L'e-learning prossimo venturo
Carmine Marinucci - 12-10-2003
Ormai da anni si parla di e-learning. Gli analisti prevedono ritmi di crescita a due zeri per questa nuova modalità di formazione; tuttavia l’e-learning stenta a decollare. Perché?

Il mondo, negli ultimi anni, è profondamente cambiato. E con esso le regole dei processi economici e culturali che lo regolano. Processi in corso come l’internazionalizzazione dei mercati e la globalizzazione dell’economia (dei quali si può discutere la bontà o l’opportunità, ma non più l’esistenza) hanno ridisegnato l’assetto del business, il modo di relazionarsi, gli stessi processi economici.
Come operare, quindi, in questo contesto i cui riferimenti cambiano così rapidamente? Dove il nuovo nasce e prende forma in fretta. E ci condiziona di più e molto più velocemente di prima. Ridefinendo le regole del gioco, e ponendo una sempre maggiore attenzione a fattori quali lo sviluppo del capitale umano, la gestione delle competenze, la gestione delle risorse. E tutto ciò in un contesto in cui i modelli di sviluppo sono radicalmente mutati rispetto al passato.
Nelle economie tradizionali la provenienza della concorrenza era chiara ed allo stesso tempo era possibile prevederne gli sviluppi e le evoluzioni con relativa sicurezza. Il contesto attuale, nella contrazione dei tempi, la globalizzazione dei mercati e l’affastellarsi delle tecnologie, non procede precipuamente per sviluppi successivi, ma per veri e propri “salti”, nei modelli e nelle tecnologie.
Salti nei quali spesso se già il punto di partenza è di difficile identificazione, il punto di arrivo rappresenta una vera e propria incognita. Di fronte a tale fenomeno il sistema economico, soprattutto le grandi organizzazioni, reagiscono lentamente ed in modo generalmente poco efficace. Sovente si ripiega su strategie di sopravvivenza, che permettono la sussistenza nel breve periodo ma sono estremamente rischiose a medio e lungo termine. Tuttavia la lotta per la sopravvivenza e la supremazia sul mercato non può non prendere in considerazione le mutate condizioni a contorno ed il mutato modello di sviluppo.
Risulta quindi imperativo sviluppare modelli, metodi, strumenti e tecnologie che permettano – stante questo stato di cose – di operare in un mercato complesso e di difficile lettura.

IL RUOLO DELLA FORMAZIONE

In tale contesto fondamentale appare il ruolo della formazione. Formazione che - da sempre elemento strategico per le economie - assume oggi una valenza ancora più rilevante in funzione del fatto che sempre più rilevante è il ruolo della conoscenza.
Conoscenza. Ossia il risultato di una azione di formazione che deve tener conto, coinvolgendoli ed integrandoli, tutti gli attori portatori di competenze e abilità verso una learning organization, ossia una organizzazione che fa dell’apprendimento (del mercato, dei propri target, delle tecnologie, delle strategie di sviluppo) il vero punto di forza del suo sviluppo.
Ecco quindi che formazione e gestione della conoscenza, da sempre legate da uno stretto vincolo di causa-effetto, divengono sempre di più una inscindibile interconnessione anche dal punto di vista strategico. L’aumento di conoscenza (e di Capitale Intellettuale) è il risultato di un processo di apprendimento: formazione e gestione della conoscenza divengono due cardini per il sostegno delle economie avanzate.
In un contesto come quello appena accennato nel quale il ruolo della conoscenza è centrale, il capitale intellettuale assume una valenza strategica, lo sviluppo (individuale ed organizzativo) è indispensabile per essere competitivi; acquisiscono nuova sostanza gli approcci alla formazione, ed in particolare la formazione continua, da sempre evocati dagli esperti di formazione ma quasi mai in effetti attuati a causa di limiti oggettivi e problemi contingenti all’attività di formazione. Per la formazione continua infatti, il ritmo pressante delle attività operative, la dislocazione sul territorio degli utenti, i costi, l’impossibilità di “staccare la spina” per dedicarsi alle attività formative e di aggiornamento e mille altri problemi hanno fatto dell’aggiornamento e dell’autosviluppo obiettivi troppo spesso messi in secondo piano tanto dai professionisti che dal management.
D’altro canto, chiunque conosce la vita di una organizzazione, tanto pubblica che privata, sa bene che se da una parte gli obiettivi che vengono dati alla funzione formazione sono sempre ambiziosi, dall’altra i budget messi a disposizione per perseguirli di solito sono rispetto ad essi inversamente proporzionali. Una situazione spesso difficile, quella dei responsabili della formazione, che si trovano così da una parte con programmi ambiziosi, e dall’altra con enormi difficoltà da superare per attuarli.

