breve di cronaca
Democrazia addio?
Intervista al Prof. Antonio Peduzzi, giornalista del “Manifesto”


A cura di Angelo Scebba


A seguito del dibattito sulla feudalizzazione nella scuola abbiamo pensato di fare una chiacchierata con Antonio Peduzzi, in modo da approfondire ed ampliare le tematiche in questione.

Cominciamo col presentargli la situazione di disagio nelle nostre scuole, che non gli risulta affatto sconosciuta, essendo egli docente in un Liceo. Il giornalista dichiara di essersi sempre occupato di questioni economiche: analisi di conflitti e contratti dell’industria. Tuttavia, in questo momento ha sentito il bisogno di intervenire sulle tematiche scolastiche, soprattutto per un motivo di ritegno: per non tacere di come stanno le cose nella Scuola. Anzi, un suo articolo, non molto tempo fa, ha suscitato le ire dell’ ANP.

La disponibilità di Antonio Peduzzi ha trasformato la nostra cordiale conversazione in una vera e propria analisi sistematica delle situazioni attuali e future della nostra Scuola.

Per questo, la proponiamo in forma già organizzata, separata in paragrafi che aiutino il lettore ad una lettura ordinata.




Lo “Spirito del Tempo”: la feudalizzazione della Scuola tra piramidi gestionali e cooptazioni.




D:
In alcune e-mail i colleghi esprimono soprattutto rabbia perché la situazione di oggi non è che il completamento delle riforme volute dal centro sinistra.



R: Questi colleghi e amici che scrivono devono però capire una cosa. Non è tanto il fatto che siano riforme di sinistra o di destra. Secondo me, quella era una deriva di cui la sinistra – come la destra - si sono trovate a fare la parte dell’interprete. Ma è una deriva che è in atto, e che discende dalla logica della cultura come prodotto aziendale – ormai accettata da chiunque - per cui non ci si può ribellare: è un processo, un destino più forte di chi gestisce i ministeri... Di conseguenza sia da destra che da sinistra viene interpretata nello stesso modo.
Infatti, anche le ultime notizie sulla proposta di modifica dello stato giuridico dei docenti lasciano intravedere un disegno governativo per distribuire gli insegnanti su gradi diversi. E chi darà i “gradi” agli insegnanti? Li daranno i dirigenti. La carriera in senso formale nelle aziende pubbliche è riservata a coloro che hanno ricevuto i gradi dai dirigenti. La logica è già passata nei ministeri e negli enti locali. E’ così. E’ lo spirito del tempo. Allora il problema di fondo è opporsi allo spirito del tempo. Questo punto di vista mi è più familiare.



D: Il teorema ideato sembra perfetto e terribile. Un sistema piramidale: ministro-governo, direttore regionale, dirigente scolastico. Ma quali strumenti avrà a disposizione l'apparato per funzionare?



R: Questi i cardini: 1) La definizione della funzione docente da parte governativa, senza confronto, senza contrattazione, perché la contrattazione viene considerata un intralcio. 2) La creazione di livelli intermedi. Il docente esperto, che prenderà il doppio di stipendio, farà funzionare l’apparato secondo il progetto di scuola che si ha in mente di realizzare. Per questo l’ANP ha aperto le iscrizioni ai vicari, ai collaboratori dei dirigenti e alle funzioni obiettivo.



D: Quello che oggi si sta realizzando viene da lontano, dal decreto legislativo numero 29 del ‘93, all’epoca c’era il governo Amato. L’autonomia e la dirigenza scolastica, che sono in via di compimento oggi, derivano da questo famoso decreto.



R: E’ un rattrappirsi dello Stato. Non è una riforma nel senso in cui i riformisti intendevano questa parola. E’ lo Stato che si ritrae.



D: Ma questa la possiamo definire una vera un’autonomia delle scuola?



