Controriforma dei cicli: cui prodest?
Gianni Trezzi - 04-11-2001
Dopo la legge sull’autonomia scolastica, con la legge di riordino dei cicli doveva giungere a compimento l’impegnativo iter legislativo di rinnovamento del nostro sistema scolastico (il primo organico intervento nel settore dalla riforma Gentile del lontano 1923!).
Invece il neo-ministro della Pubblica Istruzione del governo di centrodestra, Letizia Moratti (la stessa che, giusto per inquadrare il personaggio, quando era presidente della RAI ebbe ad affermare che la televisione pubblica era complementare alle reti Mediaset), ha ritirato i decreti attuativi e bloccato –per il momento- la partenza del progetto.
Il nuovo disegno didattico-pedagogico dei cicli scolastici era impostato in modo da avvicinare l’impianto del nostro sistema d’istruzione nazionale a quello dei più avanzati Paesi europei (come Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, Svezia, Danimarca…), dove una scuola di base unica impostata secondo le linee-guida proposte dalla “riforma Berlinguer” è già funzionante da parecchio tempo.
“Cui prodest?”, come direbbero gli antichi Romani… A chi giova, dunque, rallentare se non bloccare il processo di rinnovamento della scuola italiana?
Per rispondere a questa domanda è prima necessario riassumere cosa prevedeva, in concreto, la riforma impallinata:

1 – La scuola materna statale si sarebbe rinominata SCUOLA DELL’INFANZIA; la frequenza restava facoltativa (ma vivamente consigliata) ed era previsto il potenziamento della sua presenza sul territorio.

2 – Scuola Elementare e Scuola Media erano fuse in un unico ciclo, assumendo il nome di SCUOLA DI BASE, della durata di sette anni (suddivisi in 2 + 3 + 2: i primi due anni centrati sull’alfabetizzazione di base; i tre anni centrali legati all’introduzione dell’alfabetizzazione culturale; i due anni finali basati su un approfondimento delle tematiche suddette, da un lato tramite un ampliamento dell’offerta formativa, dall’altro attraverso un percorso il più possibile mirato ad individuare l’indirizzo di studi superiori più indicato ad ogni singolo alunno per il proseguimento della carriera scolastica).

3 – La SCUOLA SUPERIORE era prevista con una durata complessiva di cinque anni, suddivisi in un biennio di base + un triennio di specializzazione. Tutti gli istituti superiori dovevano assumere la denominazione di LICEI, dividendosi nelle seguenti aree: classico-umanistica, scientifico-tecnica e tecnologica, artistica e musicale. Ciascuna area poteva a sua volta essere ripartita in indirizzi specifici.

La riforma si prefiggeva l’obiettivo di coordinare l’offerta di formazione, in base alle nuove esigenze del mondo contemporaneo, affrancando la scuola italiana da ciò che rappresenta il suo difetto maggiore: la discontinuità del percorso formativo, frammentato in scuola materna, elementare, media e superiore. Ogni volta che l’alunno passa da una scuola all’altra deve affrontare un salto non solo temporale, ma anche e soprattutto psicologico, con l’esplicita richiesta di adeguarsi il più rapidamente possibile alla nuova realtà. Con il nuovo sistema l’alunno avrebbe affrontato un solo passaggio (perché scuola dell’Infanzia e scuola di Base erano pensate come sempre più strettamente legate a doppio filo, soprattutto ove inserite entrambe in un istituto comprensivo), dalla scuola di Base a quella Superiore, in un’età adeguata per affrontare con successo un cambiamento così importante e con una preparazione che gli avrebbe permesso di scegliere l’istituto più congeniale ai suoi interessi e potenzialità (nell’ultimo biennio della scuola di Base sarebbe stato posto un forte accento sull’orientamento, per garantire all’alunno una scelta ponderata dell’indirizzo di studio futuro).
Valorizzazione dello studio delle lingue straniere e impiego diffuso delle nuove tecnologie didattiche (computer, internet, laboratori multimediali…) erano due punti qualificanti della riforma, giacché si rileva che “…nel prossimo futuro i cittadini della società delle conoscenze dovranno sempre più acquisire il possesso di competenze linguistiche ed informatiche che consentano di estendere e ampliare le competenze già in possesso di ciascuno”.
Nell’ambito dell’autonomia, era previsto che le singole istituzioni scolastiche potessero gestire una parte significativa dell’orario, organizzando percorsi individualizzati (per esempio progetti di accoglienza dei nuovi alunni, di orientamento per gli alunni in uscita, di recupero, di approfondimento, di miglioramento dell’offerta formativa, ecc.).
L’utenza sulla base del POF (Piano dell’Offerta Formativa), dei servizi proposti e di un progetto pedagogico condiviso, poteva liberamente decidere dove iscrivere i propri figli (introducendo, in un certo senso, un criterio di concorrenza tra le diverse scuole che doveva fungere da stimolo per garantire sul territorio proposte didattico-educative sempre più qualificate e innovative).
Un ruolo non secondario, nella scuola della riforma e dell’autonomia, era attribuito da una parte agli enti locali (soprattutto i comuni) e dall’altra ai genitori; queste due componenti sarebbero state chiamate a collaborare attivamente con l’istituzione scolastica, che avrebbe dovuto coordinarsi (anche finanziariamente) sempre più strettamente con i comuni (chiamati ad organizzare i servizi complementari al buon funzionamento della macchina scolastica, come il trasporto alunni, il servizio mensa, ecc.) ed i privati (per esempio, il singolo istituto avrebbe potuto accettare sponsorizzazioni).

