Guerra
Naila - 26-04-2003
Lui tornò davvero.
Naila era sdraiata sul divano, forse a casa di qualcuno, forse in un’altra città.
Aveva gli occhi chiusi, un sorriso stampato in viso e le mani incrociate dietro la testa.
Stava viaggiando tra gli alberi di un bosco che le sembrava familiare, volava sulle cime e poi planava tra i sentieri immersi nelle foglie. Ogni tanto si fermava ed osservava il sole che filtrava tra i rami dissolvendosi nell’aria fresca e magica. Quella magnifica luce colorata di bianco, di verde, di giallo, rendeva tutto sereno e profondo, avvolgeva ogni cosa come per proteggerla, per custodirla.
Naila respirava regolarmente e ad ogni battito il suo cuore si allargava e diventava grande, immenso, infinito, fino ad accogliere tutta quella luce, quella quiete ed anche tutti gli alberi, i laghi, i paesi del mondo. Dentro di lei si rifugiavano i popoli, i costumi colorati delle feste, i giocattoli di legno dei bambini, le viste stanche e rilassate dei vecchi che hanno vissuto la loro vita e insieme quella di tutte le generazioni.


Lui entrò nella stanza, accolto dalla musica, dalle persone, dall’aria calda e pesante.
Era tetro. Nascondeva un cuore pulsante colmo di temporali, oceani agitati, paesaggi immobili bloccati dal ghiaccio. Era freddo, gelido. Il suo sguardo pungeva, pallido e tagliente allo stesso tempo. Sembrava poter vedere cose che gli altri non potevano scorgere. Sembrava che i suoi sensi fossero mille volte più sviluppati di quelli di chiunque altro: lo sguardo perfettamente attento, le mani forti e sensibili, l’udito affilato. Captava, registrava e assimilava ogni impercettibile movimento, perfino ogni pensiero.


Appena aperta la porta aveva fotografato e immagazzinato la scena e, come una pellicola, se l’era impressa nella mente in modo da poterla recuperare in ogni occasione.
Faceva paura.
Guardò Naila senza soffermarsi e passò oltre.
Quando lei riaprì gli occhi quasi tutti se n’erano andati. Sorrideva ancora.
Mel stava sul davanzale della finestra. Piangeva in silenzio.
Naila si sedette sul divano, priva di emozioni, e la guardò a lungo. Immaginò di doverla disegnare e cercò di impararne a memoria i lineamenti, le espressioni. Cercò di rinchiuderla nella propria mente, per impedirsi di dimenticarla.
Era triste, ogni cosa era triste, ora.
Poi si accorse di lui. Stava parlando con un ragazzo, dall’altra parte della stanza.
Naila divenne seria, ebbe un brivido ed improvvisamente avvertì il dolore di Mel.
Sentiva la sua sofferenza, la sua preoccupazione, il suo cuore nervoso.
“Occhi Belli, voltati”.
Una voce nuova l’aveva chiamata usando un nuovo nome. Una persona nuova le stava parlando. Ora che lui era lì, il Circolo intero sembrava aver cambiato forma.
“Sei nuova, vero? Sono felice che tu sia qui con me. Ho notato il tuo sguardo, Occhi Belli, ho capito chi sei. Era tanto che non vedevo degli occhi puri.
Io non sono come te, i miei occhi sono bui dentro. Ed anche il mio nome. E forse anche il mio cuore. Già, sono buio come l’odio, come la ragione, come la Guerra.
Guerra. Sono Guerra. Così mi chiamano.”
Naila rimase immobile, pronta a difendersi.
Aveva la mente ancora annebbiata dal fumo ed dal “viaggio-sogno”.
Aspettò.
Lui tacque ed insieme a lei attese.
Guerra. Odio e ragione.
Naila ripensava alle sue parole. Lo temeva, ma solo in parte. Non riusciva a focalizzarlo, lo intravedeva in una sagoma confusa. Lo trapassava con lo sguardo, lo studiava, tentava di capire quale fosse il punto in cui sarebbe potuta entrare per comprenderlo, per averlo.
Era questo ciò che Mel aveva capito di lei: era davvero piccola, ingenua e sfacciata.
Stava correndo incontro al male.


Il Veleno



Vi erano momenti speciali nella vita di Naila, momenti che si potevano chiamare per nome, momenti che avevano un preciso inizio ed una determinata fine.
Vi erano momenti in cui si fermava tutto, ogni cosa restava immobile al suo posto, ogni suo respiro si coordinava perfettamente con quello successivo, ogni suo pensiero rifletteva colori caldi, intensi. Naila rimaneva incredula ad osservare il mondo, senza un alito di vento, senza un suono, un rumore.

