Chi siamo?
Concetta Centonze - 10-10-2003
Da che parte cominciare dovendo presentare una vexata quaestio? Ad iniziare dalle lagnanze si corre il rischio di provocare nel destinatario quell’ insofferenza che sempre accompagna le querimonie siano o no motivate. Ad iniziare entrando in medias res si corre il rischio di essere capiti soltanto dagli addetti ai lavori. Mi piacerebbe avere la stringatezza dei chaiers de doléances e mi ci proverò. Chi sono gli insegnanti? Che cosa rappresentano? Cosa vorrebbero essere?

Le risposte sono, nell’ordine: educatori, veicolo di cultura, mediatori tra generazioni. Vorrebbero essere riconosciuti per la specificità del loro ruolo. Il susseguirsi di ministri della pubblica istruzione, non sempre edotti, ma più pronti a cavalcare l’onda delle mode pseudodidattiche, ha spesso snaturato, fuorviato, l’opinione pubblica, o disperso la nostra professionalità nei rigagnoli di una burocrazia inutile.

Durante questi trent’anni i ministri sono passati - ed anche qualche moda fortunosamente sostituta da altre d’oltralpe - io sono rimasta, come tutti i miei colleghi, ad accogliere gli alunni, a mediare tra le tensioni e i personalismi degli adolescenti, ad insinuare uno spiraglio nella loro solitudine, a frenare genitori punitivi, a sollecitare genitori disinteressati, a lasciar andare via via una quinta dopo l’altra a cui avevamo trasmesso una parte della nostra umanità. Tutte queste finalità, che mirano a sostenere complesse dinamiche della psiche degli adolescenti e dei rapporti tra generazioni sempre più lontane ed estraniate da un immaginario collettivo non più condiviso, dal prevalere di modelli vincenti in antitesi con i valori della cultura, è stato fatto con prudenza e circospezione per non toccare il campo minato e gli scheletri nell’armadio delle “belle famiglie italiane” rimanendo, di conseguenza, all’interno eppure sempre fuori per non valicare i limiti di competenze altrui.

Contemporaneamente abbiamo trasmesso il patrimonio culturale del bacino del mediterraneo e della civiltà europea, glissando brontolii e levate di scudi riguardo alla perfetta inutilità di questo tipo di cultura ispirata ad un umanesimo integrale che non si vende e non si acquista se non con la disciplina ed il sacrificio. I contenuti, d’altra parte, non costituiscono una sorta di fossile immobile appreso nelle aule universitarie una volta per tutte, ma un magma in continua trasformazione che comporta studio domestico continuo per i docenti, messa a punto che varia da generazione di studenti a generazione di studenti. Ci siamo, poi, aggiornati sui metodi, ci siamo aggiornati sulla docimologia, abbiamo attraversato i capricci di vari superiori, ci siamo aggiornati sui CIC, sulla programmazione, sulle unità didattiche e, indi, sui moduli, sulle griglie, sulle verifiche sommative.

Questo per far comprendere quanto complessa e a articolata sia la nostra professione che ci investe non solo nelle nostre competenze culturali, ma in tutta la nostra umanità, che richiede una notevole mole di lavoro e di tempo: il problema è che tutta questa attività non si può quantificare, non appare o - come è di moda dire ora - non produce.

Già perché l’ultima novità voluta e perseguita con diverse sfumature ora democratiche, ora autoritarie è stata quella di trasformare la scuola in azienda. Ebbene questa è stato il colpo ferale - consentitemi qualche termine aulico - indizio di sicura barbarie. La scuola forma persone e non deve essere “utile” nel senso becero che questo termine ha acquisito; a scuola non si fanno soldi, ma si offre un servizio, anzi il servizio per eccellenza: formare individui che possano agire in modo proficuo sulla società attraverso quella consapevolezza che solo la Cultura è in grado di offrire la Cultura che porta alla verità che rende liberi. Certamente nelle società conservatrici ed autoritarie, maschiliste e repressive che di tanto... in tanto... rispuntano - tutto ciò non è permesso. Ed ecco quindi la pertinace volontà di disfare la scuola pubblica, i supposti quattro mesi di vacanze estive a screditare la nostra immagine di professionisti; ecco ancora il clima cortigiano che si respira intorno alle dirigenze scolastiche. Chi di dovere ha contezza di tutto ciò nel momento in cui propone le diciotto ore di lezione frontale? Ha mai sentito dire che la quantità va a scapito della qualità?

E i genitori sono al corrente di quanto aleatoria diventerà la continuità didattica con il continuo spostamento di docenti che sarà l’inevitabile conseguenza del dovere cumulare, prendendo un’ora di qua e un’ora di là, per sommare diciotto ore di cattedra?

Importante è che i conti tornino: e torneranno prima o poi.


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