breve di cronaca
Il tempo dei dinosauri
Scuola Oggi - 02-11-2003


IL TEMPO DELLA SCUOLA, IL TEMPO DEL BAMBINO.

E' in atto, da qualche tempo, un'operazione politica e culturale (o pseudoculturale?) tesa a dimostrare che una "riduzione" del tempo scuola, un "ritrarsi" della scuola (e dello Stato in particolare) dall'educazione, è un fatto non solo opportuno o necessario ma soprattutto in linea con gli sviluppi della società tecnologica, con la modernizzazione, la flessibilità e magari le nuove teorie dell'apprendimento e della conoscenza.

Come ha puntualmente osservato Giancarlo Cerini, dai documenti che stanno alla base del nuovo processo di riforma della scuola, a cominciare dalle proposte della Commissione Bertagna (2001), emerge una diversa "filosofia" sociale, che intende da un lato delimitare il campo di intervento delle istituzioni formali nell'educazione e dall'altro richiamare i genitori e gli altri soggetti "sociali" a responsabilità o funzioni educative. Quindi: riduzione dell'orario scolastico, contenimento complessivo del tempo scuola obbligatorio (vedi le 27 ore della primaria) e "allargamento" ad altri soggetti, enti, agenzie che dovrebbero rappresentare altrettante occasioni di esperienze e/o attività formative a livello territoriale.
In questo senso si possono leggere il recente intervento del prof. Bertagna al convegno milanese dell'ANCI (l’offerta formativa “integrata” con il territorio) come anche alcuni spunti della riflessione avviata dal Direttore Regionale Dutto in un articolo sul Corriere della Sera, riflessione che proseguirà (in questa direzione?) in un incontro con i dirigenti scolastici della Lombardia previsto per il 2 dicembre.

Dopo l'apertura al "territorio" e al “sociale” (per chi può, naturalmente), ci aspettiamo che qualcuno adesso sostenga che anche dal punto di vista psicopedagogico "meno tempo scuola è meglio". Che qualcuno si faccia avanti a dire che il tempo lungo o prolungato sono una noia mortale, che non favoriscono ma uccidono apprendimento e motivazione nell'alunno. Che i bambini oggi, nella società tecnologica, hanno modalità e tempi di apprendimento diversi, più rapidi, che richiedono quindi "meno tempo scuola". Che l'offerta formativa deve “andare oltre” la scuola, deve essere più ampia e variegata. Più flessibile, appunto, in linea con i tempi.

Ebbene, noi siamo più che convinti che le "40 ore" non garantiscono di per sé la qualità della scuola e che nell'ambito dell'attuale Tempo Pieno vi sono luci ed ombre, esperienze assolutamente significative sul piano didattico-pedagogico accanto a situazioni che non lo sono affatto. Anni fa Raffaele Iosa, per mettere in evidenza alcuni di questi limiti o rischi aveva usato la definizione appropriata di "tempo normale lungo", riferita a situazioni di classi a tempo pieno ove prevaleva una didattica di tipo trasmissivo, nozionistico, demotivante, in questo senso "tradizionale" e non innovativa.
Ma siamo altrettanto convinti, come ha ben argomentato su queste stesse pagine Federico Niccoli, che "la categoria tempo non è una variabile indipendente e/o ininfluente nell'apprendimento" e che la possibilità di "tempi distesi" offre maggiori opportunità di apprendimento agli alunni. L'idea forte da cui partì il Tempo Pieno era infatti che con "più tempo" da un lato si sarebbero potute qualificare le modalità di insegnamento, dall'altro si creavano maggiori possibilità di apprendimento, valorizzando anche gli aspetti emotivi, di socialità, di relazione, connessi ai processi cognitivi dei bambini.

A questo si aggiungono evidenti ragioni di carattere “sociale” che stanno alla base delle esigenze di tempo lungo espresse dalle famiglie, soprattutto nelle grandi città. La domanda sociale (i genitori che lavorano, l’organizzazione familiare, ecc.) è una variabile da non trascurare, soprattutto nella scuola primaria, nella richiesta del tempo della scuola, nella “quantità” dell’orario scolastico.

Sul piano “qualitativo”, sono le stesse indagini sulla scuola elementare post riforma del 1990 a riconoscere i vantaggi e i risultati positivi delle classi a Tempo Pieno (vedi il Rapporto sull'attuazione della Riforma della scuola elementare, Ministero P.I. 1996). Ora, se i risultati relativi ai livelli di qualità della scuola elementare sono stati valutati complessivamente positivi, non si capisce, come peraltro sostiene lo stesso on. Brocca, perché cambiare radicalmente questo modello scolastico, intaccandone la struttura. Per questo tutta questa enfasi sul "meno tempo scuola" ci appare sospetta e il ricorso a nuove teorie pedagogiche e dell'apprendimento (quali poi, di quale spessore culturale e sperimentate da chi?) strumentale.
Il sospetto è che in realtà confluiscano in questa "filosofia" motivazioni di altro genere, dalla vecchia tesi ciellina del ruolo educativo della comunità e della famiglia (riduzione quindi dell'intervento dello Stato nella formazione), alle ipotesi liberiste di una scuola pubblica "leggera" (meno costi per lo Stato e "libertà" di cercare altrove ulteriori occasioni formative). Quella che Cerini ha definito come "una versione della descolarizzazione in chiave monetaristica".

Non mancheranno, in questa nuova prospettiva del "meno tempo scuola é meglio", i corifei del nuovismo e della modernizzazione (il tempo pieno è roba vecchia e i suoi sostenitori dei dinosauri; adesso c'è il "nuovo che avanza", Internet, Inglese e Impresa, appunto).

Per questo crediamo che sia il caso di mantenere un atteggiamento critico e di guardare con grande cautela a queste "novità" e/o "innovazioni", rimanendo con i piedi per terra, ancorati alle migliori esperienze di scuola reale (e non virtuale). Per questo è il caso di fare l'elogio dei "tempi distesi". Dei tempi del curricolo ma anche dell'accoglienza, della socializzazione, della relazione, del confronto-convivenza-integrazione delle diverse culture e dei "diversamente abili". Di un progetto educativo unitario, integrato, scandito nell’arco di una giornata scolastica di 8 ore, rispettoso dei ritmi di apprendimento di tutti gli alunni.

Invece di pensare ad una riduzione del tempo scuola non sarebbe più produttivo, piuttosto, ragionare attorno ad una sua riqualificazione, riorganizzazione, arricchimento (con più e non meno risorse, in termini di organici, finanziamenti, ecc.) ? Rendere cioè più ricche e qualificate le 40 ore? Non è in questo modo (soltanto) che si garantisce a tutti gli alunni pari eguaglianza delle opportunità?

Dedalus

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