FORMARE IN RETE?

Nell’euforia da Net Economy, la rete è apparsa una soluzione ideale anche nel contesto della formazione, ed in particolare di quella continua. Essa ha infatti rappresentato agli occhi di molti un ambiente operativo attraverso il quale sviluppare sistemi di formazione continua che abbattessero i problemi sperimentati nel contesto della formazione in presenza ed i limiti intrinseci della formazione a distanza di tipo tradizionale.
Rispetto alla formazione in presenza, infatti, la formazione in rete, tra le altre cose: . consente di abbattere i costi di logistica connessi allo spostamento delle persone (docenti o discenti); . permette di raggiungere rapidamente platee d’utenza potenzialmente molto vaste; . permette di standardizzare i percorsi formativi attraverso una sistematizzazione del materiale didattico.
Rispetto alla formazione a distanza di tipo tradizionale, ossia quella espletata attraverso l’invio di dispense cartacee o supporti audio e video (dall’audio-cassetta al DVD) e diffusa già a partire dalla seconda metà degli anni ‘80, la formazione in rete: . permette di abbattere i tempi morti relativi alla spedizione delle dispense; . consente una maggiore flessibilità nella gestione del materiale didattico, che può essere aggiornato in tempi rapidi; . facilita i processi di comunicazione tra discenti e tra discenti e docenti grazie all’adozione delle tecnologie di rete.
Questo, almeno, in teoria. E mai come nella formazione a distanza la distanza (appunto) tra teoria e pratica si è fatta sentire. Non è nostra intenzione, in questo contesto, affrontare in maniera approfondita i problemi posti da molti degli attuali modelli di elearning; è tuttavia d’obbligo metterne in risalto i principali limiti.
Non pochi, infatti, sono le problematiche che gli operatori e gli utenti di sistemi di on-line learning devono affrontare; problematiche la soluzione delle quali appare ai più tutt’altro che chiara, ma le cui origini – in fondo – non sono difficili da individuare.
E possono essere fatte risalire per la gran parte ad una sostanziale discrasia tra i modelli di e-learning annunciati dagli operatori e le applicazioni sviluppate dagli stessi.
Sul piano poi generale, tra l’altro ancora oggi, nonostante i rilevanti sforzi finanziari e normativi a sostegno dell’introduzione delle ICT (Information and Communication Technology) nei processi di apprendimento tanto a livello di Università, del sistema delle Imprese, che del mondo della Scuola, la mancanza dei formatori e di gestori di sistemi elearning; la mancanza di una organizzazione di servizi di qualità; la mancanza di contenuti in riferimento ad adeguati modelli di apprendimento in rete; la mancanza di un’organizzazione del mercato dell’e- learning, che consenta un suo adeguato sviluppo; la mancanza di una rete di assistenza in presenza per l’e-learning; la mancanza di standard per l’e-learning effettivamente utilizzati dagli operatori attuali (pochi) e di quelli che si stanno affacciando al mercato, nonché la mancanza di adeguata integrazione dell’offerta formativa, sia in riferimento ai soggetti che la erogano che alla possibilità di un suo riconoscimento in termini di credito formativo dai vari sistemi formativi, rappresentano ancora forti ostacoli che non consentono l’utilizzazione appieno delle potenzialità delle ICT per l’e-learning sia nel nostro Paese che in Europa.

