Se la guerra è chiamata pace
Costanzo Preve - 04-12-2003




Segnalato da Alberto Biuso

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 Piero Pagliani    - 04-12-2003
L'ape senza architetto
(A proposito della manifestazione antimperialista del 13 dicembre a Roma)

Dopo l'attentato di Nassirya avevo detto che prima o poi avremmo dovuto fare i conti col tema della violenza.
Per ora abbiamo potuto trincerarci di fronte alle ambiguità e ai sospetti riguardo quanto accadeva in Iraq e prendere così posizioni ecumeniche e, anche, vaghe. Ma mettete il caso che si formi una forza democratica di resistenza armata, cosa che può benissimo capitare dato che stiamo parlando di un Paese occupato illegalmente. Cosa diremo noi?
Un’accelerazione a queste domande la sta dando la Manifestazione Antiamericana del 13 dicembre. E mi sorge il sospetto che le accuse contro i promotori di infiltrazioni e/o commistioni nazimaoiste, siano di fatto un tentativo per poter rimandare le risposte.
Essendo stato educato dalla mia famiglia all’orrore per il nazifascismo, il razzismo e l’antisemitismo, d’istinto rifiuto l’ipotesi che la dicotomia destra/sinistra sia ormai superata; ipotesi che è invece parte della riflessione di alcuni dei promotori della manifestazione (che, tuttavia, da tale riflessione non è caratterizzata). E dopo l’istinto è la ragione a suggerirmi che gli obiettivi - e i metodi! - della sinistra e della destra sono distinti e devono rimanere distinti.
Chiarito ciò, bisogna anche chiarire che è assolutamente contro la realtà sostenere che Costanzo Preve sia un “filosofo fascista”, come invece viene insinuato da qualcuno sul “Manifesto”, sul sito dell’Osservatorio Democratico, su quello di Indymedia e da Paolo Mieli. Ed è ridicolo che si insinui che lo sia Giancarlo Paciello probabilmente perché sospetto di sostenere una posizione "troppo radicale" su Israele . C’è invece da esser certi che molti di quelli che gridano allo scandalo non si sono nemmeno chiesti se la visita di Fini in Israele non sia stata per caso – una volta depurata dagli italici machiavellismi – una variante di quella circuitazione tra sionismo revisionista ed estrema destra inaugurata da Jabotinsky, continuata dalla coppia Begin-Shamir e fulcro della politica del Likud. E men che meno si saranno chiesti se il plauso generale all’equazione Fascismo= “male assoluto” non sia stato in realtà che l’ennesimo omaggio a quella rinuncia post-moderna al linguaggio e al pensiero laico tanto coltivata dai presidenti statunitensi. Un’equazione che non ho mai sentito fare né da mio padre quando mi narrava degli scontri con i cecchini fascisti a Firenze, né da mio zio quando raccontava delle torture che gli infliggevano i repubblichini della Muti, né da mia madre quando rievocava i suoi disperati e inutili tentativi di strappare il suo unico cugino alla Gestapo. E per il semplice motivo, che – forse perché di cultura protestante – non hanno mai rinunciato ad un atteggiamento laico nei confronti della politica. E io questo ho imparato a fare, così come ho sviluppato una particolare ipersensibilità alla caccia alle streghe.
Costanzo Preve è un pensatore col quale ogni persona di sinistra dovrebbe confrontarsi senza pregiudizi; e lo affermo anche se non ne condivido diverse posizioni. E lo stesso vale per Giancarlo Paciello, un marxista che ha sempre assunto le proprie responsabilità con un rigore direi calvinista, pagando di persona la sua coerenza in ogni circostanza. Se hanno deciso di scrivere sulla rivista "Comunitarismo" - nonostante la testata mettesse loro un po' i brividi - non è perché sono diventati tutt'a un tratto fascisti ma per motivazioni che possono essere ragione di discussione ma non certo di insulti.
Passiamo ora ai dubbi sulla natura della manifestazione del 13 dicembre.
I promotori hanno ribadito in modo esplicito i confini antimperialisti e, di conseguenza, antifascisti della manifestazione. Non trovo in realtà motivi per metterli in dubbio. Tuttavia non è inverosimile che al di là delle intenzioni la Manifestazione Antiamericana del 13 dicembre, così giocata sugli "anti" e sui "contro", possa fungere da attrattore per posizioni che io ritengo non condivisibili.
Esistono versioni dell’antimperialismo che io ritengo di destra nonostante a volte siano state elaborate a partire da considerazioni di sinistra perché in definitiva (e lasciando perdere i vaniloqui), auspicano che a contrastare l’imperialismo USA si possa ergere una sorta di imperialismo eurasiatico o europeo. Auspicio che proprio non riesco a condividere.
Ma voglio però far notare che la versione “democratica” e "moderata" di queste posizioni ha come fulcro il progetto franco-tedesco di forza europea di pronto intervento, che nessuno, nella sinistra che grida alla scandalo, mette in discussione, per lo meno con altrettanta virulenza.
In una conferenza al Social Forum di Parigi illustrai brevemente le ragioni per cui sono contrario a tale progetto. Ma al momento di uscire dalla sala una ragazza mi fermò per dirmi che lei, al contrario, era favorevole. Ecco quindi una delle tante declinazioni dell'irrisolta questione dell’uso della violenza, uno dei tanti snodi destinato ad imprimere una direzione o un'altra al Movimento dei movimenti.
Detto ciò incominciamo a tirare le somme.
Mi trovo nell’apparente contraddizione di difendere alcuni promotori della manifestazione del 13 dicembre da attacchi ingiusti, oltreché fastidiosamente volgari, e contemporaneamente di ammettere che non aderirò al loro appello.
Non aderirò intanto perché mi identifico in positivo col comunismo e non in negativo con l’antiamericanismo. In secondo luogo perché non ho chiaro il ruolo attuale delle resistenze nazionali nella lotta antimperialistica (il che è distinto dalla questione della loro legittimità, che è sancita da quel diritto internazionale che si vorrebbe cancellare come un mortale ostacolo alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione, delle "liberazioni", delle "liberalizzazioni", delle "democratizzazioni", delle "difese dei diritti umani", e via bombardando). Infine non aderirò perché sono in ritardo e ho bisogno di riflettere ancora un po’ sul tema dell’uso della forza.
Questi sono alcuni dei nodi che io non ho ancora sciolto. Ma credo che non li abbia sciolti nemmeno il Movimento. Ad ogni modo la questione irachena sarà destinata a fare scoppiare questa e altre contraddizioni in seno al Movimento e la manifestazione del 13 ne sarà un’avvisaglia.
Ovviamente, non sarà quella forma primitiva di esorcismo che si chiama “insulto” a poterle risolvere. Al contrario, se vogliamo tentare di iniziare a fare un minimo (ma proprio un minimo) di chiarezza, dobbiamo porci alcune domande di base senza girarci più intorno. Ne cito alcune.

