breve di cronaca
Dove vanno i comprensivi?
Scuola Oggi - 24-09-2003

I "comprensivi", ossia gli istituti che praticano anche formalmente la continuità fra materne, elementari e medie, che fine faranno? Il recente discusso decreto approvato dal consiglio dei ministri sulla riforma della primaria non ne fa cenno. Potrebbero dunque scomparire, il che significa che si potrebbe in prospettiva assistere a una sorta di destrutturazione di questi istituti. Sarebbe, soprattutto per i piccoli centri, una vera disfatta. Ma di che cosa si tratta? Scuolaoggi apre un altro capitolo di discussione, offrendo un documento per capire che cosa sono i "comprensivi", per capire il loro ruolo, per capire a che cosa si va incontro se la dimenticanza riscontrata nel decreto fosse anche in seguito confermata.


DOVE VANNO I COMPRENSIVI ?
di A.Acquati, G.Gandola, L.Leoni
Proposta di discussione.

Le origini.
Quella degli Istituti Comprensivi è una storia atipica, per molti versi irregolare, non certo corrispondente a una linea retta di “sviluppo progressivo”. I Comprensivi nascono, inizialmente, nel pieno dei processi di “razionalizzazione della rete scolastica”. Per tutelare le piccole scuole delle zone montane, evitandone così la soppressione, la legge n.97 del 31 gennaio 1994 consente, in quei territori, l’aggregazione di più scuole anche di diverso grado.
Altre ipotesi di aggregazioni tra scuole materne, elementari e medie sono previste dall'ordinanza n.315 del 9 novembre 1994 in via sperimentale, ai sensi dell'art.3 del DPR n.419/74, con la presentazione da parte delle scuole di progetti mirati, in zone territoriali caratterizzate da fenomeni di dispersione scolastica (attivano la procedura sperimentale, inizialmente, 22 istituti comprensivi).

Il Regolamento relativo al dimensionamento ottimale degli istituzioni scolastiche statali (D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233) stabilisce le condizioni per l'attribuzione dell'autonomia scolastica. Per avere riconosciuta l’autonomia gli istituti devono avere di norma una popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa tra 500 e 900 alunni; ridotta fino a 300 alunni per i comprensivi delle piccole isole e dei comuni montani. L'indice massimo (900 alunni) può essere superato, in deroga, nelle aree ad alta densità demografica e in casi particolari (es. istituti di istruzione secondaria con finalità formative che richiedono beni strutturali, laboratori ed officine di alto valore artistico o tecnologico).
"Qualora le singole scuole non raggiungano gli indici di riferimento sopra indicati, sono unificate orizzontalmente con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo ambito territoriale o verticalmente in istituti comprensivi, a seconda delle esigenze educative del territorio e nel rispetto della progettualità territoriale" (DPR n.233/1998).
Spingono in questa direzione da un lato la presenza nel territorio nazionale di troppe scuole medie di piccole dimensioni (la media italiana prima del dimensionamento era di circa 260 alunni per ogni scuola media), dall'altro l'interesse per i comprensivi mostrato da parte di molti Enti locali, che vedono nell'I.C. un interlocutore unitario, una sorta di "scuola della comunità" a livello territoriale.

Il fenomeno dei comprensivi si estende così a macchia di leopardo anche alle aree urbane e in tutto il territorio nazionale, per ragioni prevalentemente di carattere “quantitativo” e "amministrativo" (di razionalizzazione della rete scolastica e, conseguentemente, di contenimento della spesa pubblica).

Nel frattempo la Sperimentazione avviata nei primi Comprensivi, assistita da speciali gruppi ispettivi-tecnici (Nuclei Operativi Regionali), produce numerosi materiali di riflessione e ricerca su esperienze significative (il curricolo verticale, la flessibilità, il rapporto con il territorio, ecc.), come è ampiamente documentato in tutta questa fase.

