In bocca al lupo!
Marino Bocchi - 14-06-2003
Tanti, tanti anni fa c’era un giovane che amava gli amici, le ragazze, il vino e il rock. Andava ai concerti e una sera che allo Stadio comunale di Bologna c’erano i Jethro Tull un suo coetaneo, molto corpacciuto e fumato, dall’anello superiore gli fece la pipì sulla testa. Fu solo grazie a Riziero, il suo insegnante di Italiano, a cui lui e i suoi compagni davano del tu, che quel giovane venne ammesso a sostenere gli esami di stato. “Tanto e’ spacciato”, “Poi finisce che lo promuovono, che schifo….Lo dobbiamo al ’68 e alla scuola di massa”; “Sono i colleghi come te, quelli del 6 politico, che mandano la scuola in rovina”: questo ed altro si sentì dire Riziero dai suoi colleghi. La commissione, formata da esterni, era presieduta dalla preside del Liceo classico Berchet di Milano, una signora dell’alta borghesia molto colta e gentile, dai tratti discreti e discosti, riservati.
Il giorno della prova scritta d’Italiano quel giovane scelse, fra i titoli, il tema sul neorealismo. Non che avesse particolarmente studiato quel periodo ma Riziero gli aveva spiegato Pavese e la Resistenza e una volta tanto quel discorso lo aveva interessato. Al punto che aveva persino compiuto il passo fatidico: era entrato per la prima volta in una biblioteca, per prendere a prestito alcuni romanzi neorealisti. Avrebbe potuto quel giovane affrontare l’argomento per le generali, parlare dei caratteri e degli autori più rappresentativi, come gli chiedeva la traccia. Ma siccome quel giorno in biblioteca, girando fra tavoli e scaffali, aveva adocchiato una ragazza del movimento studentesco, da lui tante volte intravista nei cortei e al cui fianco si era seduto per fare conoscenza, decise di raccontare il fuori tema: non il neorealismo ma l’ambientazione, la biblioteca, gli scaffali, la ragazza seduta coi ricci capelli sciolti sul libro che stava leggendo. E su questo impianto, parlò dell’amicizia del protagonista per Nuto e della morte di Irene e Santina. Parlò di questo e di altro e di sé e dello scricchiolare del pavimento in legno e di quanto si sentisse goffo scricchiolando fra tutta quella gente tanto diversa da lui , seria, compunta, concentrata sulla lettura. Quando, il giorno dopo, quel giovane raccontò a Riziero l’impostazione che aveva dato al tema, a quell’uomo barbuto, anarchico, passionale e coltissimo, scesero le lacrime dai begli occhi inquieti: “Sei fottuto”, commentò. E invece la vecchia signora che presiedeva la Commissione volle correggere l’elaborato e gli diede 10. All’orale il commissario d’Italiano disse a Marino, così si chiamava quel giovane, che intanto si complimentava con lui per aver scelto di iniziare col Castello di Kafka ma che era incuriosito dalle ragioni di quella scelta. Strabuzzò gli occhi quando si sentì rispondere che era stata casuale: “L’ho trovato in un giorno di lezioni su una bancarella a metà prezzo”. L’elegante e vecchia signora milanese fece un sorriso: “Ottima idea”, commentò.. Fu a quel punto che Marino capì che sarebbe uscito non solo promosso ma anche con un punteggio molto alto.

Cari ragazzi, oggi Marino fa l’insegnante e ogni volta che conduce una classe all’esame non può fare a meno di tornare per tre settimane il giovane che amava l’amore, il vino e il rock. Ma i tempi sono cambiati. Ogni volta cerca di trovare, nei Presidenti di oggi, quel tono discreto, gentile e acuto della vecchia signora borghese, che sapeva capire anche le culture e gli stili tanto diversi da quelli dell’ambiente da cui proveniva. Ci spera anche quest’anno ma non si fa illusioni. E non fatevele neanche voi, cari ragazzi. Oggi chi è o va fuori tema è bocciato. Oggi i presidenti e gli insegnanti sono, anzi siamo, tenuti a certificare il percorso scolastico e, deterministicamente, a trarne le conclusioni. Nel quadro degli obiettivi fissati in sede di programmazione e fra un anno di quelli predisposti dall’Istituto nazionale di valutazione. Sulla base, sempre e comunque, di uno standard. Di un modello astratto di alunno. Di un sapere, saper essere e saper fare che non tiene mai conto del vostro “sapere”, quello che si acquista frequentando la strada, i gruppi, le vostre letture che non sono le nostre. Come aveva intuito quella gentile signora, senza la quale io non sarei qui a raccontarvi questa storia.

