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Terra di nessuno: per riflettere
Revision - 19-03-2003
NO MAN'S LAND
1h 38'


Regia: Danis Tanovic



1993, Bosnia-Erzegovina. Terra di Nessuno. Così è indicata una striscia di terreno tra due postazioni nemiche. Nel mezzo una trincea abbandonata, forse un tempo serba (si intravede una foto di Milosevic). Conquistarla significa fare di quella terra la terra di qualcuno. In questa trincea rimangono intrappolati Ciki, bosniaco, e Nino, dell'esercito serbo ma originario della Bosnia del nord. Un terzo uomo, compagno d'armi di Ciki, è sdraiato su una mina - il tipo detto bomba saltellante; finchè un peso la schiaccia non accade nulla, ma se il peso è rimosso esplode distruggendo tutto quello che esiste nel raggio di 30 m. Disinnescarla è impossibile.
Una nebbia che nasconde cose e uomini. Questa è la prima immagine di No Man's Land. Una pattuglia di soldati si perde mentre cerca di raggiungere la prima linea. La nebbia si alza e sono in territorio nemico. Dal nulla, o quello che appariva il nulla, emergono mitragliatrici e cingolati. Il nulla si trasforma in morte.

Un film dove nessuno è esente dall'ironia sferzante attuata da Tanovic. La guerra è narrata senza prendersi troppo sul serio, senza fanfare e dettagli continui su bandiere svolazzanti, con la consapevolezza che le persone direttamente coinvolte non hanno nemmeno capito di trovarsi nel mezzo di una tragedia umana, come il soldato che leggendo un giornale dice ad un altro: "Hai visto che casino in Ruanda!". La nebbia si alza, ma solo per scoprire parti di un mosaico confuso, impossibile da completare, o più semplicemente da decifrare. Chi ha iniziato questa guerra? Ciki e Nino si accusano a vicenda. Solo dei fatti sono incontestabili: i villaggi rasi al suolo, la loro vita modificata per sempre, il passato cancellato da un presente incerto. Tutto è riconducibile al nulla di qui sopra, un vuoto che si è creato dalle macerie di una confederazione, forse posticcia ma che conteneva le opposte forze interne. Così un giorno d'estate, in una natura rigogliosa violentata dall'oscena guerra, i nemici s'incontrano e cadono nella trappola mortale tesa da loro stessi. Di nuovo fratelli.

Spesso quando s'indica un luogo dove si svolgono degli scontri tra eserciti, si parla di teatro di guerra. Lo sentiamo in questi giorni per bocca di esperti militari. Teatro, luogo in cui attori e spettatori s'incontrano per realizzare una comunione culturale e sociale, piacevole riunione di esseri umani. E' questa la guerra? No, ma nell'era del primato dei media, ogni evento può avere i suoi spettatori. Anche la vicenda di Ciki e Nino ha i suoi spettatori, e l'intervento delle tv ne fa un caso internazionale che costringe l'UNPROFOR ad agire. Un esercito di pace con le sue contraddizioni. Una guerra resa ancor più assurda da un contingente militare destinato alla mediazione, al non intervento. Il sergente Marchand non accetta di guardare senza agire, e agire per lui significa dare un senso alla sua presenza. Inutile tentativo di risoluzione del dramma. Ciki e Nino si uccideranno davanti all'impotenza di Marchand e dei suoi uomini, davanti alle telecamere accese, incerti all'inizio se superare l'odio e tornare a riconoscersi come persone che fino a qualche tempo prima erano amici di una stessa donna, o se rassegnarsi a guardarsi in futuro solo da un mirino puntato l'uno contro l'altro. La farsa si compie, il circo dei media è allontanato. Mentre l'UNPROFOR abbandona la scena - con i suoi apparati che mostrano una forza che non c'è - fingendo di aver disinnescato la mina, l'uomo rimane sulla bomba saltellante con la foto della moglie tra le mani. Tanovic ci lascia con questa ultima terrificante immagine di sconfitta. Su quella bomba non è disteso solo un uomo in attesa del disastro. Su quella bomba c'è la vicenda di un Paese un tempo unito e lasciato da solo a sopravvivere nella nebbia.
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