R: Si tratta di una riorganizzazione sotto forma aziendale. In realtà significa autonomia come destatalizzazione. Ci saranno regole luogo per luogo. Un conto è l’autonomia che si conquista per rendere lo Stato più moderno e un conto è uno Stato che si sfascia, che si sganghera, si fa a pezzi con una trasformazione in feudi. E’ una cosa diversa. In realtà significa una medievalizzazione. Non significa altro. Difatti le figure professionali che vengono avanti non sono avanzate, ma arretrate, com’è tipico di ogni rivoluzione conservatrice. Perciò il privato va pensato fino in fondo. Un conto è dire – teoricamente - che si contratta come nelle aziende e un conto dire che comandano le famiglie e i prepotenti. Famiglia significa ambito della servitù, e dobbiamo pensarla nel senso mafioso: al suo vertice ha una cupola, nella zona di rispetto ha manodopera combattente, scagnozzi, spie, ecc. Privato significa anche quello e questo. La carriera la fa chi è consenziente, o succube. Quando vedo questo penso che la legge 300 inizia con un titolo che parla della dignità del lavoratore. Ovviamente, con l’espressione “lavoratore” la legge 300 si riferisce a lavoratori e lavoratrici, uomini e donne. Sottolineo quest’ultimo aspetto: dignità della donna. Perché secondo me è diventato un problema, nella scuola.



D: Cosa ne pensa del nuovo bando di concorso per dirigente scolastico?



R: Con tre anni di incarico assegnato dal direttore regionale uno ipso facto ottiene diritto di partecipare al concorso. Ci sono 1500 posti e 1450 concorrenti, allora perché lo chiamano corso-concorso, visto che l’accordo prevede che non vi sia sbarramento tra scritto e orale e vi sia un voto unico e che passino tutti? Non è né un corso né un concorso. La cosa curiosa è che l’ANP sta facendo dei corsi a pagamento di preparazione al corso-concorso dentro le scuole. I corsi si tengono dentro le scuole, quindi utilizzano pure le strutture dello Stato, non capisco perché. Corsi di preparazione a pagamento per un concorso fasullo in cui i concorrenti sono inferiori ai numeri dei posti, e in cui esponenti dell’Anp avrebbero l’ambizione di insegnare a un candidato come si scrive un saggio, la cui tecnica di scrittura non hanno mai, essi stessi, imparato. E poi in questo modo quale dirigenza si forma? La dirigenza aziendale la conosco, quella ministeriale la conosco, questa non è la dirigenza vera, perché nel bando non è previsto neanche il requisito di aver vinto un concorso a cattedra. Quindi chi diventa dirigente potrebbe non aver mai vinto neanche il concorso. Questo requisito è stato abolito: non è considerato importante.



D: Per avere l’incarico di presidenza occorre aver fatto il vicario (che non è più elettivo) e per fare il vicario oggi si deve avere l’investitura da parte del dirigente, quindi il dirigente di oggi determina il dirigente di domani.



R: Sì, questa forma cooptativa medioevale è difficilmente compatibile, anche se non mi risulta che la forma elettiva sia stata esplicitamente abolita. Comunque il problema è questo: possiamo anche accettare la prerogativa di scelta da parte del dirigente. Quello che non possiamo comprendere né accettare è il fatto che questa “scelta” diventi un titolo. E’ un fatto giuridicamente discutibile. In base a ciò che si apprende dalla stampa, chi è stato scelto dal dirigente avrà uno stipendio raddoppiato e poteri in mano, mentre l’insegnante che sta dietro la cattedra per 18 ore alla settimana, che fa il lavoro in aula, viene considerato massa che crea problemi, da gestire e da tenere sotto controllo.



D: In Spagna per esempio la riforma dell’autonomia prevede la figura del dirigente come figura elettiva, è un insegnante che viene eletto ogni due anni.



R: Si, come lo sceriffo o il procuratore in America. Lo spirito democratico la Spagna lo sente perché ne è stata a lungo carente. Noi invece siamo sazi di democrazia: non ci piace più. Colleghe e colleghi che hanno accettato di entrare a far parte dell’entourage di un dirigente “tengono famiglia”. Lo scambio è tra famiglia e democrazia, famiglia e dignità.




Sulle (illusorie) forme di equilibrio del Potere: RSU & Co.



D: I sindacati sostengono che l’equilibrio di poteri all’interno della singola istituzione scolastica è dato dalla presenza delle RSU elette dal personale della scuola. Lei concorda con questa affermazione?