A volte tutto era così tremendamente statico, così innaturale che le metteva paura, la scuoteva, le rimescolava le sensazioni. Immaginare ciò che provava sarebbe assolutamente impossibile. Tutto era estraneo a tutto, a tutti. Come un quadro composto da particolari di tanti quadri diversi, immobili, scollegati tra loro ed in primo piano su uno sfondo uniforme. Ma allo stesso tempo tutto era così surreale da sembrare perfetto. In quei momenti, Naila sapeva che Mizar era tornato nel suo cuore.
Perché Mizar tornava, ogni tanto.
Tornava con i ricordi, tornava sulle sue labbra disegnandole un sorriso, tornava tra i suoi capelli facendole scivolare una ciocca sul viso, tornava nei suoi occhi facendola piangere. Tornava nel suo mondo immobilizzando ogni cosa.
Mizar la scuoteva, la emozionava.
Mizar la rendeva viva.
In quei momenti ogni cosa era in una precisa posizione, tutto era perfettamente irrazionale.
In quei momenti Naila sapeva di amarlo, sapeva di non averlo dimenticato, sapeva di vivere per lui, con lui.
Mel percepiva tutto questo e non lo sopportava.
Odiava Mizar, per averle portato via un pezzo di Naila, per averla trasformata in Alcor senza garantirle sicurezza, per non essere stato in grado di amarla e per averla fatta soffrire, senza rancore.
Quel giorno Naila era seduta a gambe incrociate su un muretto, sopra la città.
Era immobile, rapita da una forza che la tormentava, la tratteneva al centro di ogni pensiero. Tutto era fermo, ogni cosa restò immobile al suo posto, ogni suo respiro si coordinò perfettamente con quello successivo, ogni suo pensiero rifletté colori caldi, intensi. Tutto sembrava perfetto.
“Piantala. Non è questa la tua vita. Non è lui la tua vita, sei tu! Questo non capisci, sei tu a comandarti, a deciderti, ad amarti più di chiunque altro! Tu sei quella che mi parla, che mi aiuta, che mi conosce. Lui fa parte di te, ma non è parte di te. La tua vita è lo spirito del Circolo, lo spirito libero, lo spirito che non ha bisogno del giudizio degli altri.”
Mel le parlava e quasi implorandola la metteva in discussione, la costringeva a giocare, a rischiare nei suoi dubbi. Non le poteva permettere di rimandare o di sorvolare le proprie incertezze.
Naila l’ascoltava, ma restava passiva, nonostante sapesse che Mel aveva ragione. Ogni sua parola rifletteva la Naila respinta, la Naila nascosta, la Naila che non voleva essere. Ogni sua parola la riportava al mondo reale, unica cosa in cui Naila credeva.
“Ecco Guerra. Ecco Guerra, tesoro, ecco le tenebre”.
Forse non poteva ancora capire, poiché la sua curiosità la spingeva oltre i pregiudizi, oltre gli avvertimenti. Così rimase calma, la dolce Naila, senza paura.
La vita della notte cominciava a farsi avanti nel cielo, invadendolo di ombre, invadendo le persone. Si sentiva nell’aria, la notte.
Fu una notte sconvolgente. Fu La Notte.
Le diedero qualcosa da bere, qualcosa da fumare.
Erano sempre loro, al Circolo, ma quella notte erano diversi. Tutto stava cambiando. Ogni cosa lentamente degenerava, il Circolo stava diventando materia, concretezza. E non era realtà ciò per cui era nato, era uno stato d’animo, un ideale o una porta aperta verso la mente di chi ne faceva parte, ma non la realtà in cui si stava trasformando ora, una situazione ingiusta, motivata, indomabile.
Né Naila né Mel se ne resero conto.
Diedero loro qualcosa da bere, qualcosa da fumare, qualcosa da mandar giù senza chiedere cosa fosse.
Tutto cominciò a ruotare vorticosamente. Naila era sdraiata, aveva gli occhi chiusi e le mani incrociate dietro la testa, ma questa volta nessun sorriso stampato in viso.
Si vide in piedi al centro di un grande spazio bianco, pieno di luce. Poteva decidere di far entrare chi voleva e di tener fuori chi non desiderava. Tutt’intorno a lei vi era un forte odore di metallo, di pericolo, che sentiva ma al quale non riusciva a reagire. Se ne stava lì nel mezzo, mentre mille lame taglienti attraversavano lei e chi le era accanto, ma continuava a non provare dolore.
Era forte, invincibile. Amava quell’essere potente, quel diritto di comandare e di affrontare il male senza doverlo temere. Più si sentiva sicura, più voleva restare chiusa in quella realtà, complice di un gioco senza fine. Era grande, completa, oltre l’infinito.
Quando riaprì gli occhi, però, tutto svanì.
Svanì la sua forza, la sua invulnerabilità, ma rimasero le lame che questa volta la trafissero, le fecero male, la uccisero dentro.
Si spezzò qualcosa in lei, cadde nel buio, in un’ossessiva dipendenza non soddisfatta. Il dolore che provava ora aveva vinto il benessere che le aveva donato quel “viaggio-sogno”.
Cercò disperatamente di stare ferma ed altrettanto disperatamente si agitò per cercare qualcos’altro da mandare giù. Non aveva il controllo di se stessa.
Trovò qualcos’altro e partì di nuovo.
“Dolce come una caramella e amaro come un’illusione, piccola Occhi Belli. È il regalo che vi ho portato. Sono i dèmoni del grande Guerra”.



