Telgate
Emanuela Cerutti - 10-11-2001
Telgate.
Piccolo paese a meno di 10 Km da Bergamo, ad alta concentrazione industriale e ad alto tasso immigratorio.
Il 12% dei cittadini è straniero, suddiviso su 23 etnie; il 20% degli alunni elementari appartiene a 10 etnie differenti.
Numerose le risorse che, nel tempo, il territorio ha messo a disposizione: dall’insegnante specializzato per la prima alfabetizzazione, ai corsi di Lingua Italiana per adulti, serali per gli uomini e diurni per le donne, al corso di arabo del sabato, ai mediatori culturali, agli assistenti domiciliari,che intervengono sulle situazioni a rischio.
E poi gruppi di sensibilizzazione sull’immigrazione, manifestazioni per gli alloggi, Associazioni di stranieri, feste interculturali, avvisi comunali in 4 lingue…
Un lungo, non facile, lavoro di coordinamento e di amalgama, forse non sufficientemente fondato, se ultimamente sembra essersi incrinato, mostrando il lato oscuro della convivenza multietnica.
Mi riferisco ai diversi articoli apparsi nell’ultima settimana sulla stampa (Donna Moderna, Panorama, Eco di Bergamo, Libero) e ad una trasmissione televisiva mandata in onda due sere fa su Telelombardia , la cui tesi comune può essere sintetizzata dall’espressione “padroni in casa nostra”.
Alcuni titoli ci aiutano ad entrare nella questione.
“Nel paese che ha abolito il Natale”
“Profondo Nord: la nuova frontiera dell’integrazione”
“Cancellato il Natale,la gente di Telgate si ribella”
La tesi sopra espressa chiede il pubblico consenso utilizzando “ad arte” flash espressivi quali “dialogo non significa rinunciare alla propria identità”, “il timore di essere razzisti…finisce per disorientare i bambini”, “la scelta è tra integrazione e disintegrazione”, privi di qualunque successivo approfondimento, e fatti, o meglio, artefatti, risalenti alla festa di Natale che la scuola elementare ha organizzato lo scorso anno scolastico.
Oggetto del contendere: la locandina di invito alla festa, sulla quale appare la scritta: “Festa della gioia e della speranza. Natale 2000”
Locandina riapparsa ad opera di non si sa quale vento, rispetto alla quale si critica la scuola per aver “cambiato il nome al Natale”, in nome di un eccesso di tolleranza nei confronti degli extracomunitari. All’interno degli articoli, ma anche in piazza o nelle cascine, qualcuno aggiunge che è stato abolito il dovuto attributo “Santo”, qualcun altro fa intuire che ad essere abolito è stato addirittura il termine Natale, e c’è perfino chi giura di aver sentito che si vogliano abolire le vacanze di Natale. Si accenna al Panettone, abolito anche lui per via dello strutto antislamico, e alla scomparsa del “Tu scendi dalle stelle”, finito chissà dove, insieme a l Presepe e al Crocifisso.
Di questo passo diventeremo noi stessi la ventiquattresima etnia, afferma il Sindaco, su Libero. Sembra di essere al tempo della Rivoluzione Francese, commenta la giornalista.
E poi chi si deve integrare, noi o loro? si lamenta una mamma su Panorama. E aggiunge che sono sempre più i genitori che mandano i figli in altre scuole, dove il Natale è Natale e non la festa della gioia.
In aula insegnanti non sappiamo se ridere o piangere.
Ovviamente il fatto non sussiste.
Come non ha rilevanza statistica la motivazione natalizia per la scelta di scuola privata che alcune famiglie effettuano ogni anno al termine delle elementari.
La scuola elementare, e mi scuso per l’ovvietà, lavora sulle tradizioni locali con lo stesso chiaro intento conoscitivo che caratterizza ogni suo ambito, rivendicando il proprio diritto ad un esercizio autonomo della ricerca e ad una partecipazione paritaria da parte di tutti i piccoli protagonisti ai quali appartiene. Chiamiamo questo laicità.
La scuola elementare, nella costruzione di percorsi condivisi, nella dinamica autonomia-apertura, garantisce la massima espressione possibile di quella democrazia e di quella collegialità che sono condicio sine qua non per l’abitudine al dialogo come strumento irrinunciabile del sapere e del saper essere.