R: No, no, i dirigenti a volte fanno eleggere, anche in questo caso, chi gli pare. Chi conosce la legge 300 sa cosa sono i sindacati di comodo, e sa anche che sono vietati. Io vedo che nelle RSU ci stanno troppo spesso insegnanti e personale ATA che vanno d’accordo con il dirigente e forse il motivo sta nel fatto che li hanno fatti eleggere apposta.



D: Alla fine di quest’anno termina il mandato alle RSU e si svolgeranno le elezioni. Quanti saranno gli insegnanti che si candideranno; quanti saranno quelli spinti dalla motivazione di rappresentare gli insegnanti e il resto del personale per non lasciare nelle mani del dirigente tutta la gestione della scuola?



R: Probabilmente ce ne saranno. Ma io sono colpito dal fatto che il dirigente tecnicamente ha in mano la possibilità di determinare, almeno in parte, l’esito di una votazione. Già il suo entourage è consistente, si allarga la possibilità di distribuire risorse, il suo potere si vede anche nel consiglio d’istituto. Io penso che una strada da percorrere potrebbe essere questa. Ho letto da qualche parte che in alcuni comparti del pubblico impiego le somme che venivano messe nelle mani dei dirigenti per l’incentivazione vengono contrattualizzate, cioè finiscono in busta paga. Se si rende contrattabile tutto, si sottrae potere al dirigente. Se le somme sono in mano al dirigente questi può nominare chi gli pare, ma senza soldi non trova nessuno disposto a collaborare. Ora, siccome questo succede nel parastato e negli Enti Pubblici, probabilmente non per fini democratici ma di risparmio, perché non farlo anche nella scuola?





Sulle effettive e possibili – anche se non praticate - forme di controllo del Potere.



D: Adesso il Fondo d’istituto viene contrattato con le RSU. Il dirigente può nominare tutti i collaboratori che vuole, ma, come previsto dal contratto, solo due possono essere pagati con le risorse del fondo.



R: Sì, ma gli incarichi nelle varie commissioni, in pratica, vengono dati dal dirigente e di conseguenza le RSU sono costretti a ratificare. Succede la stessa cosa anche per le funzioni obiettivo: spesso vengono eletti i docenti graditi al dirigente. L’unica soluzione è togliere le risorse economiche dalla gestione diretta del dirigente. Infatti, lo spostamento di risorse economiche dalla contrattazione nazionale alla gestione del dirigente risponde ad una logica feudale. In questo modo il dirigente è considerato come un ufficio speciale, pari a quello di un assessore al comune o alla regione, che ha “n” ore, “n” soldi, “n” giorni. La logica dell’ufficio speciale è una logica archeozoica, non nuova. Anche nel passato, fino a tutti gli anni Ottanta, i dirigenti di un ufficio statale avevano il potere di scegliere le persone per formare la segreteria. Queste stavano attorno al dirigente, facevano un numero di ore forfetarie e prendevano più soldi. Non so se poi producevano qualcosa. Questo tipo di gestione non affatto nuovo, esisteva prima, il dirigente sceglieva le persone che riscuotevano la sua fiducia. La segreteria aveva il compito di trasformare le relazioni di un ufficio in una rete di rapporti confidenziali, informali. Un compito importante, perché il dirigente aveva e ha il monopolio dei rapporti esterni. Dunque la formazione di staff ha sempre avuto aspetti personali-confidenziali, si è sempre nutrita dell’accesso a fondi non rendicontati per la buona ragione che la segreteria, oggi staff, rappresenta la morfologia “politica” del modo d’essere del dirigente. Quindi si può dire che sono fondi speciali per uffici speciali. In poche parole, i soldi assegnati al dirigente sono sottratti alla trasparenza. Se questi soldi vengono riportati nella contrattazione, spariscono queste figure archezoiche. Io al mio sindacato, che è la Cgil, direi questo. Ma non dimenticherei di dire sempre che la lotta contro queste procedure di informalizzazione nello Stato è un compito di civiltà. Chi studia le forme di cooptazione sa bene che esse sono un equivalente formale di pratiche incestuose.



