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Bloody Sunday
Emanuela Cerutti - 07-01-2003
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Genova




"Una leggerezza", ammette il vice-questore Pasquale Troiani. Fu una "leggerezza" portare nella scuola Diaz
le due molotov per incastrare i 93 no-global ospiti dell'istituto. Spartaco Mortola, ex capo della Digos genovese, riconosce che quella notte arrestare i manifestanti fu probabilmente "una forzatura giuridica". Francesco Gratteri, capo dello Sco, spiega come il finto accoltellamento dell'agente potrebbe essere servito a giustificare "l'eccesso di violenza" dei Nuclei anti-sommossa. E riflette: "Oggi forse non ripeterei quello che ora forse ritengo un errore, e cioè essermi recato là". Leggerezze, forzature, eccessi, errori"



Derry
30 gennaio 1972
"Sunday Bloody Sunday"


Il film
Regia: Paul Greengrass
Tratto:dal libro di Don Mullan Eyewitness Bloody Sunday
Origine: GB/Irlanda, 2002
Durata: 107 min.

La trama
Le due conferenze stampa del movimento dei diritti civili, guidato dal parlamentare Ivan Cooper, e dell’esercito inglese, aprono la giornata che vedrà marciare 10.000 irlandesi contro l’internamento senza processo introdotto dal governo britannico. Quest’ultimo è in cerca di un'azione dimostrativa che sedi la protesta montante, mentre gli abitanti di Derry, in gran parte schierati con Cooper, tentano di contenere le forme più violente di dissenso, fomentate dall’Ira. Il drammatico svolgersi degli eventi inaugurerà una lunga stagione di violenze e rappresaglie.






I commenti
Il ragazzo è morto. I militari inglesi gli riempiono le tasche di esplosivo. Servirà a dimostrare che anche gli irlandesi erano armati e che le truppe britanniche hanno sparato per legittima difesa. Di maledette domeniche il cinema ne ha raccontate molte, a diverso titolo insanguinate. La domenica irlandese di Londonderry del settembre ‘72 che riaccese la fiamma dell’odio e della violenza tra cattolici e inglesi fece 14 morti (tutti irlandesi) e insinuò nella mente e nel cuore di una generazione il tarlo dell’eterna vendetta.
Bloody Sunday, diretto dall’esordiente Paul Grenngrass, che ha vinto a Sundance e a Berlino, sa raccontare senza epos quella giornata dall’alba al tramonto con sguardo documentario. Resoconto dettagliato di un episodio storico preciso la cui dinamica è stata da tempo accertata, il film riesce a mettere in campo risvolti umani talmente veri e tangibili da far cadere ogni resistenza verso il cinema civile. Per una memoria che non può ancora non essere priva di risentimenti ma che si spera non alimenti nuovo livore.
Emanuela Martini
Film TV (10/5/2002)