E-LEARNING: PROMESSE…

L’e-learning un termine “usato” da tanto e da tanti ma ancora nuovo e da sperimentare nel settore della Formazione dove le tecnologie possono considerarsi indotti di conoscenza.
Ciò apre un dibattito che negli ultimi tempi sottolinea sempre più le problematiche didattico/educative che interferiscono con il percorso formativo.
Di questo percorso abbiamo imparato a distinguere le varie fasi definendone la dimensione pedagogica, abbiamo identificato gli obiettivi, anche quelli trasversali, abbiamo individuato le strategie ma ancora tante le difficoltà che il nostro Paese incontra nella formazione di una cultura scientifica e tecnologica che migliori la qualità dell’insegnamento e che soddisfi, anche, le questioni di rilevanza sociale.
Un problema che mette in discussione la collocazione scolastica dei saperi del nostro Paese e che ci impone di rivedere il rapporto tra scienza e tecnologia; un rapporto che non vuole e che non ha separatezze ma scambi reciproci, per i quali, ormai da tempo si stanziano importanti finanziamenti favoriti dai vari programmi di sviluppo delle tecnologie didattiche.
Ma non basta un “ambiente attrezzato” per determinare un processo di insegnamento/apprendimento specie se tale ambiente non prevede una continua interazione fra l’elaborazione delle conoscenze e le attività pratico-sperimentali, e se si considera importante l’aspetto strutturale sicuramente decisivo diviene quello culturale che determina gli insiemi della Formazione e della Conoscenza necessari a regolare i processi economici e culturali.
E ancora una volta ci si interroga sul learning, sull’apprendere ed affidiamo la ricerca dell’efficienza alle Tecnologie reimpostando la concezione dell’insegnare e dell’apprendere; che diviene insieme di metodologie e strategie con le quali è possibile interagire con l’ambiente, dove il più importante strumento tecnologico è il corpo, con i suoi organi di senso, i suoi processi di elaborazione e di attuazione e che riesce ad aumentare le possibilità di interazione, in termini di conoscenza ed operatività, ampliandosi con protesi “artificiali”.
E se è facile considerare che la Tecnologia è uguale all’estensione del corpo, ancor più semplice deve divenire il suo uso per possibili modificazioni evolutive, vista l’interazione con l’ambiente, mediante la Formazione a Distanza che relega all’elearning una importanza fondamentale specie per alcune attività come per esempio per quelle relative al sostegno all’integrazione scolastica di alunni in situazione di handicap; importanza che deriva dalla facilità con la quale questa nuova modalità di formazione consente di realizzare impianti disciplinari globali modularizzabili e diversificabili, capaci di rispondere, in modo corretto ed adeguato, ai bisogni speciali di educazione in cui si concretizza una vera azione di integrazione scolastica Il dato rilevante è che l’uso delle ICT, e in particolare delle reti, a supporto dei processi formativi è in costante crescita e, da diversi anni ormai, si stanno studiando, mettendo a punto e sperimentando una pluralità di approcci educativi che talvolta vedono la rete come canale di distribuzione su larga scala di materiale didattico strutturato per essere fruito in autoistruzione, altre volte come spazio virtuale in grado di ospitare comunità che apprendono collaborativamente, organizzate in veri e propri gruppi di apprendimento, oppure in comunità di pratica dove ogni membro accresce le proprie conoscenze e competenze mutuandole con il resto del gruppo, sulla base dei problemi conoscitivi tipici di una data professione.
