con quella della diffusione della scuola privata, la cui organizzazione finanziaria e strutturale è possibile quasi soltanto a gruppi cattolici. Di qui la necessità di dividere vigorosamente contro di essa la scuola di Stato, la quale nonostante tutto continua ad offrire una maggiore garanzia di non confessionalità, di qui la necessità di non accedere alla richiesta della sovvenzione statale a scuole private, salvo alla condizione (di accertamento pressoché impossibile oggi in Italia) che esse non fossero né cattoliche né comuniste né comunque dominate da un unitario orientamento dottrinale (...)" (cfr. Guido Calogero - Il Mondo - 6 dicembre 1955).


Non e' male, pertanto, in questo contesto di "dialettica urlata" (e poco meditata) diffondere alcuni concetti fondamentali, che traggo da un'enciclopedia ...

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Libertà d'insegnamento

Diritto degli insegnanti e dei ricercatori, in particolare delle scuole superiori e delle università, di effettuare studi nei propri settori d'interesse e di esprimere le proprie opinioni senza timore di censura o di
licenziamento; in senso traslato, l'espressione indica la libertà dell'insegnamento da condizionamenti politici o religiosi. Tale diritto si basa sulla convinzione che una libera ricerca sia alla base dello sviluppo
della cultura e della pratica educativa. Attualmente questo diritto è rispettato nei paesi in cui l'educazione non è concepita come semplice mezzo per imporre delle opinioni, ma come strumento per l'ampliamento delle conoscenze già esistenti. Il concetto di libertà accademica presuppone anche che l'insegnante sia consapevole degli standard di professionalità
richiesti e che basi la propria attività sul concetto di integrità professionale e non su vincoli esterni, di carattere politico o religioso.

Aspetti storici

Il concetto e la pratica della libertà accademica, così come vengono riconosciuti attualmente nei paesi occidentali, nascono all'incirca nel XVII secolo. Anche se la libertà accademica era concessa in alcune
università nel Medioevo, a quell'epoca il termine rimandava al godimento di certi diritti giuridici quali, ad esempio, la protezione da parte delle autorità civili e religiose per alcune associazioni che si costituivano in
uno studium generale o universitas (vedi Università).
Prima del XVII secolo, le attività intellettuali all'interno delle università erano limitate da considerazioni di ordine teologico e le opinioni che dissentivano dalle dottrine religiose venivano condannate in quanto eretiche. Alla fine del XVII secolo, le opere di filosofi quali gli inglesi John Locke e Thomas Hobbes contribuirono ad aprire la strada alla libertà accademica in senso moderno. I loro scritti dimostravano l'esigenza di un approccio incondizionato alla ricerca scientifica, libero da
preconcetti di ogni tipo. Né Locke né Hobbes, tuttavia, difesero una libertà accademica incondizionata. Le università tedesche di Halle e Gottinga, fondate rispettivamente nel 1694 e nel 1737, furono le prime in
Europa a offrire una completa libertà accademica fin dalla loro fondazione. L'università di Berlino, fondata nel 1810, introdusse il principio noto come Lehr - und Lernfreiheit ("libertà di insegnamento e di studio") e
contribuì a rafforzare la posizione di preminenza della Germania nei confronti della libertà accademica nel XIX secolo. Nel XVIII e XIX secolo, le università dell'Europa occidentale, del Regno Unito e degli Stati Uniti d'America acquisirono una sempre più ampia
libertà accademica, con la progressiva accettazione del metodo sperimentale per le scienze e la parallela diminuzione del controllo da parte delle autorità religiose. Nel Regno Unito, tuttavia, l'obbligo di studio dei testi religiosi, la fellowship e le graduatorie del personale insegnante non furono aboliti fino alla fine del XIX secolo.

Violazioni

Durante la prima metà del XX secolo, la libertà accademica fu riconosciuta nella maggior parte dei paesi occidentali. Violazioni a questo diritto si
verificarono con l'avvento di governi basati sul totalitarismo, principalmente in Germania, Italia e Unione Sovietica. In Italia, gli insegnanti furono costretti ad appoggiare il regime fascista. Imposizioni analoghe, che arrivarono fino all'obbligo dell'insegnamento di teorie sulla supremazia razziale, furono effettuate nelle università tedesche sotto il
nazionalsocialismo. In Unione Sovietica, la libertà accademica fu limitata allo scopo di rendere l'istruzione e la ricerca in ogni settore conformi ai
principi del comunismo. Violazioni del principio della libertà accademica furono perpetrate anche negli Stati Uniti all'inizio del XX secolo. Un esempio importante fu il "processo alle intenzioni" che si tenne a Dayton, nel Tennessee, nel 1925, in cui un insegnante di scuola superiore fu accusato e condannato per aver
violato una legge dello stato che impediva l'insegnamento della teoria
dell'evoluzione nelle scuole pubbliche. Questa legislazione fondamentalista fu abrogata nel 1967.

Problemi e tendenze attuali

Gli anni Sessanta e Settanta sono stati segnati da violente proteste nelle scuole, in particolare negli Stati Uniti, contro l'intervento nella guerra del Vietnam. In alcuni casi, i professori sono stati licenziati o arrestati
per avere protestato contro la partecipazione statunitense al conflitto. Questi disordini raggiunsero un tragico apice nel 1970, con l'uccisione di
alcuni studenti durante una dimostrazione in un campus. Anche in Francia, in questo periodo, ebbero luogo numerose proteste di studenti. A lungo
andare, tali dimostrazioni portarono al riconoscimento della legittimità delle richieste degli studenti di una qualità più elevata dell'istruzione e consentirono un miglioramento del curriculum accademico, la possibilità da parte degli studenti di essere propositivi in tal senso e, da parte degli insegnanti, di esercitare la propria funzione educativa in completa libertà.
Minacce alla violazione della libertà accademica sono proseguite anche negli anni Ottanta. In molte nazioni (tra le quali la Repubblica Sudafricana, l'Unione Sovietica e la Polonia), gli insegnanti in disaccordo
con le posizioni governative venivano licenziati, attaccati o anche imprigionati. A Pechino, in Cina, nel 1989, il mondo fu spettatore delle manifestazioni studentesche di Tienanmen condotte dagli studenti a favore della democrazia nelle scuole, che culminò con la morte di centinaia di persone e portò alla condanna internazionale del governo cinese.



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