E’ un progetto di riforma balzano? Non mi pare, la proposta è valida e moderna sia da un punto di vista didattico, sia a livello organizzativo, come hanno riconosciuto i maggiori pedagogisti ed esperti internazionali di sistemi educativi (e come certificato dall’UNESCO). Prefigura una scuola di stampo ideologico e –orrore!- “comunista”? Neppure il Cavaliere dei tempi migliori lo potrebbe credibilmente sostenere! E allora? Ripeto la retorica domanda iniziale: a chi giova? Chi può trarre vantaggio dal blocco di una riforma che avrebbe posto la scuola italiana alla pari con i sistemi scolastici più progrediti al mondo? La risposta è tanto semplice quanto amara: un centrodestra così pesantemente coinvolto nel business della scuola privata (basti pensare ai numerosi istituti gestiti dai “formigoniani”), ha tutto l’interesse a boicottare il rilancio della scuola statale, perché una scuola pubblica efficiente ed efficace è una concorrente che dà enormemente fastidio e la si vede come il fumo negli occhi! La sospensione della riforma dei cicli rischia di gettare in uno stato di drammatica confusione il mondo della scuola pubblica. Ma forse è proprio quello che la C.d.L. vuole: smantellare la scuola statale, privarla di risorse e (cosa ancor più grave) di prospettive per il futuro, significa indebolirne l’immagine e spingere le famiglie disorientate a correre ad iscrivere i propri figli nelle scuole private (non importa se per buona parte inefficienti ed inefficaci), in attesa del bonus che dovrebbe consentire loro di sostenerne la spesa. Mi auguro, da insegnante e da cittadino, che gli italiani sappiano reagire a questo disegno pericolosamente reazionario. Resistere al neothatcherismo di Berlusconi e soci, opporsi a chi pensa che la scuola statale sia complementare a quella privata (come avviene negli USA, dove la scuola pubblica è di pessima qualità ed è frequentata solo da ispanici ed afroamericani, lo strato più povero della popolazione che non si può permettere di pagare le rette delle scuole private) è un dovere morale per chiunque abbia a cuore i destini dell’istruzione pubblica in Italia.
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Proprio in questi giorni la Moratti ha lasciato trapelare alcune linee-guida del suo progetto di riforma dei cicli scolastici.
I dettagli della riforma Moratti
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 gabriella chirizzi    - 11-11-2001
mi piacerebbe sapere che lavoro svolge l'autore dell'articolo in modo da poter inquadrare meglio il suo punto di vista: quello che mi pare infatti è che in classe non ci stia ma soprattutto che si debba sempre e comunque correre dietro a dei falsi miti quali quelli dlela validità della scuola straniera quando in realtà è la nostra quella che tutti invidiano....
Di sicuro c'è un buco nella scuola media, mentre quella elementare è sempre valida, ma anche qui bisognerebbe valutare caso per caso.....
Io insegno meccanica in una scuola pubblica, ho una figlia di 7 anni che frequenta una scuola privata per il sol fatto che è anticipataria e questo nella scuola pubblica non sarebbe potuto avvenire nonostante le potenzialità, anzi ho dovuto metterla via dalla scuola pubblica (scuola materna) perchè le cosiddette maestre (non meritano certo tale appellativo) di fronte alle potenzialità della bambina, tarpavano le ali dicendo non hai l'età per fare certe cose etc...
Con questo non voglio dire no alla pubblica e sì alla privata, lungi da me.....io insegno in un professionale dove la realtà è molto diversa, dove ogni giorno devo lottare per farmi seguire, per creare entusiasmo, per trasmettere il mio entusiasmo..
Domani sciopererò, la prima volta forse nella mia carriera di studente e ora insegnante, ma solo per un motivo......per far capire che ci sono, che se si deve fare qualcosa lo si deve fare sentendo il mio parere, non seguendo fantomatici progetti di fantomatici ispettori che vogliono legare il proprio nome a qualcosa di nuovo, ma solo per gloria non per fare veramente del bene......
Questo sono solo sensazioni sparse ma sono quelle nate leggendo l'articolo.