Il campo di studio e di sperimentazione è comunque ancora vastissimo e oltre alle questioni puramente didattiche inevitabilmente investe anche quelle economiche, organizzative e in buona misura, culturali.
È infatti ormai evidente come a fronte di studi sempre più approfonditi sulle metodologie didattiche della formazione continua supportata dalle ICT, non vi sia una corrispondente diffusione delle pratiche legate a tali modelli. Questo si deve anche all’esigenza di acquisire una nuova cultura che veda tali pratiche non tanto in antagonismo o in alternativa alla formazione in presenza quanto piuttosto come un’ulteriore opportunità per favorire il processo di insegnamento/apprendimento, soprattutto laddove approcci tradizionali alla formazione si dimostrino meno praticabili e/o efficaci.
Naturalmente, tutto ciò presuppone la consapevolezza che proporre e gestire progetti e-learning in un contesto organizzato significa innanzi tutto avere ben chiari gli elementi di un sistema complesso, fatto sì di conoscenze e contenuti da veicolare, ma anche di modelli teorici pedagogici a cui riferirsi, di scelte tecnologiche da operare, di risorse umane da mettere in gioco e coordinare, di processi di integrazione con l’esistente sistema “organizzazione” che intende avvalersi di tali approcci per l’acquisizione di nuove conoscenze e competenze. Ecco quindi come la scelta della strategia di erogazione deve rispecchiare da un lato lo specifico modello di e-learning che si pensa di mettere in atto, dall’altro essere funzionale allo stile di apprendimento che tale modello intende favorire.
Inoltre, ogni modello di e-learning introduce, a sua volta, specifiche esigenze riguardo le figure professionali in grado di renderlo operativo. Se ad esempio in un modello basato sull’uso di materiali didattici per autoistruzione un ruolo chiave viene giocato da esperti disciplinari, progettisti e implementatori dei contenuti, quando si passa ad approcci collaborativi centrati sull’interazione in gruppo di apprendimento, oltre agli esperti d’area e ai progettisti, determinante sarà l’azione attiva dei tutor di rete.
La scelta dell’approccio di e-learning ha poi riflessi anche sull’individuazione delle tecnologie da adottare.
Infatti, se in un modello basato sull’erogazione di materiali didattici prioritario è poter contare su strumenti standardizzati di authoring e di piattaforme per la distribuzione/gestione degli e-content, in un modello più interattivo e collaborativo diventa cruciale disporre di tecnologie di groupware o comunque in grado di strutturare al meglio i flussi di comunicazione fra i corsisti.
È infine evidente come la scelta del particolare modello di e-learning implichi l’adozione di specifiche strategie organizzative nella gestione dei diversi sotto-processi che caratterizzano il “ciclo di vita” del prodotto/percorso formativo (progettazione, realizzazione, erogazione). Tali strategie riguardano sia la gestione e il coordinamento delle figure professionali proprie delle fasi appena menzionate, sia la gestione delle tecnologie e delle infrastrutture di comunicazione necessarie alla messa in opera del processo stesso.
