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Leopardi nel (nostro) tempo
Salvatore Casaburi - 25-09-2003

FULVIO TUCCILLO, Leopardi nel tempo.
La documentazione del Fondo Zumbini e la storia degli studi leopardiani. Con un saggio di Gaspare Tudisca. Prefazione di Mauro Giancaspro, introduzione di Fabiana Cacciapuoti.
Napoli, Gaetano Macchiaroli editore, 2001, euro 36,15.



Fulvio Tuccillo è tra quei bibliotecari meridionali che, con grande serietà e competenza, rinnovano tradizioni antiche di dedizione alla ricerca, sfuggendo alle mode dell’effimero e inserendosi, meritatamente, in un filone che ha prodotto grandissimi filologi, critici e storiografi. E si deve appunto al paziente impegno di studioso di Tuccillo se un’opera monumentale come Leopardi nel tempo ha avuto la possibilità di vedere la luce.
A giusta ragione, nella Prefazione al libro, Mauro Giancaspro, direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, scrive:

Chi (…) conosce sin dall’infanzia l’autore e il suo darsi globalmente e totalmente allo studio, con tenace convinzione e dedizione, non si meraviglia di trovare in questo lavoro il segno di un’invidiabile onestà intellettuale, che lo porta, via via che la ricerca si sviluppa, a dichiarare, in itinere, le ragioni di scelte e di indirizzi metodologici che ne sono alla base. Un modo di operare, per ricorrere ad un termine proprio del gioco, a carte scoperte (pag.12).

Riprendendo l’affermazione di Giancaspro, si può dire che, mai come in questa occasione, la collezione leopardiana del fondo Zumbini viene riscoperta, poiché, sottratta ad una pura conservazione a futura memoria, diventa materia viva, attuale, capace di fornire allo studioso nuove mappe di percorsi nella complessa geografia della produzione del e sul Recanatese. Tuccillo, nel lavoro di ricerca, è stato affiancato da altri valenti studiosi-bibliotecari, come Fabiana Cacciapuoti e Gaspare Tudisca, confermando, ancora una volta, come l’enorme patrimonio materiale conservato nelle biblioteche e negli archivi italiani non possa fare a meno del patrimonio umano di competenze e di dedizione. Senza di esso i luoghi dove si conservano i supporti materiali della cultura vengono ridotti a puri e semplici depositi. Vale, cioè, per le biblioteche, lo stesso discorso che, in vari modi, è stato fatto negli ultimi anni per la scuola: la professionalità degli addetti non può ridursi ad efficientismo burocratico, pena la perdita di vista di finalità di ampio respiro. Fortunatamente, lavori come quello di Fulvio Tuccillo ci danno la possibilità di guardare al futuro dei beni culturali ancora con ottimismo.


La costituzione del Fondo Bonaventura Zumbini, avviene il 19 maggio 1907, quando lo studioso cosentino donava alla Biblioteca Nazionale di Napoli la sua collezione leopardiana, formata da 160 volumi e 500 tra saggi, numeri di quotidiani e monografie. Significativamente, nello stesso giorno, la Biblioteca acquisiva i manoscritti leopardiani, come disposto per volontà testamentaria da Antonio Ranieri.
L’omogeneità del Fondo - avverte sin dall’inizio Tuccillo - impone una ricerca che non sia di tipo esclusivamente descrittivo e bibliografico (pag.29), anche per l’impulso dato agli studi leopardiani dallo stesso Bonaventura Zumbini, a partire dagli anni intorno alla metà dell’800, quando entra in rapporto con Francesco De Sanctis. Nel 1876, per i tipi dell’editore Morano di Napoli, lo studioso calabrese pubblica il volume Saggi critici, tra le sue opere più significative. Bonaventura Zumbini è, quindi, a pieno titolo, tra gli studiosi leopardiani la cui ricerca è, ancora oggi, un riferimento a cui attingere:

Senza dubbio ciò che subito risalta all’attenzione (…) è il fortissimo impulso conferito, nel periodo che va all’incirca dal 1870 al primo decennio del novecento, alle ricerche a carattere filologico, storico, documentario, biografico, che finiscono per condizionare in maniera rilevante anche il dibattito critico (pag. 31).

