breve di cronaca
Il Dpef , la scuola e la ricerca
La Repubblica - 20-07-2003
Il risultato era purtroppo scontato, di questi tempi, ma non per questo meno deludente. L´ultimo Documento di programmazione economica e finanziaria è l´ennesima occasione perduta per un´autentica svolta nelle politiche pubbliche di allocazione delle risorse nel campo della scuola e dell´università. Molte parole (senza conseguenze) sull´importanza della formazione e della ricerca, e poi le miserie di sempre, che inchiodano la spesa intorno a quel famigerato uno per cento del prodotto interno lordo (ormai un´autentica soglia della vergogna), ben lontano dall´Europa che conta - non diciamo dall´America o dal Giappone.
E tuttavia non ne parlerà nessuno: l´argomento, dopo tanto inutile discutere e denunciare, sembra ormai a tutti logoro e vieto. E poi adesso sono stati almeno evitati nuovi tagli; il ministro Moratti è riuscito a farsi sentire: qualcosa per finanziare l´avvio della riforma dei cicli scolastici sembra sia stata trovata; il sistema universitario non è stato ulteriormente penalizzato; insomma, pare sia stato ottenuto quanto basta per tirare ancora avanti un po´, senza troppe proteste, e senza aumentare eccessivamente i danni.
Ma è esattamente così - silenzi per estenuazione e soddisfazione di piccoli successi tattici per evitare il peggio - che si consolida, in termini strategici, la tendenza dell´Italia ad abdicare e a fermarsi, e ad accettare come inevitabile il declino e la perdita d´orizzonte delle sue classi dirigenti: opportunità private in cambio di un desolante oscuramento dello spirito pubblico; rifiuto a raccogliere le sfide collettive, a scegliere insieme; stare ai margini, negli interstizi; galleggiare: dopo si vedrà.
Bisogna perciò saper riprendere il discorso dal suo vero punto critico, e non rassegnarsi. C´è una ammissione da fare. Mezzo secolo di politiche democristiane hanno considerato la scuola (e l´Università) molto più un serbatoio di voti e di consenso a basso costo che non una ricchezza e un investimento. Una sindacalizzazione sostanzialmente corporativa, senza storia e senza idee, ha fatto il resto. In un simile contesto, tener basso il livello delle risorse era assolutamente conveniente: la loro destinazione era, per dire così, tutta politica, e assai raramente raggiungeva obiettivi strutturali. Si produceva in tal modo una distorsione che determinava a sua volta culture, mentalità, comportamenti, attese. E che ha indotto nell´opinione pubblica la convinzione - oggi assai estesa e radicata - che il mondo della scuola, dell´università, della ricerca sia stato e continui a essere un grande universo opaco, caratterizzato da connivenze e da oligarchie impenetrabili e da una lunga tradizione di spreco di pubblico denaro, e dove quindi tagliare non fa mai male (il ministro Tremonti ne sa pur qualcosa) mentre investire è un salto nel buio.
Questa persuasione - dagli esiti davvero drammatici, perché finisce con il separare la società dai luoghi dove si prepara il suo futuro, e che emerge ad ogni stretta finanziaria - ha un suo fondo di verità, per quanto esagerato. Essa fa da retroterra e da alibi per l´attuale e colpevole abbandono. E perciò lamentarsi non basta. Se si vuole davvero cambiare, si deve riuscire a rovesciare un tale atteggiamento: e riconciliare finalmente il Paese con le istituzioni del suo sapere e della sua formazione. Ma come?
Ecco alcune regole cui, per cominciare, ci si dovrebbe attenere:
1. Vincolare ogni risorsa aggiuntiva all´indicazione precisa della sua destinazione finale, con possibilità di verifica costante dell´intero processo, dall´erogazione alla spesa effettiva, sensibilizzando contemporaneamente ogni volta l´opinione pubblica sulla necessità dell´investimento.
2. Eseguire e rendere pubblica una mappatura del sistema scolastico, con l´indicazione delle zone o delle situazioni dove si richiedono interventi strutturali per il raggiungimento di standard europei, con una rigorosa indicazione delle priorità.
3. Razionalizzare il sistema universitario (sedi e corsi di laurea) cresciuto in modo affatto caotico, attraverso una trasparente e tempestiva politica d´incentivi, che obblighi a diversificare, a specializzarsi ed essere competitivi, o a chiudere.
4. Costruire una rete dell´alta formazione (dottorati e quant´altro) intorno a poli nazionali di grande prestigio, in grado di collegare ricerca e didattica avanzata, e che diano conto regolare e pubblico delle scelte, dei programmi e dei risultati nei singoli campi in cui operano.
5. Favorire l´apertura di tavole permanenti d´incontro e di concertazione fra scuole, università, poli d´alta formazione, regioni, enti locali, sistema bancario e mondo delle imprese per l´individuazione comune di singoli obiettivi in grado d´attrarre capitali non statali, la cui gestione e spesa dovrebbe essere verificata da gruppi di controllo congiunti.
Troppo difficile? Troppo ovvio? Troppo utopistico? Ma da qualche parte bisogna pur cominciare, se non vogliamo perderci.

ALDO SCHIAVONE
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 Red    - 20-07-2003
Le "regole" proposte nell'articolo hanno un respiro ampio, in netto contrasto con altri eventi scolastici di quest'ultimo periodo. Ci riferiamo per esempio alla Circolare Ministeriale del 16 maggio scorso , relativa al "conferimento e mutamento degli incarichi dirigenziali per l'anno scolastico 2003/2004", intesi in senso provvedimentale e dunque in contraddizione con i principi dell'autonomia e della continuità.
Cgil, Cisl, Uil Scuola e Snals avevano già fatto pervenire al Presidente e ai Capigruppo dei partiti della VII e XI Commissione Camera dei Deputati e Senato, lo scorso maggio, un documento unitario che esprimeva preoccupazione per l'estensione della Legge Frattini ai Dirigenti Scolastici.
Di qualche giorno fa è la notizia dell'intenzione, da parte dei Sindacati Unitari, di impugnare il provvedimento a livello giurisdizionale. Qui i dettagli.

 ilaria ricciotti    - 20-07-2003
Letto il commento,
è chiaro lo scempio.