1) Siamo veramente di fronte a una forma d'Impero (se sì, di che tipo: formale, informale, ...) o, invece, ad una forma d'imperialismo (se sì, di che tipo: neocoloniale, conflittuale, in condominio, ...)?
2) Lo stato-nazione si sta veramente estinguendo?
3) Qual'è il ruolo dei nazionalismi in questo scenario (progressista, reazionario, un po' uno un po' l'altro)? Attenzione che questa risposta dipende da quelle date alle prime due domande.
4) E' legittima la resistenza armata in Iraq? Il diritto internazionale dice di sì. Se diciamo di no, dobbiamo ammettere che non c'è nessuna occupazione - e quindi che abbiamo sbraitato e ci siamo agitati tanto per far casino - oppure buttiamo a mare il diritto internazionale. E lo stesso vale per la Palestina.
Io detesto profondamente la violenza, ma le cose, ahimè, stanno in questi termini. Possiamo cercare di cambiare i termini, certamente, ma non possiamo far finta di non vedere e di non sapere.
5) L'Islam ha veramente un ruolo particolare o lo credono solo Huntington e Osama bin Laden?
6) L'Europa deve giocare un ruolo armato di terzo incomodo - o terza posizione (arieccoci!)?
7) Come ci rapportiamo con le potenze capitalistiche emergenti? Abbiamo veramente chiaro il futuro scenario internazionale?
8) Quali contraddizioni in campo capitalistico sono utili per far emergere un modello mondiale alternativo di rapporti socio-ecologici? Quali sono invece temibili? Incidentalmente vorrei far notare che la citata storia del complotto pluto-giudaico-anglosassone è la variante impazzita dell'idea che ci sia una fondamentale contraddizione tra un Capitale "abbastanza buono", quello produttivo, e un Capitale "molto cattivo", cioè quello finanziario. Idea con la quale a sinistra ci si balocca non poco.
9) Con quale apparato politico ci muoveremo in questo mare in tempesta?
10) Con quale apparato etico?

L'ultima non è una domanda da poco, ovviamente. Suggella tutto e basta un test elementare per capire che non ha una risposta semplice. Lasciamo perdere per un attimo il centro-destra che sarebbe fuori contesto e domandiamoci: perché un professore di filosofia che si chiede con onestà intellettuale se valga ancora la distinzione destra/sinistra inviando articoli a dubbie riviste antimperialiste, ci scandalizza di più di chi, inseguendo i suoi progetti di potere, a questa domanda ha già concretamente risposto di sì inviando i bombardieri in Serbia?
E, per favore, non diciamo che non è vero! Facciamoci un esame di coscienza.

Piero Pagliani