Tuccillo - ed è questo un altro elemento di grande originalità del suo lavoro - coglie la complessa dialettica interna ai diversi approcci metodologici e critici all’opera leopardiana, tra Ottocento e Novecento. Si sottrae ad ogni tentazione riduttiva di schierarsi e riesce a mettere nella giusta luce gli stessi studi positivistici che

(…) Spesso fornirono spunti ed occasioni (…) a studiosi della statura di un Pascoli, di un De Roberto, di un Graf, ma altrettanto spesso suscitarono decise reazioni, perché inaccettabili nell’ambito eziopatologico (…) e perché soprattutto ne apparivano inaccettabili non solo le conclusioni ma la Weltanschauung che le ispirava (pag. 32).

A questo proposito, di grande interesse risulta, nel libro, il saggio Gli studi dei positivisti: Leopardi al lume della scienza di Gaspare Tudisca, anch’egli bibliotecario e studioso. La complessa presenza del positivismo negli studi leopardiani viene indagata non solo per gli eccessi dell’approccio psicopatologico all’opera del poeta, quanto per il ruolo, a volte inconsapevolmente stimolante, che tale approccio finisce con l’avere. Basti pensare al Saggio psico-antropologico su Giacomo Leopardi e la sua famiglia di Mariano Luigi Patrizi, del 1896, tra le opere più significative contenute nel Fondo Zumbini.
A più riprese, Fulvio Tuccillo dichiara di non credere nella frattura degli studi leopardiani, che, solitamente, viene fatta risalire alla svolta del 1947, anno in cui Cesare Luporini pubblica Filosofi vecchi e nuovi - quello, per intenderci, del Leopardi progressivo - e Walter Binni revisiona gli studi leopardiani con La nuova poetica leopardiana. L’intero corpus degli studi leopardiani è, per Tuccillo, una miniera che consente riflessioni che non sono affatto consegnate al passato:


Una ripresentazione degli studi dell’ottocento e del primo novecento infatti può aiutarci non solo a ritrovare il senso vivo della presenza di Leopardi in quel mondo che gli era più prossimo, ma anche a riscoprire le radici storiche di alcuni grandi indirizzi critici ed inoltre può contribuire - per ciò che riguarda specificamente la stagione di fine ottocento – ad una migliore percezione della continuità esistente tra l’enorme travaglio filologico ed esegetico ed i progressi della critica; per ciò che riguarda invece la fase precedente, può invece servire ad evidenziare la grande vitalità della prima critica leopardiana che di solito resta in ombra nella ripresa di temi operata successivamente (pp. 70-71).

Tutta la parte centrale del libro è dedicata, pertanto, ad una ricostruzione avvincente del profilo storico della critica leopardiana, di cui il Fondo fornisce una documentazione ricchissima che Fulvio Tuccillo utilizza con raffinatezza, con uno spirito che non sempre è dato di incontrare negli studi letterari contemporanei. Il percorso di tale ricostruzione si sofferma, non a caso con un capitolo autonomo, sul saggio di Benedetto Croce, Leopardi, apparso nel 1922 su La Critica, e poi in Poesia e non poesia, pubblicato per i tipi di Laterza nel 1923. Scrive Tuccillo in proposito:

Infatti è proprio il complesso della riflessione leopardiana a rivelarsi inconciliabile con le esigenze della teoresi crociana, volta a fondare una filosofia dello spirito; per di più Croce vedeva manifestarsi anche nella filosofia leopardiana quella tendenza di pensiero sostanzialmente irrazionalista ed intimamente nichilista, il cui potere disgregante particolarmente temeva e di cui considerava il tardo romanticismo e il decadentismo le espressioni più pericolose (pag.222-223).

Ultima, ma non per importanza, ricordiamo l’attenzione rivolta alle traduzioni leopardiane delle edizioni straniere del Fondo Zumbini, in particolare a quelle di Paul Heyse, poeta e narratore tedesco che - ricorda lo studioso napoletano – fu anche traduttore di Alfieri, Manzoni e Giusti, nonché premio Nobel nel 1910.
Leopardi nel tempo, frutto del lavoro tenace e appassionato di Fulvio Tuccillo, ripropone l’opera del e sul Recanatese con una visuale a tutto campo, sottraendosi a schematismi riduzionistici e, al contempo, fornendo agli studiosi o a chi, soltanto, ami Leopardi, chiavi di lettura inaspettate che affondano in uno spessore filologico, critico e storiografico non comune. Un segnale forte per chi, troppo spesso, tende a ridurre la cultura alla sua dimensione effimera. Anche di ciò dobbiamo essere grati allo studioso napoletano che ha realizzato Leopardi nel tempo.


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