Riforma dei cicli e immobilità sociale
Daniele Checchi - 19-02-2003



Il progetto di riforma della scuola italiana attualmente in discussione in parlamento contiene una misura destinata ad avere profonde ripercussioni sulla società italiana. Si tratta dell’anticipo all’età di tredici anni della scelta del percorso di scuola secondaria, scelta da esercitare tra un indirizzo di tipo "accademico" (corrispondente in sostanza agli attuali licei), un indirizzo di tipo "tecnico" (gli attuali istituti tecnici e una versione aggiornata degli istituti professionali) e un nuovo indirizzo, definito "alternanza scuola-lavoro", che appare ispirato al sistema duale tedesco. La forte differenziazione dei percorsi scolastici rende poco credibili le affermazioni di una possibile reversibilità delle scelte in corso di frequenza.

Ci sembra legittima la domanda sull’efficacia di questa architettura nell’affrontare il problema più grosso che affligge la scuola italiana: la sua bassa produttività complessiva, in termini sia di quantità che di qualità. Due soli dati in merito: in Italia, nella fascia di età compresa tra 25 e 34 anni, solo il 57 per cento ha conseguito un diploma di scuola secondaria, contro una media Ocse del 74% (in Francia è del 78%, in Germania dell’85%, negli Stati Uniti dell’88% e in Giappone del 94% - fonte Oecd 2002, Education at a glance, Paris, tab.A1.2). Indubbiamente vi sono stati progressi, quando si consideri che per la generazione precedente la distanza dalla media degli altri paesi era di dieci punti percentuali maggiore. Infatti, nella fascia di età compresa tra 55 e 64 anni, l’Italia registra un 22% di diplomati rispetto a una media Ocse del 49%.

Anche se il flusso di risorse impegnate per studente è consistente, la scuola italiana produce pochi diplomati. Se ne potrebbe dedurre che questo sia frutto di un’elevata selettività, cioè che i pochi diplomati italiani sono migliori di quelli d’oltralpe. Ma la realtà dei confronti internazionali è un’altra. L’ultima indagine condotta in ambito Ocse nel 2000 e denominata Pisa (Programme for International Student Assessment), seppure passata quasi inosservata, riporta dati molto preoccupanti. Posto pari a 500 la media dell’intero campione Ocse di quindicenni, la capacità di comprensione dei testi (reading comprehension) degli italiani era pari a 487, la capacità di comprensione matematica (mathematical literacy) era pari a 457 e l’alfabetizzazione scientifica (scientific literacy) era pari a 487. L’Italia occupa le posizioni più basse della graduatorie, seguita soltanto da Portogallo e Grecia. Qualunque sia l’ipotesi che si voglia formulare sulle cause della situazione, è indubbio che la scuola secondaria italiana richieda interventi di riforma che incidano sulle cause dei fenomeni esposti. Ciò che differenzia il sistema scolastico italiano da quello di altri paesi è la più elevata dipendenza della carriera scolastica dal background familiare, e in particolare dal grado di istruzione dei genitori. . La tabella 1 mostra che il rendimento scolastico è fortemente correlato con l’ambiente culturale di provenienza. Quasi metà dei figli di genitori analfabeti consegue un giudizio di sufficienza all’uscita della scuola media; all’estremo opposto il 40% dei figli di coppie dove almeno un genitore è laureato ottiene un risultato ottimo. Su questa diversa performance, che tende a instaurarsi spontaneamente ma sulla quale la scuola media non sembra introdurre alcun elemento correttivo, si innesta poi l’orientamento scolastico. La tabella 2 mostra come, una volta conseguito un risultato scolastico, il destino sia già segnato: chi ha ottenuto "sufficiente" viene orientato verso le scuole professionali o gli istituti tecnici, chi ha ottenuto "ottimo" si indirizza ai licei. Il quadro si completa considerando che chi esce da un liceo nel 91 per cento dei casi si iscrive all’università, mentre chi esce da un istituto tecnico lo fa solo nel 36 per cento dei casi.

La scuola italiana è quindi imprigionata in una logica ferrea. I figli di laureati vanno meglio a scuola, vengono indirizzati nei curricula di tipo accademico e conseguono la laurea. Al contrario, chi proviene da una famiglia con bassa scolarizzazione va male a scuola, viene scoraggiato precocemente dal completare gli studi e spesso abbandona del tutto. Poiché tra i genitori i laureati sono pochi, altrettanto pochi sono i diplomati e i laureati prodotti dal sistema scolastico.

La riforma proposta dal ministro Letizia Moratti rafforza queste rigidità. I diplomati che usciranno dalla scuola secondaria riformata saranno ancora meno degli attuali, così come minori saranno le iscrizioni all'università. La cosiddetta alternanza scuola-lavoro bloccherà definitivamente anche quei timidi tentativi - nell’ordine del 17 per cento al 1995 - di prosecuzione universitaria che si osservavano tra i diplomati delle scuole professionali La persistenza intergenerazionale aumenterà, tendendo a ridurre la mobilità.. Non andremo verso una società più fluida, anzi il modello che si intravede è un ingessamento ulteriore delle differenze sociali. La scuola, che nella società occidentale è un potente strumento di mobilità, riduce ulteriormente la sua capacità di incidere sui meccanismi di progressione sociale. Le generazioni future ne pagheranno lo scotto.

Tabella 1 – Istruzione dei genitori e giudizio conseguito all’esame di terza media – Italia 1995 – valori percentuali




Tabella 2 – Giudizio all’esame di terza media e scelta di scuola secondaria – Italia 1995 – valori percentuali





Fonte: elaborazione sui dati individuali dell’indagine Istat, 1999. Percorsi di studio e di lavoro dei diplomati – Indagine 1998. Istituto Poligrafico dello Stato, Roma


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