Gli I.C. laboratorio dell'innovazione. Questa modalità di aggregazione “in verticale" viene fortemente sostenuta con motivazioni di carattere pedagogico-culturale-didattico da coloro che hanno in mente un processo di riforma che unifichi la scuola di base, rompendo la storica “separatezza” tra scuola elementare e scuola media. Vale a dire: cominciare a “comprendere” all’interno dello stesso istituto scolastico i due “gradi” di scuola (che però dal punto di vista della normativa vigente continuano a rimanere tali e quindi strutturalmente distinti) in attesa di un progetto complessivo di riforma della scuola, considerato imminente o comunque possibile, che unifichi anche sul piano ordinamentale l’intera scuola di base. I comprensivi intesi quindi come “passaggio intermedio”, testa di ponte verso una scuola di base unificata e unitaria, come vero e proprio “laboratorio” per l'innovazione (1).
In questo senso la legge di riforma n.30/2000, con la prospettiva del riordino dei cicli, avrebbe risolto definitivamente, seppure in maniera discussa e discutibile, la “transitorietà” dei Comprensivi.
Occorre dire, per correttezza di ricostruzione storico-giuridica, che la legge di Riordino n.30/2000 costituiva una ambiziosa cornice entro la quale i tratti del disegno erano ancora in gran parte da costruire. Sul piano delle implicazioni organizzative non sarebbe stata impresa facile infatti definire modalità, articolazione interna del settennio, ricollocazione degli insegnanti, ecc. nella nuova scuola di base. Le soluzioni in essa prospettate destavano infatti non poche perplessità tra gli stessi sostenitori dei Comprensivi, oltre che tra gli operatori scolastici più in generale.

Ma com’è noto questo processo è stato drasticamente interrotto. Uno dei primi atti del nuovo governo Berlusconi è stato quello sospendere l’attuazione della legge n.30/2000, come la Casa delle Libertà aveva esplicitamente preannunciato in campagna elettorale.
Di fatto l’abrogazione della legge di Riordino dei cicli e la successiva approvazione della legge di Riforma n.53/2003 (Norme generali in materia di istruzione) sanciscono la fine di quella prospettiva e con essa la riconferma della distinzione dei due gradi di scuola, elementare e media.

Gli I.C. e la Riforma. Nel frattempo il fenomeno dei Comprensivi ha raggiunto proporzioni notevoli, diffondendosi su tutto il territorio nazionale fino a costituire il 43% delle scuole di base.
E' importante ricordare che nella fase preparatoria della legge 53/2003, il Gruppo Ristretto di Lavoro costituito dal Ministro Moratti con decreto n.672 del 18 luglio 2001 e coordinato dal prof. Bertagna si era espresso diversamente. Nel documento conclusivo dei lavori presentato poi agli Stati generali il 19-20 dicembre 2001 (vedi in particolare le "Raccomandazioni al Ministro") non solo si proponeva di "collegare in un percorso, continuo e progressivo, la scuola elementare e la scuola media" (un "biennio di transizione" che comprende l'ultimo anno di S.E. e il primo anno di S.M.), ma addirittura, in questa prospettiva, si raccomandava "lo sviluppo ulteriore del modello dei comprensivi", una loro diffusione e generalizzazione.
Nella legge di Riforma tutto questo scompare, non vi è alcun riferimento ai comprensivi, si riafferma sostanzialmente la separazione tra scuola elementare e scuola media, rinominate "scuola primaria" e "scuola secondaria di primo grado", quasi a sottolinearne in maniera inequivoca, perfino nel nome, la specifica e diversa identità. Nello stesso schema di Decreto legislativo attuativo della legge 53 approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 settembre 2003 (Schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53), non si parla dei comprensivi..
Nel nuovo scenario delineato dalla legge Moratti, occorre allora chiedersi: venendo meno la prospettiva di una scuola di base unitaria, che senso hanno oggi i comprensivi sul piano pedagogico-istituzionale ? E soprattutto, qual è il loro destino?
E’ il caso di provare ad esaminarne vantaggi e svantaggi, costi e benefici, allo stato attuale delle cose.

Lati positivi e punti critici degli I.C. Fra gli aspetti positivi è sicuramente da considerare il fatto che essi costituiscono un fattore di continuità nel percorso didattico di alunni e docenti. I docenti dei due gradi di scuola hanno infatti l’opportunità di lavorare insieme, confrontarsi, definire un curricolo unitario e una progettazione didattica condivisa, utilizzare competenze professionali e risorse in comune (utilizzo integrato del personale docente, laboratori, ecc.), rompendo in questo senso la tradizionale separatezza e scarsa comunicazione tra le due scuole. In questo senso c’è chi continua tenacemente e coerentemente a sostenere la positività e la progettualità degli IC, come possibile "culla" del curricolo verticale e della formazione di base unitaria (2). Gli stessi Ispettori Tecnici che hanno effettuato in Lombardia il monitoraggio sulla sperimentazione della Riforma Moratti hanno ipotizzato che la struttura dei Comprensivi possa essere una variabile "più favorevole all'introduzione di iniziative di lavoro comune di quanto la sperimentazione sia stata capace di produrre" (3).

