Durante le estati della sua infanzia, a Castiglioncello, Lorenzo Milani frequentava Sergio Tofano.
Leggo questo passaggio brevissimo, da una delle tante biografie del priore di Barbiana presenti sulla rete e provo un tuffo al cuore.
Ciascuno di noi che è stato a Barbiana, percorrendo quella strada in salita, ha ripercorso, dentro di sé, il proprio cammino di insegnante. E l’ha raccontato ai propri compagni di salita, come io stavo per fare, raccontando qui l’esperienza di domenica scorsa.
E invece questo accostamento: Lorenzo Milani e Sergio Tofano, il tuffo a me lo ha fatto fare ancora più indietro.
Alla mia infanzia, tutta vissuta in compagnia del Signor Bonaventura. Sul Corriere dei piccoli e nei bellissimi libri della Scala d’oro, che poi ho cercato – inutilmente – per mia figlia.
Quel mondo leggero leggero, in cui il principe si pente di aver sposato Cenerentola (“
Ciel m’ascolta e dammi aiuto/ quella donna che ho sposato/ quindici anni era vissuta/ in cucina rintanata/ sequestrata/.Io l'ho tolta di cucina/ per pietà di sua bellezza/ ma l'onor d'esser regina/ahi, l'ingrata, non apprezza") e poi la ripudia anche, perché non le entra più la scarpina di cristallo, nella quale le sorellastre hanno messo una pallina di carta. A dimostrazione che non è vero nulla che i protagonisti delle favole alla fine vissero felici e contenti. Ma poi il bellissimo Cecè e la servetta Pasqualina e, naturalmente, il Signor Bonaventura, scopriranno l’inganno e tutto tornerà a posto.
La mia prima esperienza di gioco con le parole.
Ma anche di un inganno, attraverso le parole.
Il Corrierino me lo comperava mio padre alla domenica. Una volta dovevo avergli chiesto anche qualcos’altro che mi aveva attratto nel negozio-edicola del mio paese.
E lui: “Ma non preferiresti invece un bell’albo illustrato?”
Io non conoscevo il significato della parola “albo”, rimasi incantata dal suo suono quasi magico. E naturalmente dissi di sì .
E lui mi comperò il Corrierino.
Racconto sempre questa storia ai miei alunni, quando voglio far capire loro la magia delle parole, l'affabulazione, ma anche il loro potere, ed il potere che danno a chi sa usarle più di te.
Senza saperlo, avevo sperimentato su me stessa, la lezione di Lettera ad una professoressa.
La lezione di quella lettera trasformata nell’impegno a far parlare i ragazzi. Ed a trasformare l’esperienza in pensiero, il pensiero in parole. A rompere i meccanismi rigidi della lingua scolastica che invitano alla menzogna ed allo stereotipo.
A trasformare il linguaggio in comunicazione, consapevole e seria, ma anche giocosa e creativa. A svilupparne il bisogno, la necessità. Prima di tutto per se stessi, poi per gli altri.
Domenica scorsa, dentro la scuola di Barbiana, c’erano due alunni di Don Dilani che raccontavano di quell’esperienza.
A ciascuno dei visitatori ne è toccata una parte, per il tempo che si rimaneva nella stanza.
A me è toccato in sorte ascoltare il dialogo con un professore del “Cicognini” di Prato ed il ricordo di un altro professore, Mazzanti il suo nome, che saliva a leggere Dante ai ragazzi. Che lo ascoltavano incantati e affatto intimoriti da quella lingua così lontana.
“
Molti venivano qui per Don Lorenzo – ricordavano i due – ma lui veniva qui per noi, leggeva per noi e ci apriva un mondo”
Ancora il linguaggio: anche quello più difficile che diventa affascinante se ad esserne affascinato per primo è chi lo trasmette.
Ancora una lezione. Indiretta, ma sempre legata a Don Milani.
Che sull’uso della lingua di lezioni ce ne ha date ancora molte: di valore e di metodo.
E’ stato da lui che ho imparato che scrittori non lo si nasce, ma lo si diventa. Scrittori a scuola, intendo.
Tanti corsi di educazione linguistica frequentati e testi e manuali non mi hanno insegnato tanto come questo passaggio:
"Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un'idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola.
Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano ad uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi.
Ora si prova a dare un nome ad ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due.
Coi nomi dei paragrafi si discute l'ordine logico finchè nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.
Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l'ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene.
Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all'aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un'altra volta.
Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l'altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere ad alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire.
Si accettano i loro consigli purchè siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza."
E’ tutto qui.
Con il computer al posto del ciclostile. L’amato odiato ciclostile, con le sue matrici (ne ricordo ancora l’odore) faticosissimo da usare, che pure ci sembrava una conquista, il primo strumento di liberazione della scrittura.
Con il computer al posto del ciclostile, ma anche con un silenzio nuovo da rompere, più difficile di quello contro il quale si batteva don Milani.
Un silenzio che è afasia, distanza, assenza. O che è linguaggio nuovo, incomprensibile per noi.