Contro la riforma dell' Esame di Stato
Valentina Soncini - 26-11-2001
Desidero rendere nota una lettera inviata al Ministro Moratti contro l'articolo 13,7 sull'esame di stato che si vuole collegare alla petizione di Cavedon pubblicata su questo sito. In calce alla Petizione si possono leggere anche le 120 adesioni giunte sinora.
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Gentilissima Signora Letizia Moratti, Ministro della Pubblica Istruzione

Prima ho appreso via radio e poi ho potuto leggere da articoli del Sole 24 Ore del lunedì 5 Novembre 2001 quanto si sta approvando in Finanziaria 2002 con l’articolo 13, comma 7. Se questo articolo dovesse essere approvato definitivamente la commissione dell’Esame di Stato risulterà composta da soli membri interni e non più da membri interni in pari numero con esterni e un presidente esterno. Questo provvedimento consentirebbe un notevole risparmio.
Se ho inteso bene e se nel frattempo la proposta rimanesse quella annunciata, vorrei esprimerLe tutto il mio dissenso di insegnante di scuola superiore da circa 15 anni. Il dissenso è relativo al contenuto e alla forma di questo intervento di cui la ritengo responsabile in quanto Ministro della Pubblica Istruzione.
Per quanto concerne il contenuto: che tipo di esame si avrà se la commissione sarà tutta interna? Potrebbero insegnanti che hanno promosso negli anni gli alunni fino in quinta, che hanno verificato durante tutto l’anno la preparazione dei ragazzi, giungere alla fine di giugno a un giudizio diverso da quello degli scrutini di inizio giugno? Mi sembra si debba presupporre una classe insegnante molto virtuosa per essere assolutamente disponibile a bocciare i ragazzi che ha promosso fino in quinta. Con il giudizio di esterni, si può, invece, da parte dei membri interni, valutare diversamente certe situazioni. Se la commissione resta tutta interna, l’esame non diviene in sostanza inutile? Perché non mandare allora un commissario governativo agli scrutini delle classi quinte e abolire del tutto l’esame, o far presiedere l’esame dal preside stesso delle scuole, risparmiando non tanto ma tutto quello che ora si spende, se questo solo è il problema di cui si discute?
Inoltre, se l’esame viene gestito dalla stessa scuola che ha preparato i ragazzi, viene meno lo stimolo ad un lavoro più rifinito e inoltre si elimina il senso di un esame di fronte a estranei che chiede a chi la sostiene coraggio, equilibrio, tenacia, preparazione complessiva, capacità di relazionarsi. Ritengo anche che una commissione di interni non sia più giusta o più ingiusta di una commissione mista, sicuramente ha però un impatto molto diverso sui ragazzi. Non ho sfiducia nella professionalità dei colleghi, temo però due cose: l’autoreferenzialità delle singole scuole e dei singoli consigli di classe e un prossimo provvedimento che decida di abolire sia il valore legale del titolo di studio, sia l’esame.
Quali i guadagni in termini educativi se tutto ciò avvenisse? Cosa diranno i nostri colleghi dell’università trovandosi di fronte a una massa di studenti che mai ha dovuto affrontare un esame nella vita? Togliere il significato di un esame conclusivo che chiede capacità di analisi, di sintesi, di comunicazione, infine, a mio giudizio significa indebolire l’intero percorso didattico. Solo in un mondo di virtuosi si studia solo per amore della cultura e mi sembra strano immaginare un mondo di studenti virtuosi in un mondo della vita cinico e spregiudicato. Se non alleniamo i nostri ragazzi a esprimere il meglio di sé di fronte alle prove, non facciamo loro un buon servizio e lasciare che ci sia nella vita una selezione naturale significa rinunciare al compito educativo della scuola. Lo studio per me è formazione culturale e formazione del carattere e della persona, in quanto lo studio è anche attività agonistica. Se però all’allenamento non segue una vera gara, anche l’allenamento perde di significato.

Sono in disaccordo con Lei anche per il metodo che ha seguito. Dopo cinque anni di opposizione alla riforma Berlinguer per tante ragioni, ma soprattutto per non aver tenuto conto degli insegnanti e delle famiglie, ora giunge da Lei e dalla Sua parte politica un provvedimento che cambia la commissione d’esame e con essa introduce una serie di implicazioni nuove, senza che ciò sia stato minimamente sottoposto a dibattito. Infatti, mentre su altro il dibattito si apre, su questo punto non mi sembra ci sia confronto. Purtroppo molti saranno d’accordo con Lei per ragioni di risparmio, per il fatto che così l’esame sarà un proforma, per il vantaggio di non dover essere coinvolti nell’esame se non si è insegnanti di quinta.Tutte buone ragioni, ma assolutamente estranee a criteri didattici ed educativi, purtroppo, ancora una volta !!!
Per favore ripensi a questo provvedimento, che mostra ancora una volta quanto i criteri adottati per amministrarla non tengano conto dell’aspetto educativo e formativo, bensì di altri parametri che esulano dallo specifico della scuola.