Esso non si può accettare,
il sapere è un diritto costituzionale.

Un paese che non avanzerà
costruirà una misera società.

Una società a scale...
dove ci sarà
a dismisura...
chi scende...
e
chi sale...

Il Dpef non mi sta bene,
esso è pieno:
di meandri...
di buchi neri...
che provocano al cuore
non gioie,
ma tante sofferenze e pene.

 Red    - 21-07-2003
L’Associazione provinciale dei dirigenti scolastici di Pordenone, presieduta dal preside del liceo Leopardi-Majorana Sergio Chiarotto, ha presentato alla nuova giunta regionale le sue proposte in materia di istruzione e formazione.
I presidi pordenonesi hanno indirizzato al presidente Illy e agli assessori regionali all’istruzione, Antonaz, e alla formazione professionale, Cosolini, un documento nel quale avanzano due proposte: la prima a sostegno dell’“autonomia scolastica”, la seconda per realizzare un “sistema di istruzione e formazione professionale”.
Nel dettaglio, per quanto riguarda l’“autonomia scolastica” si propone che il consiglio regionale elabori una legge che riconosca «la libera e autonoma progettualità culturale e didattica di ciascun istituto scolastico», concedendo un sostegno finanziario alla progettualità degli istituti sia per l’attività di docenza sia per le attività formative integrate; tale sostegno dovrebbe essere per una quota legato ai dati oggettivi della singola istituzione scolastica (alunni, docenti) e per altra parte in relazione a progetti specifici coerenti con gli obiettivi e finalità indicati dall’amministrazione regionale. Viene chiesto inoltre un sostegno all’innovazione didattica e tecnologica, attraverso la promozione di attività di formazione dei docenti e il finanziamento di nuove apparecchiature e strutture didattiche.
Per quanto riguarda la seconda proposta, tesa a realizzare il “sistema di istruzione e formazione professionale”, nel documento si chiede che «venga data adeguata risposta alle esigenze formative dei giovani»: anche chi sceglie un percorso formativo “breve” (4 anni dopo la scuola media) deve acquisire elementi di cultura di base sufficenti a rendere possibile il passaggio al percorso liceale; vanno promossi accordi fra i centri di formazione professionale e gli istituti di scuola media superiore per garantire un buon livello qualitativo sia alla formazione professionale sia alla dimensione culturale ed educativa, e sarebbe opportuno anche elaborare strumenti istituzionali che rendano possibile un’interazione continua tra il “sistema dei Licei” e il “sistema della formazione e istruzione professionale”. Ultimo punto della proposta, la realizzazione di modalità significative di esperienze di stage e di alternanza scuola-lavoro.

Dal Messaggero veneto

 Tuttoscuola    - 22-07-2003
Dpef e scuola: un calando preoccupante per questo Governo

Andando a rileggere i Documenti di programmazione economica e finanziaria varati dal Governo Berlusconi dal 2001 a oggi, si scopre che la scuola e' posta via via ai margini. Vediamo.
Il Dpef del 2001, scritto dal Governo a ridosso dell'inizio della legislatura, non aveva avuto molto tempo per affrontare organicamente i temi dell'istruzione, ma era comunque riuscito a lanciare l'idea della riforma degli ordinamenti e a prevedere un impegno economico per l'utilizzo delle tecnologie multimediali nonche' per la formazione e la valorizzazione del personale, titolando l'impegno con ìformazione di capitale umanoî.
La scuola aveva avuto un posto di riguardo nel Dpef 2002 , anche se il ministero dell'Economia, in occasione del bilancio di assestamento, aveva rimproverato quello dell'istruzione di avere splafonatoîlimiti di spesa previsti, incentrando i suoi obiettivi per la scuola sul progetto di riforma, confermando gli impegni per:
  • riforma degli ordinamenti e interventi connessi con la loro attuazione e istituzione del Servizio nazionale di valutazione dell'istruzione;
  • sviluppo delle tecnologie multimediali;
  • valorizzazione professionale del personale docente e amministrativo e autoaggiornamento;
  • misure volte a prevenire e rimuovere il disagio giovanile al fine di assicurare la piena realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione;
  • interventi per lo sviluppo dell'istruzione e formazione tecnica superiore e per l'educazione degli adulti e di adeguamento delle strutture di edilizia scolastica.

Oltre alla riforma, l'impegno del Governo era di proseguire con interventi per la modernizzazione e al potenziamento del sistema educativo nazionale, anche per contenere gli elevati tassi di abbandono.
Ci si aspettava quest'anno un passo avanti, vista anche la concomitanza del semestre europeo.
Invece il Dpef 2003 non dice nulla sull'attuazione della riforma ed evidenzia solamente il bisogno di interventi per il potenziamento del sistema educativo per l'infanzia. Per la riforma c'e' solo l'impegno a dibatterne l'attuazione con le forze sociali e le diverse istituzioni coinvolte.
Una scuola, insomma, sempre piu' in tono minore e un Governo che rischia di caratterizzarsi per un sistematico rimando delle soluzioni a tempi futuri.
Il Dpef sulla scuola in questo senso e' un compendio di rinunce e di occasioni mancate che rispecchia il profilo sempre piu' svaporato della leadership di governo. E fa apparire l'istruzione sempre piu' ai margini dell'attenzione della maggioranza.