Sul futuro prossimo venturo della democrazia nella Scuola


D: E il collegio docenti, secondo lei, che fine farà?


R: I collegi spariranno. Il collegio, che è l’unica forma assembleare consiliare rimasta, verrà annullata, anche formalmente.



D: Allora gli incontri fra dirigente e docenti non ci saranno più?



R: Assumeranno la forma di “comunicazioni di servizio”. Nel senso che non ci saranno né discussione né voto, perché in realtà dietro l’apparenza di una privatizzazione della scuola c’è una ministerializzazione. Dove mai si è visto che in un ufficio ministeriale si vota? Come se si riunissero e votassero gli impiegati dell’anagrafe. Il dirigente con i suoi collaboratori organizzano il lavoro e gli impiegati eseguono. Tutti si riempiono la bocca con le parole “efficace ed efficienza”. La sociologia americana l’ha detto trenta anni fa queste cose. E’ roba vecchia. Io la vedo così. Sono sorpreso del fatto che la scuola tutte queste cose, già successe negli enti pubblici, non le conosca. Forse perché è un corpo separato. O forse perché i colleghi leggono solo i libri di scuola o di didattica modulare, ma non quelli veri.



D: Quindi il collegio dei docenti verrà azzerato, ma che fine farà la libertà di insegnamento, oggi garantita dalla Costituzione, in tutta questa panoramica?



R: Oggi c’è un’usanza: la Costituzione non si può cambiare facilmente, si aggira con degli espedienti, come hanno fatto con il finanziamento alle scuole private. Anche la libertà di stampa esiste in Italia eppure io ho preso 27 querele da quando sono giornalista.





Proposte praticabili, realistiche, auspicabili per mantenere un livello dignitoso di democrazia nella Scuola.


D: Una soluzione per moderare lo strapotere dato ai dirigenti dall’autonomia bisogna trovarla. La strada da percorre potrebbe essere la seguente: la futura riforma degli Organi Collegiali dovrebbe prevedere l’autonomia del collegio dei docenti dal dirigente.



R: Questa è una proposta che io ho già fatto. Se il dirigente non è più una figura docente non deve presiedere il collegio, così come nei comuni il sindaco non presiede il consiglio comunale, che è invece presieduto da un consigliere eletto dal consiglio stesso.
Basta guardare tutte le leggi dei decenni passati, degli anni settanta, degli anni ottanta, che hanno voluto strutturare l’autonomia di un organismo hanno previsto che ci fosse un organo elettivo all’interno, cioè un organo compensativo. Penso agli asili nido, ai consultori familiari (dove le leggi nazionali e regionali hanno istituito organismi elettivi di gestione). Penso all’intervento culturale pubblico nel Mezzogiorno, le cui strutture hanno da decenni consigli di gestione. Penso persino alle Maisons du peuple del Midi francese volute da un tal André Malraux (certo, non uno sciocco pedagogista). In tutti questi casi la legislazione ha voluto organismi collegiali che avevano un solo significato: bilanciare dal basso il peso dirigenziale esercitato dall’alto. Significava che il dirigente c’è, ma può anche andare in minoranza. Un organismo la cui formalizzazione è data da un atto di voto che rende autonomi dal dirigente, questo per non concentrare troppo potere nelle mani di uno solo. Invece nel nostro caso c’è la concentrazione del potere nelle mani di una sola figura e l’eliminazione del momento compensativo in basso. Questo è sbagliato.



D: In pratica quali istanze dovremmo portare avanti come docenti?



R: Per esempio la richiesta di un organo compensativo dell’autonomia con l’elezione del presidente del collegio docenti. Questa figura del presidente è plausibile perché nei comuni è così, quella ha una logica, dato il potere in mano al presidente della giunta, cioè al sindaco, che è il capo dell’esecutivo eletto direttamente è stato sganciato l’organo assembleare. Ma, più in generale, data la tendenza informatizzante in corso, sono dell’opinione che la presidenza del Collegio (un presidente, oppure un comitato) possa rappresentare un elemento di statualità bilanciante. Perché non c’è da illudersi: senza un elemento di statualità nel Collegio, lo stesso uso delle risorse diventerà crescentemente una spesa per amiche e amici.