Distinti saluti
Valentina Soncini - seguono altre 140 firme


L'articolo su Repubblica del 26 novembre di Mario Pirani, a cui e' stata inviata la lettera

Povera scuola inutile "azienda"

Un gruppo di insegnanti mi ha trasmesso in copia una letteraappello a Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione (non più pubblica), perché sospenda il provvedimento, collegato alla Finanziaria per dargli immediata esecutività, che prevede una commissione composta da soli docenti interni per l'esame di Stato, cioè per il momento di verifica più importante dell'intero percorso di studi. Importanza, del resto, comprovata dal fatto che la stessa Costituzione all'art.33 lo prescrive espressamente. Fino ad oggi le commissioni di esame erano formate da tre membri interni, tre esterni e un presidente, anche lui esterno. La presenza prevalente di commissari esterni aveva lo scopo di garantire una verifica oggettiva sul funzionamento formativo e selettivo di ogni singolo istituto, il rispetto di alcuni parametri nazionali basilari, la serietà dell'impegno anche delle scuole paritarie private nell'impartire un insegnamento altrettanto valido di quello impartito nel settore pubblico.
È evidente che, se i commissari sono tutti interni, ogni elemento di controllo e di comparazione viene automaticamente a cadere. Ogni istituto vivrebbe in una logica autoreferenziale. I docenti interni, già privati della possibilità di esercitare una selezione preventiva, per l'affievolirsi dell'incidenza dei meccanismi intermedi, non potranno che piegarsi del tutto alla imposizione dei presidimanager di promuovere tutti, per far contenti i «clienti» della scuolaazienda, che, in tal modo, risulterà ancor più attraente e «concorrenziale». Con buona pace della stragrande maggioranza delle famiglie che sembrano non aspirare altro che ad avere figli soddisfatti e allegri, ancorché somari. Ma chi officerà "Te Deum" di ringraziamento saranno soprattutto preti e monache che gestiscono scuole private paritarie, i cui iscritti, dal giorno dell'iscrizione e del pagamento della retta, saranno sicuri che nessun occhio esterno verificherà l'attendibilità del diploma.
Del resto il disarmo degli insegnanti interni era già cosa fatta con il venir meno, da tre anni a questa parte, della possibilità di non ammettere alla maturità neanche quei pochissimi che per i pessimi voti nella maggioranza delle materie apparivano del tutto impreparati a sostenere l'esame. Con la riforma tutti sono stati ammessi all'esame di Stato, anche se hanno tutti sei rossi (e, cioè, quelle insufficienze pudicamente mascherate cambiando un 4 in 6, scritto, però, con inchiostro rosso, forse per la vergogna). Ora, con lo svilimento delle commissioni d'esame, anche questo traguardo simbolico per gli studenti viene a cadere. L'ipotesi, che già è stata affacciata, di ridurre, in un futuro assai prossimo, anche quanto resisterebbe di questo residuale ostacolo alle sole prove scritte (in gran parte test) denota come ormai stia passando l'idea che la preparazione umanistica, che si accompagna alla capacità della comunicazione orale, appartenga ormai ad un passato inutilizzabile nel quadro della sciagurata «aziendalizzazione» della scuola.
I due argomenti che sorreggono la decisione di declassare l'esame di Stato confermano questo giudizio. Il primo è, infatti, puramente economico: abolendo i commissari esterni si risparmieranno 200 miliardi di trasferte e indennità. Peccato che questa ansia sparagnina, che dovrebbe giustificare una così infausta misura, abbia come corrispettivo i 200 miliardi di spesa aggiuntiva che saranno stanziati per immettere in ruolo 13.000 insegnanti di religione, vidimati personalmente dalle diocesi, fino ad oggi assunti con contratti annuali assai meno onerosi e specifici alla particolare materia (d'ora in poi saranno insegnanti a pieno titolo e potranno, in taluni casi, anche senza laurea, accedere ad altre cattedre).
Il secondo argomento è peggiore del primo: poiché il 96% dei candidati viene promosso già ora, tanto vale lasciar perdere del tutto ogni criterio di selezione e risparmiare quei soldi. Come dire: visto che la maggior parte dei reati resta impunito, tanto vale risparmiare gli stanziamenti per le forze dell'ordine e per la Giustizia. Paradossi a parte, questa misura appartiene a quella stessa filosofia che portò il ministro D'Onofrio ad abolire, al tempo del primo governo Berlusconi ma col voto unanime del Parlamento, gli esami di riparazione. Speravamo che Letizia Moratti, proprio perché è anche una manager intelligente, non si lasciasse abbindolare dall'aziendalismo d'accatto che ha purtroppo contaminato anche le idee riformistiche del centro sinistra. Ci dia un segno che non avevamo del tutto torto: tolga quella sciagurata decisione dalla Finanziaria.

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 Alberto Elia    - 16-01-2002
Leggo con estremo ritardo, ma condivido. Cerchiamo di arginare almeno la riforma, altrimenti i danni saranno incalcolabili.