breve di cronaca
Il nuovo sistema scolastico: una riforma a rischio
Infantiae.org - 09-04-2003

Intervista a Sergio Spaggiari, dirigente del servizio Educazione e Formazione del Comune di Reggio Emilia.


Come ha accolto la legge di riforma del sistema scolastico recentemente approvata dal Parlamento?

Quando si mette mano ad un progetto di riforma è chiaro che ci deve essere un quadro di riferimento valoriale a cui ci si ispira.
La grande sfida che abbiamo di fronte nei prossimi decenni in relazione ai processi formativi, è come affrontare il bombardamento di informazioni e conoscenze che la società attuale scarica sugli individui. Credo che di fronte a questa esplosione di offerte, conoscenze, saperi e informazioni, la scuola debba reinventarsi un proprio ruolo. Anche perché potrebbe correre il rischio di essere perdente nei confronti di altre agenzie informative e formative. I processi di formazione dei valori delle idee delle conoscenze delle persone vengono il più delle volte derivati dai media: la televisione, il cinema, la moda, le canzoni. I giovani sono in generale molto più influenzati da questi aspetti che dalla stessa scuola. La scuola non può competere come agenzia di trasmissione di informazione nei confronti dei mass-media.
Il nuovo ruolo a cui è chiamata è di diventare un luogo di riflessione in cui ci si esercita a pensare ed a ragionare, ad accumulare strumenti informativi, più che acquisire conoscenze e competenze.


La riforma va in questa direzione?


Credo che questa riforma non vada in questa direzione e sconti un gap non indifferente a questo riguardo. Il Ministro ha affermato in diverse occasioni che questa è una riforma fatta per la persona e quindi dovrebbe essere realizzata una scuola che personalizza maggiormente rispetto al passato i suoi processi di formazione. E’ un intento a mio avviso da accogliere a braccia aperte, perché la scuola, soprattutto quella italiana, ha modi standardizzati, uniformati ed omologati di costruire il rapporto con gli utenti. L’introduzione di elementi di maggiore attenzione alle diversità delle persone, alle diverse strategie di apprendimento, ai diversi tempi di crescita e di formazione, costituisce un obiettivo nobilissimo.
Debbo tuttavia affermare che, nella mia storia di operatore scolastico, ho imparato che i temi scolastici si valutano più per quello che realmente mettono in atto che non per quello che dichiarano spesso retoricamente. Ci si trova qui di fronte ad uno dei difetti più vistosi di questo progetto di riforma: la sindrome schizofrenica tra il dire e il fare. Si dicono e si riportano valori di riferimento e principi generali che possono essere almeno in parte condivisi ma di fatto poi, operativamente, l’impianto organizzativo della scuola si muove nella direzione contraria.


Ad esempio?


L’attenzione alla persona (o ‘personalizzazione’) come può coniugarsi con la riduzione del numero degli insegnanti ed il contestuale aumento del numero dei bambini? Con una compresenza degli insegnanti che è quasi scomparsa? Con una contrazione della collegialità degli insegnanti (ci si è inventati la collegialità / staffetta, il passaggio da una disciplina all’altra, da un laboratorio all’altro da parte degli insegnanti?)
Attenzione alla persona significa poter lavorare in maniera più vicina alle esigenze, alle attese, alle idee dei singoli soggetti, significa poter lavorare in maniera più flessibile, più articolata fra il piccolo gruppo, il medio gruppo, il grande gruppo. Come è possibile tutto questo se non è concretamente realizzabile un’organizzazione secondo le necessità, un impianto sistemico che lo consente e favorisce?
I contributi più significativi che provengono dalla ricerca psicopedagogica di questi ultimi decenni testimoniano che i processi di apprendimento vengono favoriti se si esercitano in contesti dialogici, cioè se c’è il gruppo, la cooperazione, lo scambio, il confronto, la conversazione, il passaggio di conflittualità cognitive da persona a persona. Ma anche questo richiede ovviamente una prevalenza di vissuti cooperativi rispetto ai vissuti competitivi o isolati.
Prevalgono di più gli ambiti verticali. L’insegnante a fronte della sezione o classe, invece dei bambini fra loro e questo significa negare nei fatti i presupposti significativi di questa riforma.


Quali opportunità verranno a suo avviso a mancare, almeno in relazione alla scuola dell’infanzia ed anche alla primaria, con questa riforma?


Un altro difetto di questa riforma è la logica anticipazionista che a mio avviso è negatrice di rispetto nei confronti delle persone, dei loro ritmi e dei loro tempi.
E’ vero che non esiste una teoria pedagogica o psicologica che possa determinare attraverso l’individuazione di fasce di età qual è il momento giusto per iniziare un determinato livello scolastico. Non sono qui a dire che un’età è più giusta dell’altra. Ogni età necessita di adeguate soluzioni operative e contestuali. Credo che la proposta di anticipazionismo pervasivo previsto dalla riforma Moratti non abbia un’attenzione educativa e pedagogica adeguata a questo riguardo. Si anticipa l’ingresso alla scuola dell’infanzia, si anticipa l’ingresso alla primaria, si anticipa la valutazione formalizzata nella scuola dell’infanzia, si anticipa la scelta della secondaria.


Che cosa intende per valutazione formalizzata nella scuola dell’infanzia?