Un altro aspetto positivo va rilevato nel carattere di "scuola del territorio" che i Comprensivi hanno assunto, costruendo un legame più stretto con la comunità in cui operano, come scuole di quel paese, di quel quartiere, rafforzando il rapporto con gli enti locali (si è venuto a determinare, in molti casi, un maggior peso negoziale della scuola nei confronti dell'ente locale).

Gli svantaggi possono essere individuati soprattutto sul piano della “gestione organizzativa” di questi istituti, soprattutto da punto di vista del dirigente scolastico. Una cosa infatti è gestire solo plessi di scuola elementare o solo scuole medie, un’altra è gestire scuola elementare e scuola media insieme, e magari anche la scuola materna. E’ pur vero che la diversa “complessità” per i dirigenti scolastici ha un riconoscimento economico sul piano della retribuzione, ma la questione non può essere risolta così, come se bastasse dare qualche soldo in più, quasi fosse una “mancia”, ai capi d’istituto degli IC. Il vero problema riguarda il funzionamento di questi istituti, le ripercussioni che tale maggiore complessità ha su questo piano, con evidenti effetti sulla qualità del servizio scolastico per alunni e utenza.

Occorre allora essere realistici. Se gli IC non hanno più, in questo contesto, una prospettiva di sviluppo, occorre chiedersi qual è la loro ragion d’essere. Se li si vuole mantenere, perché in qualche modo se ne riconosce la funzionalità e il valore, è indispensabile allora garantire ad essi quelle condizioni che possono consentirne una corretto funzionamento, la possibilità di una gestione efficace.

Le condizioni indispensabili per gli I.C. Già tre anni fa nel corso del Convegno "Gli istituti comprensivi: crocevia per le riforme" (Milano, maggio 2000) in alcuni interventi si poneva con forza la questione dei "supporti indispensabili" per il buon funzionamento degli IC, fino a delineare quasi una vera e propria "piattaforma rivendicativa" essenziale. Tra le condizioni irrinunciabili si elencavano:
1) staff di direzione (esoneri e semiesoneri),
2) organico funzionale "arricchito" (assegnazione di risorse professionali per Progetti),
3) personale ATA in numero adeguato (sia assistenti amm.vi che collaboratori scolastici);
4) risorse finanziarie aggiuntive,
5) supporto dell'Amministrazione (formazione, coordinamento, ecc.). (4).

Queste "condizioni" sono più o meno riprese e ribadite in forma allargata nel corso del recente Convegno tenutosi il 30–31 maggio 2003 a Sestino (AR) sul tema “Piccole grandi scuole. Opportunità o svantaggio?”. Nel documento conclusivo del Convegno si chiede espressamente di inserire un "comma per i Comprensivi" negli imminenti decreti legislativi di attuazione della Legge 53/2003 e nel corpo della legge-quadro sui piccoli comuni in fase di discussione in Parlamento.
In particolare, nel comma aggiuntivo che si propone di inserire nel testo dei decreti applicativi della riforma (legge 53/2003), dovrebbero essere previste:
a) forme di raccordo sperimentale tra scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado;
b) ricerche e sviluppo di innovazioni curricolari in verticale nei diversi ambiti disciplinari, con sostegni finanziari, di consulenza, ricerca, ecc.;
c) modalità flessibili di utilizzo del tempo scuola, dell’organizzazione dei gruppi di alunni, dei prestiti
professionali tra docenti, nella prospettiva di un rafforzamento dell’organico funzionale dell’istituto
comprensivo;
d) semplificazioni delle procedure burocratiche, migliori possibilità di accesso ai progetti di innovazione, alle risorse tecnologiche e informatiche, alla formazione dei docenti, con incremento dei budget finanziari destinati agli istituti comprensivi. (5).

