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Computer in classe?
Noemi Lovei - 02-02-2004

In generale si pensa che il computer sia uno stimolo per i bambini per allargare le proprie conoscenze scoprendo e mettendo in relazione svariate informazioni e, soprattutto per costruire percorsi personali di apprendimento. Ed è vero!
Da leggere a proposito: “Il bambino nella rete” di Giovanni Fiorentino (Marsilio, 2000):

(Il computer) “Spazio dove il bambino costruisce attivamente, avvia una produzione testuale che è in relazione con suoni e immagini, anima una superficie fatta di parole, colori, animazioni. La logica che muove il pensiero non è più esclusivamente lineare, la mente esplora, poi interpreta e costruisce per associazioni, legami, collegamenti, rimandi.”

L’esperienza dice, però, che il computer (usato con l’intento di raccogliere informazioni e di produrre testi) costituisce uno spazio aperto più per ragazzi che bambini e comunque per coloro che sono già ben equipaggiati, insomma per gli “iniziati”, che in fondo non sono molti.

Poi, si pensa ancora che il computer vincendo le distanze, la “timidezza” e altre paure, aiuti a comunicare. È un’opinione estremamente generica (comunicare con chi e riguardo a che cosa?), ma comunque, i fatti dimostrano che si tratta di un’altra verità. Anzi!…

“Una fondazione statunitense, la Starbright Foundation, /…/ usa la rete e le potenzialità multimediali per mettere in comunicazione bambini gravemente ammalati. Una rete di telecomunicazioni collega cinque ospedali statunitensi e mette in contatto i piccoli ricoverati. Loro usano un personal computer, una telecamera e tastiere speciali che li aiutano a superare eventuali handicap. La scena, l’ambiente è un campo gioco virtuale tridimensionale dove i bambini possono vedersi, parlare, giocare assieme, collaborare, cooperare, lavorare a progetti comuni anche se da ospedali diversi.”

Come si sa, esperienze simili esistono anche in Italia. La comunicazione a distanza rompe l’isolamento dei malati, li connette con la vita, la creazione di storie e disegni comuni, il dialogo sono terapeutici. (Alcuni progetti italiani sono menzionati sempre nel libro di Giovanni Fiorentino.)

Si pensa anche che il computer sia utile per avvicinare i bambini (quelli piccoli, s’intende) alla lettura e alla scrittura. Sarà vero anche questo? E se sì, in quali termini?



Non mi pare che i bambini, anche quelli di 8 - 10 anni, si entusiasmino più di tanto dovendo leggere una storia sullo schermo o scrivere qualcosa, cercando e ricercando all’infinito i tasti giusti.
Conosco invece, tanti bambini che divorano fogli e pastelli, consumano pagine di libri e riviste (perché ne hanno parecchie a disposizione, altrimenti come si fa?) e ancora cartoncini, forbici e colla… e non smettono di ri-raccontare le stesse storie, ri-disegnare gli stessi personaggi, e di inventare e reinventare scene nuove.
Questi bambini sono stimolati da molti, ma poco sofisticati strumenti, e da una cosa fondamentale: dalla presenza di un adulto disposto ad aiutarli nelle loro frenetiche attività e a guardare ed ascoltare il frutto della loro fantasia e del loro impegno.
E il computer? Come strumento per inventare, leggere, scrivere e disegnare, rispetto a carta e penna, risulta molto meno potente.

Detto questo, avendo un computer in classe (e da Roma in giù anche sufficiente corrente elettrica per metterlo in funzione) sarebbe più opportuno considerarlo per quello che è: il mezzo di comunicazione per eccellenza della nostra epoca, una lettera e un telefono insieme, capace però, di raggiungere, contemporaneamente più destinatari.

Facciamo un esempio e prendiamo 6 gruppi di bambini con i loro insegnanti, in sei parti dell’Italia o del mondo. Ognuno con il proprio “pc” è in grado di parlare con gli altri, scrivere e leggere all’interno di uno spazio condiviso. Invece della solita relazione duale (per questo basterebbe adoperare la posta elettronica), ognuno può sperimentare una relazione plurale.

Quello che potrebbe nascere è un giornale “interattivo in movimento”, un “Fuoriregistro” fatto da bambini. Una conversazione tra più gruppi che si aggiorna sempre e in cui altri possono, in qualsiasi momento, entrare (cosa impossibile quando gli interlocutori si scambiano degli e-mail solamente).

Continuando l’esempio: un gruppo di bambini ha un’idea da condividere con gli altri e nell’”ora di computer” (mettiamo ogni lunedì) manda il suo messaggio. Il lunedì seguente troverà 5 opinioni con cui confrontarsi. Alcuni richiederanno anche una risposta. Gli altri gruppi, a loro volta faranno la stessa cosa, e col tempo gli argomenti cambieranno, naturalmente come cambiano gli interessi.
Si potranno leggere solo i messaggi delle ultime settimane. Non si potranno leggere gli interventi precedenti, ma non fa niente. Conta essere collegati, conta la conversazione che è sempre viva e che potrebbe stimolare la voglia di pensare, leggere e scrivere per farsi capire. Sarebbe proprio questo l’educazione al pensare, al conversare, al leggere e allo scrivere.
Non è importante il lavoro finito, il testo ben fatto o disegnato, che tanto, è spesso opera delle insegnanti, conta invece il tempo speso insieme – bambini e adulti che li possono guidare –, l’atto stesso della comunicazione e dell’essere collegati. Contano le informazioni che stimolano il cervello durante quell’ora di relazioni, di scambio di idee, le strategie messe in atto da adulti e bambini per dire la loro e dirla bene, gli sforzi per esprimersi e per comprendere il modo di esprimersi degli altri.

Non servono lunghe presentazioni, le persone si conoscono strada facendo.
Non servono piccoli “saggi”, perché l’ora di computer non basterebbe per gli altri a decifrarli.
Se qualcuno vuole far leggere un testo di più grande respiro, lo può fare in un apposito spazio (chiamato magari “Archivio”, in Fuoriregistro sono chiamati “Speciali”).
Perché, in fondo, uno dei fini più pratici di un personal computer sembra proprio questo: funzionare da gigantesco archivio che offre molto agli addetti, ma in sé non stimola ad alcunché.



“In quasi tutte le scuole i ragazzi sono obbligati ad apprendere le conoscenze di qualcun altro. I bambini, come gli adulti, hanno un bisogno psicologico di affrancamento da ciò e apprendono meglio quando possono porsi domande, cercare risposte in molte direzioni, considerare diverse prospettive, scambiare pareri con altri e aggiungere le proprie scoperte alle nozioni esistenti. “ (Il Bambino nella rete, cit.)

Collegarsi a scuola permette di costruire esperienza personale e di gruppo e permette la costruzione collaborativa del sapere. In definitiva è proprio questa la più originale novità del personal computer, che oltre ad essere un mezzo audiovisivo come la televisione, una fonte e contenitore di cultura come il libro stampato, è un mezzo di comunicazione interattivo. È riduttivo usarlo al posto di carta e penna o come un programma televisivo ideato per bambini, o una biblioteca per fare ricerche. Perché… citando sempre, per concludere, l’autore de “Il bambino nella rete”:

“Il linguaggio e la cultura digitale sintetizzano sullo schermo linguaggi alfabetici, acustici e iconici, restituendo complessità e multidimensionalità all’atto del comunicare.”

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