La Malattia



Osservava il paesaggio sfrecciare veloce, spinto dal vento, attraverso il finestrino del treno. Era stordita, scivolata in un sonno ottuso, metallico, maledetto, rapita da un’apatia insita fin negli angoli più nascosti del suo interno. Non era in grado di pensare, di provare emozioni, di essere.
Intorno a lei vi era una lastra di vetro, invisibile agli occhi e al tatto, che la isolava dal resto del mondo e le impediva di respirare, le impediva di sentire e di vedere oltre.
Aveva provato a romperla, picchiando con tutta la forza che le restava in corpo, ma le mani le facevano male, sanguinavano e pulsavano per una sofferenza che era uno sfogo nervoso, un urlo così disperatamente acuto che brucia in gola, ma che poi si perde nell’aria prima ancora di essere udito, inutile.
Il tempo si era fermato, in modo da poter camuffare un ritorno a casa in un infinito viaggio verso le fiamme di un incendio, una corsa verso il centro di un uragano, una crudele tortura. Era fatica fisica la sua: il cuore le batteva irregolare, veloce, mentre il respiro affannato e frettoloso la strozzava, la immobilizzava in una morsa spietata, penosa.
Sentiva caldo, un caldo tremendo tutt’intorno che contrastava con la sua testa gelida, immobile. Era debole. Vuota.
Non appena arrivò a casa si addormentò.
Da quel momento in poi il Circolo divenne malato. Si ammalò di superficialità, di cattiveria. Si macchiò di odio.
Ed insieme al Circolo si ammalarono tutti loro.
Guerra dominava, Guerra possedeva Naila, Mel, i loro amici, le ombre e le luci.
Era il regista di una scena cupa, invadente, tortuosa.
Divenne tutto un giro, un affare, uno scambio di viaggi per comprarne altri. Funzionava in segreto, nascosto dietro ai muri della città e della mentalità di chi tace, di chi piega il capo e non reagisce, di chi si accontenta, di chi ha paura.
Questo era il potere del Circolo del Vizio e Naila era posseduta, condizionata.
Guerra voleva lei, prima di chiunque altro, poiché lei aveva la chiave per possederlo, aveva quel particolare che lui non riusciva a capire e che non si poteva spiegare. Lei era la sua sfida, il suo premio. Le dava da bere, da fumare, da mandar giù e la conquistava, la intrappolava in quel mondo in cui non doveva pensare.
E lei gli era grata, poiché non pensando non soffriva.
Appena arrivò a casa si addormentò.
Era un sonno che sembrava un ballo, una danza sfrenata, irregolare, frenetica. Era un sonno che riposa e stanca allo stesso tempo, l’illusione che tutto si possa fermare sfatata da mille pensieri che si susseguono, s’intromettono nei sogni, negli incubi, nella tranquillità.
Svegliandosi non ricordò più nulla, vi erano solo dei flash che ad uno ad uno, lentamente, riaffioravano nella sua mente ricordandole prima una frase, poi un’immagine, poi un volto.
Guardò fuori dalla finestra. Era tempo d’attesa. Un tempo né bello né brutto, né luminoso né cupo, né caldo né freddo. Un tempo indefinito, inclassificato, senza complicazioni. Statico.
Mizar era con lei, ora.
Questa volta era nel suo respiro lento e debole.
Sorrise triste, sorrise pensando al cielo d’inverno, alla neve che cade, che ovatta ogni cosa, che copre ciò che si vede impedendo di sentire.
Da allora, vide il Circolo con uno spirito diverso: lo temeva, lo disprezzava.
Quel giorno la chiamarono e le dissero di tornarci, poiché la casa non era più il suo posto, Naila non era più una ragazza, ma era tutto già stabilito, tutto parte del giro.
Accettò, incapace di riflettere, incapace di rifiutare.
Le mancava Mel, le mancava la distrazione, il tempo che passa volando via e rubando ogni cosa per non riportarla mai più.
Mangiò qualcosa di sfuggita e uscì.
Lungo la strada si accorse che Mizar se n’era andato. Non c’era più magia nel suo respiro.
Mizar, al Circolo, non ci sarebbe mai stato.


continua...

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