Bella cosa. Diserti!
Giuseppe Aragno - 28-01-2004

Me li ritrovo attorno per un’ultima volta. Hanno gli occhi vivissimi e l’andatura svelta dei ragazzi che con te stanno bene.
E’ una generazione di alunni che non vedrò invecchiare, mi dico mentre consegno l’ultimo certificato di servizio. In un fascicolo pieno di carte ingiallite, uno sull’altro, con i timbri e le firme, stamattina ho visto i miei anni di servizio e li ho salutati: me ne vado. Ad un’amica che mi rimproverava – bella cosa, diserti! – non ho avuto il coraggio di replicare. Ho fatto cenno di sì, con una piega amara, poi ho sorriso: non so, non so dirti.
Diserto? Può darsi. Nel clima di battaglia che si respira sembra proprio così: diserto. Ma ci sarà battaglia? Disperata, temo. E temerlo serve. Non c’è altro modo per sperare di vincerla: sapere che se ci sarà, sarà disperata.
Se fossero a confronto due filosofie della scuola e, dietro di esse, due concezioni politiche, non avrei dubbi: il governo sarebbe battuto.
Contro la riforma è buona parte della società civile.
Le cose però non sono così semplici. Sul terreno non si fronteggiano, come pure sembra, due schieramenti nettamente contrapposti. Se fosse così, non saremmo al punto in cui siamo. Esiste una palude insidiosa e indefinita che sfuma i contorni dello scontro; sabbie mobili entro le quali potremmo sprofondare subito dopo l’attacco. C’è una storia che pesa. Storia di pronunciamenti, di scelte incomprensibili, che hanno oggi un peso determinante: la scuola intesa come servizio ad una “utenza”, anzitutto – senza la quale non sarebbe stato possibile giustificare il ripetuto accordo sulla sostanziale neutralizzazione dell’arma dello sciopero. La comune pazzia che si cela dietro l’ambiguità dell’aziendalismo, la retorica del “buon contratto”, che, di fronte ad una miserevole e miserabile situazione retributiva, non paga l’inflazione e soggiace alla logica della differenziazione delle carriere e degli stipendi. Il fastidio per una categoria che “lavora poco”, da cui nasce la mortificante burocratizzazione delle mansioni, la paranoia delle alte professionalità, che accomuna interi reggimenti delle armate contrapposte.
Sarebbe bello che per moto spontaneo i lavoratori di ogni categoria si sollevassero in difesa della scuola dello Stato che appartiene a loro ed ai loro figli. Ma non sarà facile che accada dopo i cedimenti paritari, le manomissioni alla carta costituzionale e la commistione indecorosa di valori e ideali.
Non tutto è perduto. Di questo sono convinto. Sul terreno dello scontro per la scuola passa, checché ne pensino i Ponzio Pilato che attendono l’esito della lotta per pronunziarsi o, peggio ancora, lasciano trapelare propositi di “conservazione dell’esistente”, in caso di vittoria sul campo – non si fa una riforma ad ogni legislatura – sul terreno della scuola, dicevo, si combatte una battaglia decisiva per il futuro politico del nostro paese. Decisiva e disperata. E’ bene dirlo: questa potrebbe essere l’ultima spiaggia. Con questo governo non si può e non si deve trattare e se trattative sono in corso, occorre abbandonarle: oggi, subito.
Diversamente, la partita non è semplicemente difficile: la partita è persa, anche se si dovesse vincere sul campo. E non dipende solo dalla forza dell’avversario.
- Bella cosa, diserti! Mi diceva oggi un’amica.
No, le rispondo. Ci sono mille modi per dare una mano.

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 Vittorio Delmoro    - 28-01-2004
E scrivere qui è uno di questi.
Coraggio, Giuseppe!