D: Quindi il sistema acquisterebbe un certo equilibrio con un collegio autonomo, una rappresentanza sindacale che contratta il fondo d’istituto e un dirigente capo del personale e responsabile della gestione che rappresenta lo Stato. E le funzioni obiettivo?



R: Secondo me nella sostanza sono fallite. Forse erano state introdotte per controbilanciare dal basso la forza che c’è in alto. Sono fallite perché ormai sono riassorbite in una logica di sistema, diventando nei fatti i collaboratori del dirigente. Così come il vicario, una volta eletto dai docenti e ora nominato dal dirigente, sembra impersonare la figura del “segretario di stato”.



D: L’autonomia del collegio potrebbe essere prevista nella legge di riforma degli organi collegiali.



R: Non penso che il governo sia disposto a fare una legge per difendere l’autonomia scolastica con un riequilibrio dei poteri dei vari organi. Piuttosto si potrebbe inserire un articolo nel contratto in modo che poi diventi norma.



D: Nella proposta di legge di riforma degli organi collegiali presentata dall’ on. Aprea il consiglio di istituto, denominato consiglio di amministrazione, viene presieduto dal dirigente scolastico e non più da un genitore. Lei cosa ne pensa?



R: Se si toglie la presidenza del consiglio di istituto ai genitori anche l’apparenza della forma federativa fra genitori svanisce. Si insiste a privilegiare il potere ad una figura fissa di sistema, contro le figure di movimento che appunto sono quelle che possono cambiare. Io penso che è inutile rigirarci, la forma federativa sarebbe tra lo Stato, i professori e le famiglie. Lo stato lo interpreta il dirigente con la sua presenza di controllo (non a caso è stato nominato dirigente), poi ci sono i professori, poi ci sono le famiglie. Ma, se ci si pensa bene, non è poi così certo che la statualità sia rappresentabile nel dirigente: perché egli è normalmente portatore di interessi non generali, ma particolari e corporativi.




Puntualizzazioni importanti



D: Quali poteri ha oggi il dirigente nel controllo del registro personale dei docenti?



R: Mentre prima i presidi e i direttori didattici guardavano i registri personali per vedere se l’insegnante usava segni crittografici con penne di colore diverso; oggi invece guardano per controllare la corrispondenza tra la programmazione depositata in segreteria e ciò che svolge quotidianamente il professore in classe.
A questo proposito: una sentenza della cassazione (n. 208196/97) ha stabilito che il registro personale è un documento che non ha valore amministrativo, cioè non pubblico. E’ soltanto un promemoria del professore. Ciò significa che il docente può usare una sua agenda personale.
Se si porta fino in fondo questo ragionamento significa che il dirigente non può intervenire su un documento personale dell’insegnante e che perciò non sussiste l’obbligo di tenerlo a scuola. Più esattamente: dato il carattere giuridico non pubblicistico del registro, esso è in linea di principio sottratto al potere del dirigente. E’ difatti assurdo pensare che il dirigente possa mettere gli occhi nel processo valutativo in cui il docente è impegnato, e questo per una ragione evidente: il dirigente ha il monopolio delle relazioni esterne. Se controllasse i registri dei professori, dato appunto il monopolio delle relazioni esterne (famiglie, ecc.), il controllo da parte del dirigente configurerebbe un regime di ricatto.



D: Un dirigente scolastico di Milano ha fatto una contestazione di addebito ad un’insegnante di telecomunicazione che, su richiesta degli studenti, aveva parlato delle possibili cause dell’incidente aereo avvenuto allo scalo di Linate. Il dirigente, nel visionare il registro personale del docente, aveva notato che l’argomento non corrispondeva con la programmazione presentata. Ritornando a quanto lei ha affermato prima solo la scheda di valutazione rimane l’atto ufficiale della scuola.



R: Non è che io voglia discettare sulla la privacy del professore, ma il problema è che il registro personale, messo nelle mani del dirigente, può diventare, appunto, fonte di abuso e di ricatto. Secondo me il problema è molto semplice: se la “fase istruttoria” di una valutazione del docente non ha natura giuridica pubblicistica, il dirigente può guardare unicamente i registri di classe e le pagelle.

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