Disumano. Troppo disumano
Giuseppe Aragno - 28-01-2003
Si spegne il rumore fastidioso delle rievocazioni.
Per alcune ore se ne sentirà l’eco.
Per alcune ore – quante ne consentono l’attualità del tema e gli interessi pubblicitari legati agli ascolti - si farà un bilancio sintetico e saremo tutti contenti d’aver detto la nostra. Animo in pace ed altri interessi, domani ci condurranno altrove.
Domani tutto sarà come oggi.
Sei milioni di morti erano e rimarranno nelle tombe in cui giacciono irrimediabilmente e tutto questo averli infastiditi, tirati da tutte le parti per servire cause le più diverse, tutto questo averne torturato l’anima con la pretesa di conservarne la memoria non servirà a sottrarre al carnefice nemmeno uno degli sventurati che portano in giro - e non lo sanno - un corpo che ha ormai il tanfo insopportabile della decomposizione.
Stasera che non è quasi più oggi ed ancora non è domani, stasera, in questa terra di nessuno che segna il passaggio da un giorno all’altro, mi chiedo perché nell’orgia di parole o nel silenzio reticente di chi si chiama fuori non ho trovato – sarà che non so più leggere e può darsi - il nesso che cercavo tra passato e presente. Il solo nesso per cui valga la pena di trasformare in storia le vicende degli uomini.
Ieri fu normalità o pazzia? Ieri.
Ed oggi? Quanta della normalità di oggi sarà pazzia domani?
No. Non un ebreo resusciterà domani dopo l’ingessatura della memoria e non un disgraziato di oggi eviterà di morire domani perché ci siamo messi a discutere della pazzia o della normalità di ieri.
Abbiamo sotto gli occhi una campagna internazionale di criminalizzazione del dissenso che proclama la guerra senza fine contro il “male”, riducendo a terrorismo le lotte di liberazione, abbiamo sotto gli occhi il genocidio che si consuma in Palestina, le stragi che si sono fatte e si faranno in Iraq, vediamo all’opera quotidianamente le armi intelligenti con i preventivati effetti collaterali, sappiamo che il pianeta è disseminato di mine e “zone franche” che consentono ai profeti della globalizzazione di spappolare gli arti ai bambini di mezzo mondo e di ridurre in schiavitù sterminate masse di abitanti del pianeta, tutto questo vediamo e sappiamo e che facciamo? Ubbidienti e disciplinati spariamo tutte quante le nostre cartucce su Hitler, come potesse fare più male delle armate imperialiste che viaggiano verso il Golfo Persico, su Lenin, al quale – perdonate – facciamo anche il torto di eleggere a compagno di avventura storica Hitler, Mussolini, Franco e Pinochet. E lo facciamo con Fini, fascista pentito, con un Parlamento che assolve i Savoia e mette sotto controllo i libri di storia, con una classe dirigente che ha ridotto in cartastraccia la costituzione nata dalla lotta al nazifascismo. Non contro questa classe dirigente, ma con essa.
Alla memoria andrebbero affidate verità complete, in cui i fatti siano corredate da cause ed effetti. Lo diremo un giorno ai nostri studenti che fu la pazzia imperialista di Versailles a strangolare nella culla la repubblica di Weimer e che Hitler è figlio di quell’omicidio? Lo diremo che l’intero conflitto fu una ferocissima strage, di cui la responsabilità non fu storicamente dei soli tedeschi? Lo diremo ai nostri studenti che fu la Società delle Nazioni ad isolare Mussolini ed a gettarlo in braccio ad Hitler? La Società delle Nazioni in quegli anni. L’ONU nei nostri. Un filo rosso, di sangue e di interessi, con in mezzo l’accordo di Yalta, che certo Stalin non firmò da solo. Un filo rosso, che conduce il presente al passato, non per fare processi e mummificare memorie, ma leggere e capire il presente. Un filo rosso, come quello che dal muro di Berlino conduce al cordone sanitario con cui l’occidente isolò definitivamente la Russia e favorì l’ascesa di Stalin. Lo diremo che il razzismo non nacque e non è morto con Hitler e che il paese che oggi pretende di far da garante della civiltà sul pianeta fa ancora i conti con le rivolte dei negri e la pena di morte, che è il paese delle atomiche sul Giappone e del napalm sul Vietnam, delle bombe mangiaossigeno nell’Iraq, dell’uranio depotenziato nei Balcani, delle bombe perforanti nell’Afghanistan e dei prigionieri senza avvocato concentrati nel deserto?
Lo diremo, infine, che a muovere la storia sono interessi materiali, sicché diffidino dalle crociate di ieri, di oggi e di domani?
Signori, la scuola dello Stato in questo Paese è in pericolo. La stanno uccidendo gli stessi che oggi facevano i bei discorsi sulla memoria.
Diciamoli ai nostri studenti che le parole non contano. Sono i fatti che devono imparare a valutare, cercandone le cause e rincorrendone gli effetti. Gli effetti sono il presente ed il presente siamo noi.
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 Caelli Dario    - 02-02-2003
Insegnamo ai ragazzi a ragionare. Lo stiamo già facendo. Continuiamo a farlo. Nessuno ce lo sta impedendo con la forza. Non abbiamo paura delle idee, anche se queste si chiamano pace, verità, solidarietà e giustizia.