Ungheria 1956
Grazia Perrone - 03-11-2003
Il 3 novembre 1956 la rivolta d’Ungheria aveva vinto. O almeno così credeva. Il colonnello Maleter, che ne era stato l’anima mi disse: “E’ fatta. I russi riconoscono il governo Nagy e accettano le nostre condizioni: evacuazione delle truppe dal nostro territorio, ritiro dell’Ungheria dal Patto di Varsavia e stipulazione di un patto di amicizia commerciale e culturale, ma non politico (…)” . (Indro Montanelli)



La scomparsa di Stalin (avvenuta nel marzo 1953) fu seguita da un brusco cambiamento degli orientamenti di politica estera fino ad allora tenuta dall’Unione Sovietica nei confronti dei paesi “satelliti” che provocarono l’esplosione di conflitti sociali – fino a quel momento – rimasti sottotraccia. Il primo scricchiolio della “destalinizzazione” fu percepito nella Germania Est dove – nel giugno 1953 – il semplice annuncio dell’innalzamento degli obiettivi di produzione (ovvero di un inasprimento – a parità di salario - delle condizioni di lavoro) provocò una immediata e spontanea protesta sociale che – iniziata a Berlino Est – si estese in tutte le principali città industrializzate. La rivolta fu prontamente repressa (grazie anche all’intervento delle truppe del Patto di Varsavia) nel giro di quattro giorni ma i “rivoltosi” ottennero – se non altro – la revoca dei provvedimenti che l’avevano causata.

Gli avvenimenti ungheresi dell’ottobre/novembre 1956 furono molto più gravi di quelli tedeschi e vennero conosciuti, in occidente, in maniera molto approssimata e deformata. La rivolta ungherese – a distanza di tanto tempo – resta ancora una rimozione storica che pesa. Soprattutto a Sinistra.

Un atteggiamento curioso - scrive Paolo Flores d’Arcais [1] – sul quale vale la pena indagare. (…)”Arrischiamo: La rivoluzione ungherese del 1956, in un primo tempo rifiutata e vilipesa, in seguito messa a tacere come insignificante, resta soprattutto ancora oggi inammissibile perché rappresenta la prima rivoluzione del futuro, anno zero di una duplice storia: di liberazione dal modo di produzione totalitario e di superamento del carattere ipocrita della democrazia occidentale (…) Una rivoluzione che permette di scrivere, tra i futuri possibili, quello della democrazia radicale (…)” [2].

“Il 3 novembre 1956 – scrive Indro Montanelli [3] – la rivolta d’Ungheria aveva vinto. O almeno così credeva. Il colonnello Maleter, che ne era stato l’anima mi disse: “E’ fatta. I russi riconoscono il governo Nagy e accettano le nostre condizioni: evacuazione delle truppe dal nostro territorio, ritiro dell’Ungheria dal Patto di Varsavia e stipulazione di un patto di amicizia commerciale e culturale, ma non politico (…)”.

Non fu così e la rivolta fu soffocata nel sangue dei carri armati che invasero la capitale magiara all’alba del 4 novembre 1956.

Sulla neonata democrazia ungherese calò – definitivamente – la cortina di ferro. [3]

[1] cfr. Prefazione di Paolo Flores d’Arcais al libro: Ungheria 1956 di Ferenc Fehér e Agnes Heller – SugarCo Edizioni – Collana Argomenti, Milano, 1983

[2] ibidem

[3] Corriere della Sera novembre 1956






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