Ci sono dei passaggi nelle Indicazioni nei quali giustamente ci si pone il problema della valutazione anche nella scuola dell’infanzia in cui si prevedono strumenti come il porfolio ed altre modalità che sono più formalizzate.
La valutazione sembra avvicinarsi alla opzionalità delle famiglie nella prospettiva di accedere prima o dopo alla scuola dell’infanzia. C’è un’idea di una valutazione più selettiva che formativa: sembra più che altro servire a differenziare i percorsi che i bambini ed i ragazzi dovranno affrontare. Si trasformerà poi in una selezione che può ‘aiutare’ a promuovere o a bocciare più facilmente. E’ la prima volta che si fa cenno ad una valutazione in questo senso per la scuola dell’infanzia ed è una connotazione che mi preoccupa.


Parla di diffusa opzionalità: che cosa intende?


L’opzionalità è una caratteristica costante di questa riforma.
Si può scegliere quando andare a scuola, quale scuola scegliere, quante quote di scuola si vogliono scegliere, a quali laboratori si vuole partecipare e così via.
E’ rintracciabile a mio avviso un’ostentazione di apparente maggiore libertà di poter accedere alla scuola. A ben vedere però questa riforma considera la famiglia ed il bambino quasi come un cliente che debba scegliere una merce all’interno di un supermercato.
Quasi che l’utente sia chiamato più ad essere un cliente esterno del sistema che non un soggetto protagonista interno. Il cliente valuta dall’esterno ciò che gli viene offerto, il soggetto protagonista interno invece può determinare, esprimere la propria opinione, esercitare un proprio protagonismo, essere in grado di ‘crescere con’ e non accettare più o meno passivamente quello che gli viene offerto.
C’è un’idea di utente a mio avviso più inteso come consumatore che come produttore di cultura, protagonista, interlocutore.


La libertà della nuova scuola è solamente apparente?


Non credo che si vada incontro ad una maggiore libertà. Si tratta di una libertà di scelta, appunto, solo apparente, mentre ci troviamo di fronte ad un reale peggioramento del sistema complessivo delle offerte.
In un sistema peggiorato non c’è mai una conquista di libertà. Abbiamo la possibilità di scegliere liberamente servizi peggiori. E’ per questo che, tutto sommato, una persona potrà sentirsi più libera se è in un sistema di qualità, di fronte ad un’offerta formativa migliorata o migliorabile grazie anche al suo apporto.
Questa ostentata opzionalità rimanda l’istruzione più ad un bene disponibile sul mercato che non un diritto a cui si ha diritto. E questo richiama il dibattito in atto a livello internazionale sulla concezione dell’educazione come diritto o come merce disponibile sul mercato.
Credo che, secondo la logica di questa riforma, si vada nella direzione di considerare l’istruzione un bene collocato sul mercato a cui si accede attraverso le logiche della circuitazione delle merci.


In merito all’applicazione della nuova legge?


E’ una legge dello stato ed è ovvio che tutte le scuole che fanno parte del sistema nazionale sono tenute ad applicarla al meglio delle proprie possibilità.
Guai pensare che qualcuno, in nome dell’ostracismo nei confronti di una legge che non approva, voglia giocare al tanto peggio tanto meglio. Atteggiamenti di questo tipo non appartengono alla logica degli enti locali. Bisognerà individuare le modalità migliori per utilizzare al meglio questa normativa di legge.
Già nell’applicazione dell’anticipo della scuola dell’infanzia si parla di elementi applicativi che tengono conto di gradualità, di sperimentalità, di compatibilità con i posti disponibili, di rispetto dei patti di stabilità economici dei comuni, di attenzione agli equilibri finanziari e così via.
Ci sono elementi di gradualità per i primi tre anni di applicazione che tutto sommato cercano di salvaguardare il non automatismo di applicazione di questa legge. Anche se è ovvio che di per sé questa normativa sta lì ad alterare non poco la natura del servizio che si va ad offrire.
I bambini in più sono bambini di due anni e mezzo, e quindi dovrebbero rientrare nella legge degli asili nido che - nella regione Emilia-Romagna - prevede rapporti numerici precisati, soluzioni architettoniche ad hoc, proposte organizzative specifiche ecc.: tutte cose che andrebbero adeguate al nuovo contesto della scuola dell’infanzia. Non ci sono al momento indicazioni in relazione alla soluzione di questi problemi.


Che cosa presumibilmente si farà a Reggio Emilia?


Ci dovrebbe essere una diminuzione dei bambini scolarizzati nella sezione in cui sono presenti i più piccoli. E questo non porterà certo ad un ampliamento quantitativo dell’offerta formativa, fortemente necessario in un momento in cui assistiamo ad una forte crescita della natalità. Abbiamo inoltre le reazioni in questi giorni delle famiglie dei bambini di tre anni che si chiedono se aumenteranno i concorrenti ai pochi posti disponibili per l’accesso alle scuole pubbliche della città. Ci sarà un’onda anomala che non è facilmente gestibile, soprattutto se gestita in fretta.
Nella mia città sono 250 i bambini possibili candidati all’ingresso nella scuola dell’infanzia. Si tratta di almeno dieci sezioni aggiuntive. E questo vuol dire edifici, arredi insegnanti, trasporti e così via: tutte cose che non si possono certo inventare da un giorno all’altro e da un momento all’altro.
E’ legittima dal mio punto di vista la ribellione dell’Anci e dei comuni che rivendicano il diritto di essere sostenuti e non abbandonati a se stessi di una presunta libertà delle autonomie locali.
A Reggio Emilia si è cercato insieme fra comune, Fism e CSA (scuole statali) di realizzare un tavolo di coordinamento delle politiche di applicazione della normativa per evitare che ci possano essere segmenti che rispondono in maniera contraddittoria e differenziata sullo stesso territorio, confondendo maggiormente le attese delle famiglie.



  discussione chiusa  condividi pdf