Una proposta di legge di iniziativa popolare
Nonviolenti.org - 28-01-2003
1. Un ricorso crescente alla guerra

A partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, dopo la conclusione della ‘”guerra fredda”, abbiamo assistito a un ricorso crescente alla forza militare, quasi esclusivamente da parte delle potenze occidentali: l’occupazione di Panama per il controllo del canale, la guerra del Golfo, l’invasione di Haiti, gli interventi militari in Somalia e in Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia e del Kosovo, l’Afganistan.
Ora si sta progettando, per volonta’ degli Stati Uniti, un attacco militare contro l’Iraq: un attacco che potra’ avere conseguenze incalcolabili in termini di perdite di vite umane, di distruzioni di strutture civili, di devastazioni ambientali.
Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell’uso di armi di distruzione di massa sempre piu’ potenti e sofisticate, centinaia di migliaia di persone innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate o ferite, hanno visto distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre centinaia di migliaia di civili sono morti per fame o per malattie a causa degli embarghi, primo fra tutti quello contro l’Iraq. A questo flagello vanno aggiunte la persecuzione del popolo palestinese, le continue violenze contro i ceceni, i curdi, i tibetani e molto altri popoli emarginati ed oppressi, e, infine, le atrocita’ del terrorismo internazionale. All’escalation di odio, di dolore, di distruzione e di morte ha corrisposto l’inerzia o l’impotenza delle istituzioni internazionali che dovrebbero operare per la pace, anzitutto delle Nazioni Unite.
Le Nazioni Unite sono ormai sottoposte a un permanente ricatto da parte delle massime potenze mondiali, che se ne servono come di uno strumento di legittimazione delle proprie strategie egemoniche. Ma la Carta delle Nazioni Unite non puo’ essere usata, se non sulla base di una conclamata violazione dello spirito e della lettera delle sue norme, per giustificare la guerra, e tanto meno una “guerra preventiva” come quella che Stati Uniti e Gran Bretagna si apprestano a scatenare contro l’Iraq. Questa Carta fu un patto solenne con il quale fu messo al bando, come e’ scritto nel suo preambolo, il ripetersi del “flagello della guerra”, che per due volte nel corso di una stessa generazio-ne aveva causato indicibili sofferenze all’umanita’. In essa fu definito, contro le minacce alla pace, un complesso di misure, tra le quali l’uso controllato della forza nelle forme e alle con-dizioni stabilite dal capitolo VII. Fu in-somma progettato, al fine di “conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali”, il monopolio della forza in capo al Consiglio di Sicurezza, attraverso l’istituzione - che pero’ non e’ stata mai attuata - di organismi militari permanenti alle sue dipendenze, chiamati a svolgere di fatto funzioni di polizia internazionale. Oggi quel patto e’ stato dimenticato.
In tutti i casi sopra citati le potenze occidentali hanno infatti usato la forza militare ignorando il diritto internazionale e violando i diritti piu’ elementari delle persone. Il bombardamento della televisione di Belgrado, la strage di Mazar-i-Sharif, il lager di Guantanamo sono esempi di un uso criminale della forza internazionale che molto probabilmente nessuna Corte penale internazionale avra’ mai il potere di sanzionare. E dopo l’attentato terroristico subito l’11 settembre, gli Stati Uniti hanno elaborato una teoria militare e inaugurato una pratica bellica che presentano aspetti eversivi non solo della Carta delle Nazioni Unite, ma anche del diritto internazionale generale: basta pensare al carattere preventivo, unilaterale, spazialmente indefinito e temporalmente indeterminato della “nuova guerra” dichiarata dal presidente Bush contro l’”asse del male”.
Il nostro paese, per volonta’ sia di governi di centro-sinistra sia di governi di centrodestra, e’ stato corresponsabile di una larga parte di questi gravissimi illeciti internazionali, partecipando sistematicamente, con le proprie strutture militari, le proprie armi e le proprie basi, alle aggressioni decise dalle potenze occidentali contro Stati sovrani e contro i loro popoli, per lo pio’ deboli e poveri. Nel farlo i nostri governi e i nostri rappresentanti parlamentari - spesso votando in complicita’ bipartisan - hanno apertamente violato la Costituzione repubblicana.