In bocca al lupo, cari ragazzi. E non dite “crepi” perché i lupi sono animali dolcissimi e solitari anche quando vivono in comunità. Sono anarchici. Come quel Lupo della steppa che il mio amico Franco trovò su quella stessa bancarella di libri usati in un giorno di lezioni.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 ilaria ricciotti    - 15-06-2003
E' proprio vero, i ragazzi non vengono valutati per ciò che veramente hanno acquisito anche attraverso la loro esperienza di vita, ma solamente per ciò che sono riusciti a contenere nella loro testa: contenuti spesso vuoti, neutrali che noi insegnanti pretendiamo che loro sappiano a tutti i costi, altrimenti saranno bocciati. Che pena e che schifo, proporsi come educatori in questo modo!

 Anna Cerri    - 15-06-2003
Condivido il contenuto ma...l'ultima frase...ti prego, lascia che il Lupo della tradizione (il deterrente usato dai nostri nonni) continui a svolgere il suo "compito" fin che una nuova cultura condivisa non venga a sostituire l'attuale, con nuovi simboli da "maltrattare"...
Scusa, ma anch'io amo i Lupi e preferisco "usarli" (il che significa parlarne) che dimenticarli.

 Franca    - 15-06-2003
C'ero anch'io a Bologna, al concerto dei Jetho Tull!
Che musica e che tempi!
Io gli esami di stato li avevo già dati uno o due anni prima, non mi ricordo più; non ne ho un gran ricordo, sono stati compiti ed interrogazioni come tante negli anni scolastici precedenti, solo conditi di molta ansia in più nel caldo torrido del luglio fiorentino.
Credo che dopo il '68 qualche spiraglio si sia aperto, ma negli ultimi anni forse stiamo ritornando proprio a quel nozionismo, che per noi era una parolaccia e che mortifica l'intelligenza di tanti ragazzi e di tanti insegnanti.

 Giuseppe Aragno    - 15-06-2003
Mi hai fatto venire in mente un altro ragazzo: amava anche lui gli amici, il vino e le ragazze. Il rock un po’ meno, ma in compenso giocava a calcio che era un piacere vederlo: basso ma felino, nei sette metri e dispari della porta volava dovunque lo conducesse un pallone e in uscita piombava tra i piedi degli attaccanti lanciati a rete col coraggio degli incoscienti.
Si chiamava Giuseppe, ma era per tutti Geppino. Anche il suo esame andò in maniera strana: ci andò da militare, per ottenere una licenza.
Aveva lasciato il liceo scientifico in quarta, due anni prima – era incompatibile con certe regole e l’avevano convinto che non era fatto per la scuola – e tutto quello che desiderava era di stare quanto più poteva con una ragazza che aveva lasciato partendo. Non ci andò in divisa, non intendeva speculare. Fece gli scritti velocemente - rientrando doveva dimostrare di essersi presentato agli esami - e giunto agli orali chiese un attestato di presenza per andar via senza sostenere esami. Anche per lui c’era un futuro da insegnante e non lo sapeva, anche per lui ci fu un presidente che capiva le culture diverse dalle sue. Un filosofo. Fece sedere il ragazzo frettoloso, lo pregò di attendere e si fece portare il suo compito d’italiano. Nove Marino, non dieci e non del tutto fuori tema. Una mezza pazzia Catullo, con i riferimenti a De Gubernatis le nugae tradotte in bello stile italiano e una Lesbia nei panni di improbabile femminista. Pochi versi contro Cesare avevano fatto del poeta veronese un campione delle libertà repubblicane. Otto agli altri scritti, matematica compresa, quella che fino ad allora il ragazzo non aveva “mai capito”.
Non la faccio lunga. Il filosofo fu convincente: non avrebbe firmato attestati senza esaminare. E il ragazzo capì.
Giuseppe ha fatto l’insegnante fino al 1999. Quando ha smesso i tempi stavano cambiando come tu dici, Marino, e si sentiva di nuovo un pesce fuori dall’acqua come gli era capitato anni prima al liceo, quando aveva piantato baracche e burattini e s’era messo a lavorare.
Presidenti filosofi se ne trovavano sempre di meno. C’erano ancora, però, per fortuna, insegnanti come Marino: quelli che conservano l’umanità che basta a riconciliarti con la scuola.