breve di cronaca
Illetterato ed idiota
S. Giuseppe da Copertino
Nato il 17 giugno di 400 anni fa



Nelle prime pagine della sua celebre e discussa autobiografica, Sono apparso alla Madonna (1983), Carmelo Bene così scriveva nel suo stile immaginifico: «...In questo sud dei Sud è nato il più grande santo tra i santi, che eccede la santità stessa... L'anno medesimo in cui si brucia il Pensiero a Campo de' Fiori, a Copertino nasce la Grazia, l'ignoranza, il santo che non ha il senso della gravità. Levita, vola. Si faceva chiamare "Frate Asino", se ne andò in giro per il mondo "a bocca aperta": "illetterato et idiota", è l'apoteosi del depensamento...».
In effetti, a leggere alcuni giudizi redatti dai superiori, verso la fine del primo noviziato (1620), sul diciassettenne Giuseppe Desa, si ha la conferma di questa convinzione, che anche Bene, irrituale e paradossale «devoto» del santo, faceva sua, e che aveva accompagnato l'intensissima vicenda storica di Giuseppe: «Assolutamente non atto alla Religione»; «stolido e trascurato»; «ignorante e idioto». Se questo primo ritratto del santo non può considerarsi molto edificante, esso costituisce, però, un'ulteriore prova della sua particolarità: nessuna agiografia, nella storia della Chiesa, può vantare un simile, disastroso incipit, come se quello straordinario «baccante dello Spirito» non fosse appartenuto né ad un suo ordine religioso, né alla Chiesa stessa.
San Giuseppe da Copertino resta, insomma, l'immagine dell'emarginazione ecclesiale del tempo. E' noto, però, l'immediato interesse della Chiesa alla sua vicenda eccezionale ed «eccessiva»: lo testimoniano le numerose positiones che vengono elaborate già all'indomani della sua morte (1663). Ma la scarsità dell'interesse biografico appare un sintomo di una mancata utilizzazione sociale e religiosa della sua testimonianza.
Concentrando, insomma, l'interesse sull'immagine del santo «illetterato e idiota», gran parte delle biografie di Giuseppe rivelano uno schema teso alla svalutazione dell'elemento umano e della sua genialità storico-profetica, per far risaltare esclusivamente l'opera della Grazia. Il fatto, poi, che la canonizzazione avverrà oltre un secolo dopo la sua morte (1767), sembrerà confermare la difficoltà e l'imbarazzo di una Chiesa che forse non poteva proporre come modello un santo che essa aveva perseguitato e misconosciuto, o che, almeno, non rientrava negli interessi della riforma tridentina di allora e nelle prospettive dell'Ordine fondato da Francesco d'Assisi, in quel tempo pienamente inserito nelle inquietanti attività dell'Inquisizione e nel miope disegno di «riconquista» del sapere.
La stessa vocazione religiosa di Giuseppe, sviluppatasi all'ombra del rustico santuario copertinese della Madonna della Grottella, era stata contrastata da una serie di avvenimenti: le ricorrenti malattie, la scuola sacrificata, gli impegni finanziari assunti per bontà e ingenuità dal padre che, per varie ragioni, potevano ricadere sulle spalle del figlio, gli impediranno per diversi anni di seguire liberamente la chiamata misteriosa di Dio.
Solo nel 1628 viene ordinato: secondo i suoi biografi, egli «non dovette dichiarar nulla» agli esami finali dopo l'accidentato curriculum degli studi, perché il vescovo esaminatore, trovati «sufficientissimi» i confratelli di Giuseppe presentatisi prima di lui, sospese gli esami al sopraggiungere di un corriere «con lettere di gran rilevanza», presumendo una buona preparazione anche negli altri candidati, compreso il futuro santo. E così che questi riferirà, più tardi, d'essere stato promosso agli ordini sacri «per grazia particolare di Dio e della Vergine»; di qui, come si sa, nascerà il cliché del santo «asino» che diventa «protettore» degli studenti e degli esaminandi.
Il 4 ottobre 1630 (è il giorno dedicato a S. Francesco) Giuseppe viene trasportato in alto da una forza misteriosa: è l'inizio di un'impressionante vicenda di voli e di estasi che generano, però, fanatismo, sospetti e accuse presso il Sant'Uffizio. Più tardi, Giuseppe deve lasciare Copertino, chiamato a Napoli su denuncia del tribunale vaticano che, poi, pur riconoscendo la sua piena innocenza, lo invia a Roma dal suo superiore generale. Inizierà, così, da quel momento, la sua vita di : prima ad Assisi, dove resta per 14 anni, convertendo, fra gli altri, un noto principe tedesco protestante e consigliando spiritualmente nobili, dotti e umili; poi nel Pesarese e, infine, a Osimo, dove morirà.
Forse Giuseppe si sarebbe volentieri risparmiato quelle sue esibizioni da grande mimo del soprannaturale, specie in certi momenti, quando più rischiava di scandalizzare e d'essere frainteso; e pregava spesso, con angoscia, la Madonna affinché gli fosse concessa, come scrisse, «la comune normalità». Ma una forza superiore alla volontà umana tornerà ogni volta a impadronirsi di lui: il mistero irrompeva prepotente, ed egli era, allora, tutto un urlo, un volo, una danza. Di tanto teatro sacro, a regola di liturgia, la regia sembrava completamente fuori delle regole della natura e dell'istituzione della Chiesa: ma non era la prima volta che lo Spirito sopravanzava le misure e i limiti dei pur legittimi amministratori dei suoi misteri, e usciva dalle regole del tempio.
L'esperienza di Giuseppe da Copertino - che sembra richiamare la follia di un Jacopone da Todi, il «limite-oltre-limite» di una Angela da Foligno e il conflitto interiore, al confine fra istituzione e spiritualità, di un Filippo Neri - offre l'esempio di una paradossalità, di una stravaganza, di una consapevolezza d'essere «buono a nulla» che ci riconduce, forse, a quel grado zero del sapere del mondo che rende possibile il capovolgimento evangelico dei sistemi di cultura in crisi, e l'approdo ad una verità che libera.

Leo Lestingi

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