Le nuove tecnologie e i nuovi ambienti di apprendimento mediati da tali tecnologie sembrano avere quindi il potere di rendere al processo di apprendimento quella dimensione sociale - altrimenti persa nella tradizionale FAD - data dalla partecipazione ad un gruppo di lavoro con il quale condividere l’esperienza di apprendimento vissuta nel momento della formazione. Il passaggio dalla tradizionale Formazione a Distanza all’On Line Learning, infatti, vuole far si che il computer si trasformi sempre di più da strumento accessorio per l’autoapprendimento, a mezzo di comunicazione collegato in rete che consente allo studente di dialogare con la “classe virtuale” composta da docenti, tutor, e soprattutto altri studenti. Creando con questi, oltre che una rete nel senso “tecnologico” del termine, una vera e propria rete di conoscenze condivise, una comunità virtuale, appunto.
L’avvento del concetto di Rete rappresenta probabilmente la prima vera novità nell’utilizzo delle tecnologie informatiche come sistema di supporto alla formazione dagli anni ‘50 ad oggi. La Teaching Machine, nata nella seconda metà di questo secolo, infatti, non si discosta di molto dai più avanzati sistemi basati sul computer e sulle tecnologie multimediali dei giorni nostri. L’ipertestualità - che concerne il modo in cui viene strutturata l’informazione - rappresenta una logica evoluzione della Macchina di Skinner. La multimedialità, in fondo, costituisce un “vestito” (sia pure fondamentale) con il quale presentare l’informazione ipertestuale. Ad oggi l’inscindibilità di questi due termini è sancita dal sempre più frequente utilizzo del termine “ipermedia”, che li comprende entrambi. Ad ogni modo anche il più complesso dei sistemi ipermediali di formazione esistenti è basato su di una struttura chiusa nella quale i contenuti sono predefiniti, le domande e le relative risposte standardizzate e le azioni dell’utilizzatore già previste dall’autore del sistema. L’interattività in sé - quindi - non rappresenta l’obbiettivo primario delle nuove tecnologie di rete applicate alla FAD; il vero arco di volta è costituito piuttosto dalla nascita di quella che può essere definita CMC: Computer Mediated Communication.
La CMC regala alla formazione a distanza il concetto di “collaborative learning” - apprendimento collaborativo. Anche questo, si noti bene, non è un elemento nuovo nel panorama della formazione (qualcuno ricorderà l’Accademia di Platone; quindi un’epoca non proprio recente!). La vera novità è costituita dalla possibilità reale di sfruttarlo nell’ambito di un sistema di rete distribuito. Grazie alla Computer Mediated Communication si aggiunge all’ipermedialità degli strumenti informatici tradizionali il concetto di collaborazione. Collaborazione tra gruppi di lavoro che comunicano per mezzo degli strumenti forniti dalla Rete; si parla, infatti, di “Collaborative Hypermedia”. Paradossalmente la rete elimina dalla Formazione a Distanza il concetto stesso di “distanza”. Annullando le barriere fisiche consente la nascita di vere e proprie “classi virtuali” ove gli studenti possano affiancare al momento cognitivo individuale la possibilità di confrontarsi tra di loro e con l’insegnante, arricchendo la comprensione attraverso il confronto delle diverse prospettive e dei vari punti di vista dei singoli individui del gruppo. I diversi sistemi di comunicazione regalano alla FAD possibilità insperate. Gruppi di lavoro “virtuali”, forum in linea, gruppi di discussione, la possibilità di dialogare con il proprio docente e - soprattutto - di farlo assieme agli altri studenti, sono tutte caratteristiche dell’On Line Learning.
O almeno dovrebbero esserlo.