2. Contro la normalizzazione costituzionale della guerra

La nostra Costituzione, all’art. 11, stabilisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta’ degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questa norma non solo e’ stata ripetutamente violata nel corso dell’ultimo decennio, ma si e’ affermata una tendenza a considerarla normativamente inesistente, come se fosse ormai del tutto desueta. E’ in corso, in altre parole, un’operazione politica e giuridica di normalizzazione costituzionale della guerra che intende privare l’art. 11 della Costituzione di ogni valore vincolante. Esso conserva al piu’ - si sostiene - un significato programmatico: e’ un nobile auspicio per tempi migliori. E’ ormai un coro unanime in questo senso: il presidente del Consiglio Berlusconi ha apertamente sostenuto questa tesi, ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel suo discorso alla Camera del 25 settembre scorso. Massimo D’Alema, sin dalla partecipazione dell’Italia alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la sinistra deve liberarsi di ogni arcaico “tabu’ pacifista”. Piu’ recentemente, una delle massime autorita’ dello Stato - il presidente della Camera, Pierferdinando Casini - ha sostenuto che il ripudio costituzionale della guerra non ha piu’ il suo significato originario, che i tempi sono cambiati, che i principi costituzionali vanno interpretati in modo flessibile. Per sconfiggere il terrorismo internazionale anche l’Italia deve impegnarsi ad usare lo strumento della guerra.
Si tratta di una tendenza molto grave, come ha denunciato con forza Pietro Ingrao, e tanto piu’ pericolosa perche’ e’ largamente sostenuta dai grandi mezzi di comunicazione di massa, controllati dal duplice monopolio multimediale, pubblico e privato, di cui e’ titolare il presidente del Consiglio italiano. Contro gli apologeti della guerra, la pace deve essere considerata un bene fondamentale del popolo italiano: un bene che ne’ il Parlamento, ne’ il governo dovrebbero mai mettere in discussione. Parlamento e governo dovrebbero al contrario impegnarsi a realizzarlo collaborando alla costruzione della condizioni politiche ed economiche generali che rendano meno spietati e violenti - meno “terroristici” - i rapporti fra le nazioni. Il ripudio della guerra appartiene in dote al popolo italiano. E al popolo italiano spetta oggi la responsabilita’ di ripristinarlo, delegittimando le scelte in senso contrario del governo, del Parlamento ed anche della Corte di cassazione. Per questo, oggi piu’ che mai, e’ importante - come e’ stato fatto per l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori - che una larga mobilitazione politica impugni la bandiera dell’art. 11, una bandiera che i bipartisan di casa nostra hanno irresponsabilmente ammainato.
Uno strumento che puo’ promuovere una vasta iniziativa popolare contro la guerra e’ quello apprestato dall’art. 71 della Costituzione: una proposta di legge di iniziativa popolare, redatta in articoli, e firmata da almeno cinquantamila elettori.

