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I cento passi
E' difficile non piangere dopo un film così.
Un film dove c'è tutto.
Il male e il bene, la giustizia e le sue diverse maschere, la passione, l'amore, la nostalgia e la bellezza.
La bellezza soprattutto, il ricordo della bellezza che si perde dentro le normalità che la soffocano, come l'ermo colle soffocato dalle case di cemento, con le tendine aggrappate alle finestre, quasi a volerla sostituire, riproducendola artificiosamente. Senza fretta, ma con paura.
Prima che politico il film appare una biografia, nel senso più classico del termine, come in una foto d'interni.
La contraddizione vive e muore nel tessuto più intimo: la famiglia, e la famiglia siciliana.
Dove un bambino taglia le sue radici, un padre non può più scegliere, una madre salva sapendo che non riuscirà, un fratello accompagna rinunciando a qualcosa di sé, come per rimarginare più ferite.
Qualcosa più di una denuncia, che pure stigmatizza il sistema nel suo insieme, lo strapotere mafioso, lo stalinismo del partito, la violenza , l'omertà, il nulla, il film dipinge una storia fatta di paesaggi e di ritratti. A guardarli li riconosci e ne cogli le somiglianze con altri luoghi ed altri tempi.
Una storia nella storia: e non sai bene dove mettere la maiuscola, perché certo non abbiamo letto sui giornali le poesie del piccolo siciliano ammazzato lo stesso giorno del ritrovamento di Moro, in quel lontano 1978, ma oggi, dopo venticinque anni, la sua radio, Radio Aut, chiede di essere riaperta a Cinisi e sulla rete costruisce un sito.
Scomodo, al punto che ignoti lo hanno già cancellato
"Evidentemente il nostro sforzo di fare controinformazione ed antimafia sociale ha dato fastidio a qualcuno. Con in testa bene impresso il coraggio di Peppino noi continuiamo..."
Una possibilità che conosce i sui prezzi, ma la dolcezza è più grande.
Cento passi tra noi e l'infinito?