 Barbara Accetta    - 28-01-2004
Sono una che ha "disertato": tre anni fa (ma davvero è passato tanto tempo?), raggiunta l'età canonica, mi sono detta basta, largo ai giovani, io ho dato abbastanza! Non ho retto alle prime avvisaglie di presidi manager (all'italiana), di Consigli scolastici esautorati, di aziendalizzazione strisciante, ecc. ecc. Mi è pesato, e molto, andarmene, a scuola ci sono sempre stata bene, pur tra mille incazzature, pur battagliando, pur faticando, come ogni insegnante, specie se donna, che voglia fare bene il suo lavoro. Mi piaceva il mio mestiere, mi è sempre piaciuto e mi manca ogni giorno di più, ma soprattutto oggi mi brucia essere fuori della scuola, perché non posso in prima persona oppormi a questo lucido disegno di distruzione, a questa violenta azione di azzeramento del diritto alla cultura, all'istruzione (pubblica gratuita e obbligatoria) per tutte e per tutti, senza la quale non c'è futuro per nessun Paese. E mi domando con sgomento, ma dove sono gli insegnanti? che ne è di quelle migliaia scese in piazza contro il concorsone di Berlinguer? sono tutte/i andati in pensione come me? non capiscono, non vedono cosa si sta preparando? cosa aspettano per farsi sentire? E non parlo, come è ovvio, di quei tanti o pochi che hanno continuato a manifestare in mille forme il loro dissenso, anche su queste pagine, e tra loro mi ci metto anche io, la loro protesta, il loro rifiuto, ci sono stati - e chi legge o scrive in questi siti li conosce, vi ha partecipato ecc. - anche momenti di lotta esaltanti, alleanze e parole d'ordine condivise non scontate e importanti. Ma la scuola pubblica, le scuole tutte dove sono? Qui è in gioco il loro futuro, la loro sopravvivenza, il posto di lavoro di migliaia di insegnanti, di non docenti, non si tratta, non solo perlomeno, di una battaglia di destra o di sinistra, è una questione che riguarda tutte e tutti: docenti, non docenti, genitori, studenti, cittadini. Quando un ministro della repubblica non si vergogna di andare a inaugurare una sede scolastica privata, costruita con il contributo economico dello Stato (alla faccia del "senza oneri" costituzionale) mentre accanto nella stessa città, come in tante altre città, la scuola pubblica cade letteralmente a pezzi per mancanza di fondi, ogni distinguo diviene colpevole. Chi non si oppone oggi alle scelte, feroci e incompetenti, del governo Berlusconi contro la scuola pubblica, si rende complice della sua distruzione e di essa per primo - come insegnante, come studente, come cittadino - sopporterà, ahimé, le conseguenze. A Giuseppe Aragno la mia solidarietà per una scelta comunque difficile. Barbara Accetta

 ilaria ricciotti    - 29-01-2004
Mi chiedo anch'io, ed ho chiesto tramite questa rivista, dove sono andati a finire tutti quei contestatori del concorsone. Tutti quei rivoluzionari che indirettamente hanno fatto cadere un governo. Ora loro unitamente ad altre categorie sociali si lamentano, ma lo fanno molto flebilmente e con poca incisività. Al tempo di Berlinguer invece s'era alzato un ciclone. Con questo voglio dire che gran parte della classe docente è veramente una categoria atipica in tutti i sensi. Si lamenta, ma accetta. Blatera, ma fa ed esegue gli ordini, abbassando il capo. Vota per un governo e poi sostiene che questo governo, che non ha riposto alle sue aspettative, non lo ha votato. Ed allora chiedo se con questi requisiti una tal categoria potrà andare lontano e non permettere a nessuno che si calpesti la sua dignità.
Non dimentichiamoci che significa essere educatori.

 Sergio Delli Carri    - 31-01-2004
Caro Geppino, ti auguro ogni bene e so che comunque sarai sempre con noi.
Io resto in trincea ma non penso affatto che la tua sia diserzione.
Conoscendoti sono sicuro che dedicherai ancora più tempo alla battaglia comune.
Un caro abbraccio
Sergio Delli Carri