…E LIMITI…

Perché “dovrebbero”? Il condizionale, in questo caso, è d’obbligo. Come si è già avuto modo di far notare, infatti, in pochi casi come nell’e-learning è evidente la discrasia tra ciò che si teorizza e ciò che si applica nella pratica operativa. A meno di rare eccezioni, infatti, se da una parte si teorizza la necessità di rendere gli ambienti di e-learning (i “campus virtuali”) interattivi e dinamici, dall’altra gli sforzi della maggior parte degli operatori sono rivolti alla creazione di sconfinate “mediateche” di courseware. Mediateche che con la CMC e l’interattività (intesa come possibilità di interazione tra gli utenti del campus e/o con i docenti ed il personale didattico) hanno poco o nulla a che spartire.
Un sistema di formazione a distanza dovrebbe essere strutturato per assolvere le funzioni normalmente presenti in un contesto di formazione in presenza.
In altri termini dovrebbe garantire ai suoi utenti delle funzioni di base che vanno dalla possibilità di comunicare tra di loro a quella di interagire con i docenti; dalla possibilità di lavorare assieme ad un progetto a quella di fruire di materiale didattico multimediale. E proprio in quest’ultimo punto è il nocciolo del problema.
Quella che dovrebbe essere “una” delle funzioni del sistema di formazione a distanza, la possibilità di fruire di materiale didattico (il “courseware”), troppo spesso diviene “la funzione”. Intendendo con ciò, in maniera allarmante, “l’unica funzione”. Ed ecco quindi i Campus Virtuali trasformarsi in grandi cataloghi pieni zeppi di materiale didattico di ogni tipo.
Corsi di formazione di ogni genere e specie che, in un parossismo enciclopedico, i responsabili letteralmente vomitano all’interno del sistema. Non è raro vedere cataloghi con centinaia, migliaia di titoli che spaziano dall’apprendimento della lingua inglese alla spiegazione del Paradiso di Dante, dalle tecniche di vendita alle basi del TCP/IP; il tutto, naturalmente, senza tener minimamente conto del profilo degli utenti del campus. E quando, nella migliore delle ipotesi, questo profilo viene preso in considerazione, tutto quello che succede è che dal catalogo “spariscono” i corsi non immediatamente attinenti agli skill professionali degli utenti.
I motivi che spesso (anche se non mancano ovviamente le eccezioni degne di nota) trasformano i campus virtuali in più o meno complesse mediateche ed in grandi cataloghi pieni di corsi sono numerosi, ma fanno tutti riferimento ad una convinzione di fondo che è sostanzialmente sbagliata: quella che fare e-learning voglia dire necessariamente impegnare meno docenti e spendere meno.
Da qui la focalizzazione sulla realizzazione di corsi in “autoistruzione”, termine edulcorato che troppo spesso equivale a dire che gli utenti vengono completamente lasciati a loro stessi nella speranza che “leggendo” i corsi on-line imparino qualcosa.
Corsi che, e di qui il secondo problema, di solito non sono curati come dovrebbero. Rendere un corso di formazione fruibile in formato multimediale richiede infatti un investimento non proprio indifferente, o almeno lo richiede se si vuole che il corso – oltre che formalmente corretto – sia anche interessante, accattivante, studiato insomma per renderne piacevole la fruizione. Far ciò vorrebbe dire mettere a budget decine, o più spesso centinaia di migliaia di euro per lo sviluppo del materiale didattico, quando di solito tale cifra è quella messa a disposizione per tutta l’attività di formazione a distanza, dalla realizzazione del campus a quella dei corsi all’impegno dei docenti (se non per tutta l’attività di formazione…).
Abbattere i costi della formazione e contemporaneamente minimizzare l’impegno dei docenti: questi quindi i due obiettivi che tutti cercano di perseguire simultaneamente, ma che si stenta a raggiungere.
. Impegnare meno i docenti attraverso l’implementazione di un sistema di formazione a distanza è possibile, ma soltanto a valle di un investimento cospicuo per la strutturazione dei percorsi didattici e per la realizzazione dei materiali multimediali.
Ciò è utile quando si ha la necessità di erogare formazione a platee molto vaste d’utenza, o quando il tempo dei docenti è molto limitato (si pensi alle attività specialistiche, e si consideri che utilizzare un docente in aula vuol dire toglierlo dalle proprie attività preminenti di ricerca e/o dalla produzione, e non sempre ciò è possibile).
. Avviare attività di formazione a distanza non investendo cifre estremamente elevate nello sviluppo del courseware è possibile, ma ciò richiede una particolare attenzione agli utenti da parte dei docenti, che di conseguenza – soprattutto nella fase di start-up del sistema – non saranno affatto meno impegnati.
I risultati del tentativo di perseguire simultaneamente entrambi gli obiettivi sono spesso sconfortanti.
Campus Virtuali privi di attrattività, corsi spogli, che stentano ad attirare l’attenzione dell’utente ed a garantire risultati che – in termini di rapporto costoefficacia - siano paragonabili a quelli della formazione in presenza. Certo, esistono applicazioni e situazioni nelle quali la formazione a distanza non rappresenta un’alternativa ma l’unica soluzione eco- nomicamente perseguibile, ma anche in questo caso, lo stato dell’arte è lungi dall’esser soddisfacente.
D’altra parte, la situazione critica di molti operatori del settore è sintomo di una scarsa fiducia da parte degli utenti che l’on-line learning dovrebbero implementarlo.
E non bastano le ottimistiche previsioni degli Istituti di Analisi per risollevare le sorti di un modello che – allo stato attuale – nella migliore delle ipotesi non sta soddisfacendo pienamente le aspettative (ma – si sa – la “migliore” delle ipotesi rappresenta sempre una versione ottimistica della realtà).

IL FUTURO?