Se volete rinfrescarvi la memoria sui motivi storici per cui cattolici e protestanti; ossia irlandesi indipendentisti e filo-inglesi unionisti, si combattono da anni in Irlanda del Nord, il cinema vi offre un’occasione d’oro: esce Bloody Sunday («domenica di sangue»), il film di Paul Greengrass che ha vinto l’Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino. Film che, tra parentesi, si ispira a un libro di Don Mullan, Eyewitnee Bloody Sunday, e gli appassionati di rock hanno già recuperato nella memoria. la canzone Sunday bloody sunday degli U2, che si ascolta (in una versione dal vivo) sui titoli di coda del film.
Si parla, insomma, della manifestazione per i diritti civili che si tenne a Derry, nell’Ulster (solo gli inglesi colonialisti e i loro lacchè la chiamano Londonderry, non imitateli), il 30 gennaio del 1972. I parà di Sua Maestà spararono sulla folla e ammazzarono 13 persone. Una «strage di stato», ferocemente programmata a tavolino, che fece precipitare la situazione dell’Ulster e provocò un’esasperazione della lotta anti-britannica: giustamente il film di Greengrass si chiude sull’immagine di alcuni giovani cattolici che vanno ad arruolarsi nell’Ira. Senza minimamente giustificare il terrorismo praticato dal cosiddetto «esercito repubblicano irlandese», quello fu l’effetto, politico e «militare», della «domenica di sangue».
Paul Greengrass, regista e sceneggiatore, è inglese. Giura di essersi ispirato, nello stile e nello spirito, alla Battaglia di Algeri di Pontecorvo, ma per lui e per i suoi compatrioti Bloody Sunday dev’essere, prima di ogni cosa, un doloroso autodafé. Non è un film straordinario, ma il suo valore politico è notevole, e il suo impatto è forte. Potremmo paragonarlo ai film con i quali l’America ha tentato di lavare la propria coscienza sulla sporca guerra in Vietnam, come Platoon o, sia pur travestito da western, Soldato blu.
Greengrass ha scelto un approccio da finto documentario: girando tutto il film con macchina da presa a mano, frenetica e traballante, tenta di «mimare» oggi il film – verità che ovviamente gli inglesi non ebbero la volontà politica di realizzare allora.
In realtà la «domenica di sangue» fu cinicamente manipolata dai media: come mostra il film, gli ufficiali inglesi raccontarono alla stampa che i parà erano stati aggrediti da manifestanti armati e non si vergognarono di imbottire d’esplosivo il cadavere di un ragazzo per far credere che nella folla si annidassero dei dinamitardi.
Vi sembra tutto tragicamente attuale? Certo che sì. In un certo senso, l’esercito britannico diede in quell’occasione il proprio «contributo» a una serie di prove tecniche di repressione che si compivano, in quegli anni, in tutta Europa e che oggi proseguono in mezzo mondo, dai vari G8 alla Palestina. Il giudizio politico di Greengrass e soci – di per sé durissimo – è accentuato dalla scelta, come guida nell’inferno di Derry, del personaggio di Ivan Cooper: che era sì un parlamentare e un militante dei diritti civili, ma era protestante, quindi in teoria non filo-irlandese. Interpretato da James Nesbitt (il bravo attore nordirlandese che potete aver apprezzato in Lucky Break), Cooper diventa il testimone disarmato di una tragedia: incarna l’idealismo di una politica al servizio della gente, che viene spazzata via da logiche politiche più «alte», più potenti e per nulla idealistiche. In questo senso Bloody Sunday racconta una momentanea sconfitta della politica, molto simile a quella che vediamo compiersi ogni giorno a Ramallah e a Gerusalemme, ma invita anche a riappropriarsene: le armi della tolleranza, della comprensione reciproca, della trattativa ad oltranza non vanno mai deposte.
Bloody sunday dura 107 minuti – almeno 90 dei quali ci portano in stile da documentario – nella preparazione della marcia e nella parallela pianificazione della repressione violenta. Siamo ora tra i manifestanti, ora tra i soldati. La macchina da presa sembra ubriaca, il mal di testa è in agguato, non di meno seguiamo perfettamente le loro logiche e le loro paure. Da scabro e feroce, il film diventa pietistico e didascalico nella lunga scena dell’ospedale, in cui i parenti delle vittime piangono i loro cari uccisi. Per suggerire l’orrore, era più che sufficiente la straziante scena in cui gli organizzatori della marcia, alla fine di quella domenica, leggono alla stampa i nomi dei 13 morti. Subito dopo, sui titoli di coda, partono gli U2: per quanto, si domanda Bono, dovremo cantare questa canzone? Già, per quanto?
Alberto Crespi
l’Unità (3/5/2002)



Link utili per un approfondimento:

Dossier Irlanda del Nord : storia del conflitto

Sunday Bloody Sunday: testo in lingua originale e traduzione

Michael Jackson comandante dei paracadutisti nella domenica di sangue e successivamente
comandante della K-for, la forza di pace nel Kosovo




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