3. Una iniziativa di legge popolare contro la guerra

Il progetto di legge di iniziativa popolare, elaborato dai giuristi Danilo Zolo (Docente Universitario), Luigi Ferrajoli (Docente universitario) e Domenico Gallo (Magistrato) - Norme di attuazione del ripudio della guerra sancito dall’art. 11 della Costituzione - chiede al Parlamento l’approvazione di una serie di garanzie che rendano operante l’art. 11 della Costituzione, ne consentano una effettiva applicazione e prevedano rigorose sanzioni delle sue violazioni. Il progetto si compone di cinque articoli.
L’art. 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente alla prescrizione dell’art. 11 della Costituzione che bandisce l’uso della guerra in ogni sua forma (comma 1) e propone una definizione di “guerra” (comma 2) coerente con il dettato costituzionale e con la Carta delle Nazioni Unite. Al comma 3, richiamando congiuntamente l’art. 52 della Costituzione e l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, viene affermato un principio di grande valore. L’uso della forza militare, consentito dall’art. 52 per la difesa della patria da aggressioni esterne, e’ la sola eccezione ammessa sia all’art. 11 della nostra Costituzione, sia alla generale normativa della Carta delle Nazioni Unite, che riserva al Consiglio di Sicurezza il potere di usare la forza internazionale. L’eccezione prevista dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite riguarda il diritto di difesa di uno Stato attaccato militarmente da un altro Stato. In questo caso lo Stato aggredito puo’ usare la forza per difendersi dall’attacco in atto, in attesa che intervenga direttamente il Consiglio di Sicurezza e prenda, a sua discrezione, le misure necessarie per il ristabilimento della pace.
E’ chiaro, fra l’altro, che un atto terroristico, per grave che sia, non rientra tra i presupposti della guerra di legittima difesa, previsti dalla Costituzione italiana e dalla Carta delle Nazioni Unite. E’ infatti un atto criminale, che richiede l’identificazione, la cattura e la punizione dei colpevoli, e non certo la risposta illegittima della guerra, idonea a provocare migliaia di vittime innocenti e non, come l’esperienza dimostra, a sconfiggere le organizzazioni terroristiche.
L’art. 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma 1, conferma l’impegno dell’Italia alla cooperazione internazionale per il mantenimento della pace, incluse le missioni di peacekeeping, e cioe’ di interposizione armata con il consenso delle parti interessate. Ma afferma anche, al comma 2, un principio di grande importanza. Afferma che qualsiasi “missione” che comporti l’uso della forza e non risponda alle rigorose previsioni degli artt. 43, 45 e 47 della Carta delle Nazioni Unite deve essere considerata illegale. Questi articoli prevedono che l’uso della forza, eventualmente deliberato dal Consiglio di Sicurezza, deve essere affidato a contingenti militari posti sotto la sua diretta responsabilita’ e sorveglianza, con l’assistenza di un Comitato di Stato Maggiore permanente. Queste previsioni, come e’ noto, non sono mai divenute effettive ed e’ invalsa la prassi di “appaltare” l’uso della forza alle grandi potenze interessate ad esercitarla. La conseguenza e’ stata che il Consiglio di Sicurezza si e’ spesso limitato a legittimare ex ante o, piu’ spesso, ex post guerre di aggressione che le potenze interessate avrebbero comunque condotto - o avevano gia’ condotto - in ossequio alle proprie convenienze strategiche.
L’art. 3 (Inammissibilita’ di ulteriori interventi armati), al comma 1, vieta qualsiasi intervento militare all’estero da parte delle forze armate italiane in violazione delle norme contenute nei due articoli precedenti, e ai commi 2 e 3 prevede specifiche sanzioni per tali violazioni.
L’art. 4 (Armi vietate dalla convenzioni internazionali), ai commi 1 e 2, in applicazione di vari trattati internazionali ratificati dal nostro paese, vieta non solo l’uso ma anche la produzione, il transito nel nostro paese e l’esportazione di armi biologiche, chimiche e nucleari ed estende questo divieto alle “bombe a grappolo”, ai proiettili all’uranio impoverito e alle mine anti-uomo. Bombe a grappolo e proiettili all’uranio impoverito sono stati largamente usati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sia nella guerra del Golfo del 1991, sia nelle due guerre balcaniche, dal 1993 al 1999, sia infine in Afghanistan, con effetti che secondo molti osservatori sono stati gravissimi - e lo sono ancora - per le vite umane e per l’ambiente naturale. Le mine antiuomo sono state recentemente bandite da un trattato multilaterale, al quale solo gli Stati Uniti, fra i paesi occidentali, si sono rifiutati di aderire. Le industrie belliche italiane ne hanno prodotto per decenni grandissime quantita’ e le mine italiane, fra le piu’ pericolose, sono ancora sparse, in centinaia di migliaia, nel territorio dell’Afghanistan.
L’art. 5 (Cooperazione con la Corte Penale Internazionale), al comma 1, conferma la collaborazione del nostro paese con la Corte Penale Internazionale recentemente entrata in funzione (luglio 2002), nonostante l’opposizione degli Stati Uniti. La Corte ha il compito di perseguire gravi illeciti internazionali come i crimini contro l’umanita’, i crimini di guerra, il genocidio, i crimini contro la pace. Nello stesso tempo, vietando al comma 2 che l’Italia possa stipulare accordi per sottrarre cittadini di paesi terzi alla giurisdizione della Corte, questo articolo intende reagire sia al sabotaggio della Corte che gli Stati Uniti hanno orchestrato sfruttando l’art. 98 del suo Statuto, sia alla complicita’ del governo italiano con il sabotaggio statunitense.

Da Nonviolenti.org

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