E' l'Asia il paese dove la censura si abbatte con maggior forza su Internet. In testa c'è la Cina. Ma anche in Vietnam e persino alle Maldive non si scherza.
La libertà di parola ai tempi di Internet ha regalato al pianeta l'idea che il web sia uno dei veicoli più potenti e sicuri per diffondere le proprie idee. Magari in incognito. Ma non è proprio così. Siti oscurati, firewall, multe e addirittura arresti, processi e condanne. Secondo l'organizzazione internazionale
Repoters sans frontières, è l
'Asia il continente dove è più dura la repressione dei cibernauti dissidenti. Dei
49 ciberdissidenti imprigionati, la maggior parte infatti risiede in Cina ma anche alle Maldive (dove per una e mail "critica" verso il governo sono state condannate all'ergastolo 4 persone), in Vietnam o in Malaysia. E poco più a occidente, nel mondo arabo, la palma spetta a Tunisia ed Egitto, dove si sono registrati alcuni tra i casi più clamorosi. Oltre a
Reporters sans frontières, della libertà di espressione si occupano diverse organizzazioni come le notissime
Human Rights Watch o
Amnesty International, ma anche campagne meno note ma non meno attive come quella promossa dal
Digital Freedom Network.
Quelle che seguono sono sei storie di altrettanti dissidenti, arrestati in Asia o nel mondo arabo, ognuno dei quali ha utilizzato Internet per manifestare la propria opinione oppure quella di altri.
CINA
La psicologa di Pechino
Liu Di è una ragazza di appena 22 anni con l'abitudine di frequentare le chatroom, luoghi virtuali dove è possibile conversare con altri cibernauti. Per prudenza aveva adottato lo pseudonimo di "mouse d'acciaio" e si era limitata a entrare e uscire nelle chatroom altrui ma, nel 2001, dopo la chiusura di una delle sue "stanze" preferite, aveva deciso di aprirne una personale:
"Vita come fuoco". Ci pubblica critiche sulla repressione via Internet ma anche commenti su argomenti tabù, come Piazza Tienanmen. Nel novembre del 2002 viene espulsa dal campus dell'Università nazionale di Pechino e scompare. Inutili le ricerche della famiglia che riesce solo a sapere che Liu Di è stata arrestata e accusata di attentato alla sicurezza dello stato.
Una lettera di denuncia
La storia di Huang Qi, 36 anni, è quella del suo sito web, nato per raccogliere informazioni sulle famiglie scomparse. Ma quando
www.6-4tianwang.com viene ritenuto dalla polizia uno strumento per soversivo, Huang viene arrestato. E' il giugno del 2000 e agenti del ministero per la Sicurezza gli fanno visita in ufficio cominciando a fare domande. Quando Huang chiede di vedere un mandato scritto, i funzionari se ne vanno per tornare mezz'ora dopo. Con le manette. Il suo processo è stato rinviato più volte mentre a sua moglie è stato ripetutamente vietato di vedere il marito. La colpa maggiore di Huang? Aver pubblicato la lettera di una madre che accusava la polizia di aver bastonato il figlio a morte durante i fatti di Piazza Tienanmen
VIETNAM
Per colpa di una e-mail
Il 17 marzo scorso, quattro giorni dopo un'e-mail scritta in un Internet-caffè e inviata a un indirizzo negli Stati Uniti, l'endocrinologo di Nguyen Dan Quae è stato arrestato a Città Ho Chi Minh e incriminato per attività contro lo stato: grazie a un articolo del codice penale che prevede fino a 12 anni di galera. Nella mail, questo medico di 61 anni noto per le sue posizioni liberali, denunciava l'ipocrisia del governo di Hanoi in fatto di libertà d'espressione. Non è la prima volta che il dottore viene messo in carcere dove ha già passato, proprio per le sue battaglie civili, diversi anni. Human Rights Watch ricorda che attualmente il Vietnam fa parte della Commissione diritti umani dell'Onu e che ha ratificato la convenzione internazionale sui diritti politici che, all'articolo 19, prevede la libertà di espressione attraverso ogni tipo di canale.
Arrestato in un Internet caffè
L'avvocato Li Chi Quang coi computer ci sapeva fare. E il suo arresto è avvenuto, il 21 febbraio del 2002, proprio in un Internet caffè. Sotto accusa c'è un suo pamphlet politico pubblicato in Rete. Le sue idee, giudicate sovversive, lo hanno portato in giudizio nell'ottobre dello stesso anno e gli hanno visto comminare, a porte chiuse, quattro anni di carcere e tre di arresti domiciliari. Tra le carte del processo c'è anche la descrizione dell'arresto, avvenuto "mentre entrava in un Internet Caffè…per inviare e-mail all'estero". Divide con un altro prigioniero una cella di sei metri quadri che consente loro a mala pena di sdraiarsi per dormire
TUNISIA
Satira sotto accusa
Anche Zoheir Yahiaoui è stato arrestato in un Internet Caffè. Era la redazione tunisina del suo giornale, Tunezine, che pubblicava sul web sotto pseudonimo, appoggiandosi a un provider francese. Ma nel Paese dove la Rete è controllata dalla dittatura mascherata del presidente Ben Ali, anche la satira virtuale è un grave reato. In primo grado ha ricevuto due condanne, rispettivamente di un anno per "false informazioni" e di 16 mesi per aver raggirato il servizio di telecomunicazione tunisino, in seguito ridotte a 24 mesi. Nel gennaio scorso se ne è parlato per un suo lungo sciopero della fame. Il sito
www.tunezine.com è oggi una bandiera di solidarietà con la sua battaglia per la libertà d'espressione
EGITTO
In nome del padre
Il caso di Shohdy Surur, condannato a un anno di prigione e che ora vive in esilio, è davvero particolare. Le autorità egiziane lo hanno arrestato per aver pubblicato in rete Ummiyyat, l'opera più famosa di suo padre, il poeta Naguib Surur. Shohdy si era limitato a onorare il testamento di Naguib che gli aveva chiesto di rendere pubblici i suoi versi. Ma Naguib aveva anche messo in guardia il figlio sui rischi che avrebbe corso con il governo. Puntualmente realizzatisi oltre vent'anni dopo
Emanuele Giordana