Cosa ne sarà, in questo contesto, del futuro della formazione a distanza? In uno scenario in cui tutti si prodigano a declamarne le magnifiche sorti e progressive ci sentiamo di dover levare una voce fuori dal coro.
La vera domanda, infatti, è sottilmente differente, e suona così: la formazione a distanza avrà un futuro?
La risposta è tutt’altro che scontata. Proseguire nei modelli di sviluppo prevalenti, incentrati sullo sviluppo di corsi multimediali in autoistruzione, se magari può far “sopravvivere” i sistemi di formazione on-line ne svilisce, nella sostanza, il principale punto di forza, ossia la capacità di creare learning community. Fa si che la formazione on-line torni – concettualmente – a diventare formazione “a distanza”, ossia una formazione espletata attraverso l’utilizzo di surrogati tecnologici delle vecchie dispense e delle antiche audiocassette dell’ormai storica Scuola Radio Elettra di Torino. Fa si che si perda il vero punto di forza della formazione on-line, ossia la possibilità di svolgere attività di apprendimento collaborativo.
Apprendimento collaborativo che rappresenta uno strumento indispensabile per trasformare finalmente la Scuola, l’Università, l’azienda in una learning organization, per dare loro quella flessibilità e quella capacità di adattamento al mercato indispensabile per operare nei nuovi contesti culturali ed economici. La formazione on-line, quindi, per assicurare una continuità di accesso alla formazione per tutto l’arco della vita, anche in relazione alle trasformazioni del contesto competitivo, del mercato del lavoro caratterizzate da mobilità, da lavori che richiedono adattabilità e continua capacità di apprendere, ma anche come elemento critico, dal cui successo arriva a dipendere il successo e l’affermarsi delle economie. Perché ciò avvenga (e per questo la risposta alla domanda iniziale non è da dare per scontata) non è però sufficiente un cambiamento nell’offerta dei venditori, dei system integrator, degli “e-learning provider”. Perché ciò avvenga è necessario ben altro. È necessario che le organizzazioni che intendono proporre ed utilizzare on-line learning comprendano appieno che ad essere indispensabile è un vero e proprio cambiamento culturale. Un cambiamento nel modo di concepire i processi , nel modo di gestirli, nel modo di disegnarli. Un cambiamento che faccia si che le organizzazioni comprendano davvero la centralità della conoscenza ed il ruolo del capitale intellettuale. Un cambiamento che ponga i processi di sviluppo – personale ed organizzativo – al centro delle scelte del management. Un cambiamento che leghi in maniera strutturale i processi di formazione con i processi di sviluppo del sapere organizzativo.
Il futuro dell’e-learning, quindi, non è solo nell’e-learning. Se la formazione on-line è un processo fortemente integrato con lo sviluppo delle organizzazioni, allora il suo futuro è determinato anche e soprattutto da tale sviluppo (che contribuisce a determinare). Un ruolo del tutto non marginale è dato alle normative che dovranno regolamentare la gestione e partecipazione ai corsi in rete, alla coesistenza fra logistica del posto di lavoro e logistica della partecipazione all’azione formativa (spazi, strumenti, materiali, ecc.), ai processi di sviluppo organizzativo mirati a rendere possibile la reale applicabilità dei modelli, e così via.
Sempre più lo sviluppo dei sistemi di e-learning, e in particolar modo quelli indirizzati alla formazione in servizio, è gioco di equilibri fra problematiche didattico-pedagogiche, architetture organizzativogestionali del sistema di e-learning e specifiche esigenze di integrazione legate ai particolari settori di applicazione.
L’e-learning assume quindi la connotazione di un sistema che deve permeare l’organizzazione, agendo dinamicamente, articolandosi in proposte flessibili, personalizzabili e modularizzabili continuamente sull’esigenza e l’esperienza del contesto di riferimento. Ma l’adozione e il radicamento delle pratiche di e-learning è funzione anche della diffusione, presso l’utenza finale, della cultura legata ai diversi metodi di utilizzare le ICT a supporto dei processi di apprendimento. E per utenza finale si può intendere sia l’utente singolo sia la stessa organizzazione.
La vera domanda, a questo punto, è un’altra: quale modello di sviluppo per l’organizzazione che “apprende”?

Stefano Epifani, Carmine Marinucci, Vincenza Pellegrino

Articolo tratto dal N. 396 della rivista della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS)
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