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Il soldato Powell
La Repubblica - 06-02-2003


Davanti agli scettici dell´Onu il segretario di Stato Usa è stato abilissimo, ma non ha convinto fino in fondo
L´attacco dell´ex colomba "Colpire prima che sia tardi"
Molto efficace sul piano personale l´ex generale ha usato toni da falco
Era l´esame più importante per il brillante figlio di un immigrato jamaicano

DAL NOSTRO INVIATO
VITTORIO ZUCCONI


DOPO un´ora di discorso in diretta mondiale, e dopo avere ascoltato le risposte di francesi, russi, tedeschi e cinesi, è lecito dire che ha superato magnificamente la prova personale, ha tolto ogni sospetto di doppiogiochismo tra falchi e colombe, ma con le sue "prove" ha convinto chi era già convinto, senza davvero convertire gli scettici.
Il tono della sua catilinaria davanti al sinedrio del mondo è stato perfetto, e andrebbe studiato nelle facoltà di legge per insegnare come si conduce una requisitoria, quando il processo è solo "circostanziale", senza pistole fumanti. Pacato, mai stridulo, addolorato come deve essere un vero uomo di stato di fronte all´enormità di una guerra, Powell ha saputo usare il vantaggio immenso della sua credibilità personale. Con un comando da giovanissimo in Corea, due turni come volontario in Vietnam tra i parà della stessa divisione, la 101esima, in viaggio per il fronte, una vita trascorsa dalle più umili scuole pubbliche del Bronx al massimo grado di comando militare e di gabinetto, sotto due Presidenti repubblicani e un democratico, Powell è inattaccabile dalla destra bellicista. Ed è anche la sola speranza della sinistra pacifista non fanatica che deve a lui la strategia che ha ricondotto la dottrina pericolosa della "guerra alle intenzioni", la guerra preventiva voluta da Bush, negli argini del diritto internazionale, come vuole la civiltà giuridica occidentale.
Mai nessuno, neppure il profugo tedesco Kissinger, era arrivato tanto in alto partendo da tanto in basso e Colin Powell può parlare con il tono di chi non deve dimostrare niente a nessuno e che anche i meno convinti di invadere l´Iraq possono condividere. È la voce dell´uomo tranquillo che conosce davvero la guerra e si sente costretto a battersi per necessità, non per ideologia o per ubriacature bellicose, e soltanto quando tutte le alternative sono esauste.
Ma il materiale che il suo governo gli aveva fornito per il road show portato al Palazzo di Vetro, ha impressionato l´audience assai meno del protagonista. A parte quei cartoons sui camion di Saddam di incerto gusto disneyano, la progressione logica della requisitoria ha mostrati i limiti strutturali dell´argomento per la guerra che continua a restare bloccato sulla perfidia di Bagdad, sul suo essere un regime ripugnante e bugiardo. Ma non riesce a spiegare ai perplessi perché una guerra sia necessaria proprio adesso, e soltanto all´Iraq, nel ricco buffet mondiale di regimi altrettanto infami e armati di ogni orrore. E, soprattutto, quali ricadute essa avrà sul mondo islamico e sulla regione.
Powell ha avuto alcuni momenti di irritazione, di impazienza, mentre ascoltava gli irriducibili, i russi e francesi, dire che loro non condividevano la fretta di Bush. Si è concesso qualche espressione infastidita da vecchio generale costretto ad ascoltare un subordinato particolarmente ottuso od ostinato, quando Ivanov, il russo e De Villepin, il francese, che detengono il diritto di veto, hanno ribaltato l´edificio accusatorio costruito con tanta cura dal segretario di Stato.
Abbiamo gli elementi certi, registrazioni, foto, confessioni, per dire che Saddam sta «giocando a nascondino» con gli ispettori, dunque l´intervento è inevitabile, diceva Powell. Ma proprio perché ora sappiamo dove, e come, Saddam bara, gli hanno risposto francesi e russi, possiamo dire agli ispettori dove andare a frugare, anziché farli giocare a moscacieca. E poi tornare all´Onu per dimostrarci che non ci sono altre vie che la forza, con «varie» nuove risoluzioni, ha detto Ivanov, il ministro dell´amico di tutti e di nessuno, Vladimir Putin. Una frase che ha dipinto sul volto di Powell un´espressione di disperato disgusto La catilinaria contro Saddam sarebbe dovuta essere un crescendo insieme giurisprudenziale ed emotivo, come fece Stevenson quando alla fine inchiodò l´ambasciatore russo Zorin davanti ai suoi missili a Cuba negati dal bugiardo Gromyko, per arrivare al solo argomento incontestabile per una guerra preventiva, alla complicità tra Bagdad e la rete di Al Qaeda. Ma è finita con un sospiro, e non con un´esplosione. Non c´è ancora davvero nessun elemento che colleghi Saddam all´11 settembre, lo spartiacque della storia americana. Non ci sono certezze che l´antica ostilità tra il ben poco mistico Saddam e i fanatici musulmani di Osama sia diventata un´alleanza. Tutto ruota attorno a un "quadro" di Al Qaeda, Abu Al Zarqawi, attivo in una zona semiautonoma del Kurdistan e medicato in un ospedale di Bagdad.
C´è un´ipotesi che l´assassinio di un funzionario americano ad Amman, Foley, sia stata eseguita da sicari di Al Qaeda finanziati da Saddam. Ci sono elementi che fanno pensare a un passaggio in Iraq di terroristi scacciati dall´Afghanistan, ma certo molti meno di quanti si sono dispersi in Pakistan, nostro alleato. E se due anni di indagini e arresti in Gran Bretagna, Spagna, Italia, Francia, Germania hanno prodotto solo questo, il dubbio che i legami non siano poi tanto profondi o che i servizi siano tragicamente inetti, è rimasto.
Naturalmente, la tesi del soldato Powell, in linea con il suo comandante Bush, è che la mostruosità delle armi possibili sia tale da non consentire il lusso di attendere che fumino. Su questo argomento, sicuramente il più serio e spaventoso, si fonda la preghiera che ci ha lasciato alla fine, che suona: non ripetiamo l´errore tragico della Società della nazioni davanti a Hitler. Ed è legittimo prevedere che l´America un via libera alla guerra, con qualche parvenza di consenso, venga dato anche dagli apparenti irriducibili. Come Washington non vuole battersi soltanto con l´armata raccogliticcia di paesi satelliti, o non sarebbe qui a perorare la sua causa, così l´Europa non vuole veramente lasciarla sola a riscrivere la carta del Medio Oriente e dei suoi giacimenti di petrolio. Resta, senza risposta, la domanda che lo stesso Powell ha sollevato, senza volerlo. Se davvero lo Hitler della Mesopotamia, possiede 500 tonnellate di gas e 85mila dosi di antrace, che cosa gli impedirà di usarle, quando le truppe americane saranno, come l´Armata Rossa nella Berlino del 1945, ormai alle porte del suo ultimo bunker?


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