Sempre a proposito di "complessità" e di difficoltà di gestione, già nel citato Convegno di Milano del 2000 si metteva in guardia con estrema chiarezza contro il rischio di creare "mostri" organizzativi istituendo Comprensivi di dimensioni eccessive. Questa preoccupazione si è rivelata tutt'altro che infondata, nell'esperienza di questi anni. Un solo esempio di “cattivo comprensivo”: nel Comune di Milano il comprensivo di via Rasori comprende due plessi elementari e una media + una sede distaccata presso l'istituto Nazareth (tre classi di scuola media, progetto con Ministero di Grazia e giustizia), per un totale di 1400 alunni, 900 di scuola elementare e 500 media, e n.130 docenti. E’ difficile credere che in un vasto ambito territoriale come la città di Milano non fossero possibili accorpamenti di scuole diversi (o la formazione di due istituti autonomi invece di uno, in presenza dei numeri “necessari”), evitando di superare ampiamente il tetto massimo previsto dal Regolamento (900 alunni) in un solo istituto.
Le dimensioni, il "numero degli alunni", ai fini di un efficace funzionamento del comprensivo, non sono una variabile irrilevante, da trascurare: la complessità degli IC richiederebbe uno standard non superiore ai 700-800. Dove va a finire, altrimenti, la possibilità di una comunicazione inter-professionale, la possibilità di quell'attenzione maggiore al dato pedagogico-formativo che dovrebbe essere tipica dell'IC (per non parlare della "personalizzazione" alla Bertagna…)?

Ora, un altro rischio ed un'altra preoccupazione stanno prendendo quota. Dopo il recente CCNL della scuola e dopo la dirigenza scolastica, non sussiste più la figura del “vicario” (o vicepreside), ma si prospettano solo “incarichi” attribuiti dal dirigente scolastico (e retribuiti con il fondo d’istituto, previa contrattazione con la RSU di scuola). Per quest’anno nulla è cambiato per quanto riguarda gli “esoneri”, una delle condizioni fondamentali per gestire una struttura complessa come il Comprensivo. Comincia a farsi strada la voce che questi “distacchi” non avranno vita lunga e che, prima o poi, siano destinati a rientrare, a non essere più concessi. Questo costituirebbe un grosso problema per gli IC, tale da mettere in seria difficoltà la gestione degli stessi.

Insomma: é giunto il momento di riaprire su larga scala il dibattito sui Comprensivi, invitando al confronto scuole, associazioni professionali, sindacati e Amministrazione. Il rischio incombente è quello di una stentata sopravvivenza degli IC, ridotti a fatto meramente burocratico-amministrativo, sempre più deprivati di senso e di prospettiva progettuale. E' necessario allora riprendere l'iniziativa, riavviare la discussione, prima di doversi chiedere, come nella canzone di Dalla, "dove vanno i marinari, con le loro facce stanche…".

Aldo Acquati, Gianni Gandola, Loredana Leoni
(dirigenti scolastici provincia di Milano)



Milano, 24 settembre 2003



Note.

(1)
Giancarlo Cerini, "Verticale che passione..!" (vedi I cicli, http:// www.edscuola.it/cerini.html)
(2) Giancarlo Cerini "Gli I.C.: non ti scordar di me" e "Istituti comprensivi: e adesso..?" (rif. I cicli, in http:// www.edscuola.it/cerini.html)
(3) Ufficio Scolastico per la Lombardia, Relazione "La sperimentazione della riforma in Lombardia", a cura degli Ispettori tecnici
(vedi: http://www.istruzione.lombardia.it/riforma/riforma.htm) alla voce "monitoraggio"
(4) Atti Convegno nazionale CGIL scuola e Proteo Lombardia, Milano, maggio 2000 "Gli Istituti Comprensivi: crocevia delle riforme" (vedi: G.Gandola: "I.C. e dirigenti scolastici" in http://www.proteofaresapere.it/cicli/istituti_comprensivi_e_dirigenti.htm e F. Dacrema "I.C. quali risorse per l'innovazione e le riforme" in http://www.proteofaresapere.it/cicli/istituti_comprensivi_risorse.htm)
(5) Atti Convegno tenutosi il 30 – 31 maggio 2003 a Sestino (AR) sul tema “Piccole grandi scuole. Opportunità o svantaggio?” (vedi: http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/comma.htm)

  discussione chiusa  condividi pdf

 Silvana Petrillo    - 02-10-2003
Sono una insegnante di un istituto comprensivo divenuto tale dopo cervellotiche aggregazioni e disgregazioni di plessi , direzioni didattiche e scuole medie, da alcuni anni abbiamo impegnato la nostra professionalità nel costruire una verticalità che non sia solo sulla carta o perchè deciso dai sindaci!!
Stiamo lavorando in laboratori al fine di costruire un curricolo verticale, lo abbiamo rivisto alla luce delle indicazioni e raccomandazioni, lavoriamo per progetti verticali e ora che succederà? mi chiedo: ma chi sta rinnovando....? la scuola ha letto i POF, ha visitato qualche scuola, ha parlato con i docenti (non solo negli spot)?