E si impegna, con estrema concretezza, a lavorare per quella famosa deontologia professionale di cui tanto si parla in questi giorni. Lo fa dentro le aule, dentro i collegi, dentro i rapporti con le famiglie e gli enti esterni. Lo fa con i bambini, a cui propone la scoperta e la dichiarazione delle regole come punto di forza del gioco. Se dev’essere bello.
Quello che sussiste ha altri nomi: parzialità dell’informazione, strumentalizzione dei dati, falsificazione dei fatti, induzione al sospetto.
Alla domanda “Lo sai cos’è il Natale?” A.A., tunisino, risponde di no. Come possono sapere i telespettatori che è in Italia da due mesi e sta ancora frequentando il Laboratorio di Italiano?
Perché non leggiamo sul giornale nessuna delle parole spese al telefono in risposta al classico “Posso farle un paio di domande, in qualità di insegnante?”
Come mai lo schermo ci “taglia”, eliminando prepotentemente il nostro diritto all’espressione,il che significa riduzione dell’ intervista e non partecipazione al dibattito della parte in causa?
Domande ingenue, ci rendiamo conto.
Com’è ingenuo il continuare a credere che esistano altre strade, oltre alla guerra, per un equilibrio sostenibile. Strade di mediazione, di interrelazione, di analisi e comprensione delle motivazioni e degli eventi.
Ingenui e usati per una battaglia non nostra. La battaglia contro la diversità.
Ma quando ci accorgiamo che,in trasmissione, dopo un’ora di inferocita discussione sulla perdita di identità dovuta alla mancanza di rispetto di una scuola che cambia le carte in tavola, basta un e-mail, stringatissima, per far crollare l’impalcatura argomentativa dell’intero dibattito (se le cose stanno così…potevate invitarli, gli insegnanti…intenti puliti…), allora sappiamo con certezza che è il sonno della ragione a generare mostri e ci sentiamo improvvisamente svegli.

Sono l'insegnante di Telgate da voi intervistata. Se aveste mandato in onda tutte le risposte da me date alle vostre domande, i telespettatori saprebbero che chiamare il Natale Festa della Gioia e della Speranza non significa cambiarne il nome, ma approfondirne alcuni dei significati e quindi rispettarlo profondamente.
Che la festa dello scorso anno, come tutte le precedenti, è stata animata dai canti e dalle
rappresentazioni del Natale, secondo quello spirito di ricerca e di autenticità che caratterizza la scuola.
Che il Presepe, tutti gli anni allestito nel nostro
atrio, è costruito per tutti i bambini.
Aggiungo che il panettone non è certo un simbolo del
Natale religioso, mentre le torte offerte dalle mamme
ed allegramente distribuite a tutti i bambini, ci
ricordano quel mettere in comune e quell'imparare a
donare che il Vangelo insegna da sempre


Molto rumore per fatti che non sussistono.
E se fossero successi?

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 G roscioli    - 10-11-2001
purtroppo devo dire c'entra anche se non vorrei....
dopo anni di esperienza all'estero in paesi "laici " come la turchia..devo dire che c' ebntra....
Dobbiamo recperare le nostre radici che volenti o noilenti sono quelle. Senza imlporle ma cercando di esserne fieri perchè ci hanno portato a queste idee di liberta e rispetto ...Da quelle parti non ci fanno sconti
non si puo parlare davant ad una chiesa se no è proselitismo
non si puo avere una croce perchè se no infedele e come tali...
ci si lava le mani se si tocca un cristiano (iran)
Mi sta bene che loro siano fieri della loro religione e delle loro basi culturali..
Che il natale sia natale e lo sheker bayran sia lo sheker bayran
partecipiamo al loro ma loro partecipino al nostro....senza sconti
Cerchiamo noi di essere fieri delle nostre tradizioni e non cerchiamo di occultarle in nome di un falso rispetto...non rispetteremo noi stessi