Siamo tutti pronti al vaffa?
Giovanni Panunzio - 11-09-2020

Quanti alunni, genitori e insegnanti sentiamo avviliti e spaventati per la situazione pandemica in corso?! Le stesse emozioni coinvolgono le alte sfere (che a qualcun altro girano vorticosamente). Ma lì non possono darle a vedere: lì si recita a soggetto, e una sola mascherina non basta. Anziché buttarci giù, però, dovremmo chiederci: è possibile che i nostri "padri" abbiano retto alle guerre mondiali, durate anni, e noi non reggiamo un contagio virale? Sì, è possibile perché siamo abituati a chiamare "virale" ciò che lo è nel mondo fittizio dei "social". Una foto online, un video, un post diventano spesso "virali", pur essendo distorsioni: come quando definiamo "massacro" un fatto che non lo è, "bufera" una diatriba monotona, e "scioccante" una notizia di cronaca che prima era solamente "nera". Allo stesso modo stiamo sentendo che tutti non vedono l'ora di ricominciare le lezioni, non pensando che l'impostazione potrebbe essere quella di una caserma. Altroché istruzione! In primavera ci hanno costretto giustamente a stare a casa mesi, sacrificando la nostra libertà: in vista di un autunno più tranquillo, in particolare per gli studenti e le loro famiglie. E poi hanno vanificato il sacrificio e la prospettiva per accontentare l'imprenditoria turistica d'importazione, e della "movida", delle discoteche, ecc. Non sarebbe stato meglio se ognuno avesse trascorso le vacanze nella propria regione? E no! Perché il mondo aziendale del bagnasciuga, dell'apericena e dei vip si sarebbe lamentato (come se adesso non lo stesse facendo ugualmente): stesso mondo che infierisce immancabilmente sulla scuola come su un "punching ball". Nelle stanze dei bottoni, e perfino in qualche struttura ospedaliera o Comitato tecnico-scientifico, devono aver confidato nel ridimensionamento estivo del nuovo coronavirus. Ma poi si sono accorti (tardi) del proprio ridimensionamento personale. Che valore attribuiscono alla cultura e alla vita individui del genere? Ora, ancora una volta, le castagne dobbiamo toglierle dal fuoco noi insegnanti, a mani nude. E se proviamo a dire ciò che pensiamo, ai piani alti fanno gli indiani (sulle orme di un'India devastata dal covid-19?). O ci zittiscono. La caserma comincia a prendere forma. Mentre sui mezzi pubblici di trasporto, e alle fermate, nessuno controllerà il comportamento degli alunni, una volta arrivati in istituto saremo noi a doverci occupare del rispetto rigoroso dei dettami igienici: bipolarismo normativo che pochi ragazzi metabolizzeranno, in barba all'educazione civica rediviva. Che scuola sarà una giornata di richiami, minacce, sanzioni, polemiche, finti e veri malesseri? Cosa potremo fare quando i "nostri" allievi si muoveranno dai banchi? E quando proveranno ad abbracciarsi e sbaciucchiarsi, come sono soliti? Che socializzazione sarà quella del "tutti fermi al vostro posto, altrimenti..."? Di sicuro non potremo abbandonare la classe per riprenderli (in ogni senso e direzione). Né potremo impedire fisicamente i loro spostamenti. E quando avranno la necessità della toilette, o di accedere agli eventuali distributori automatici di bevande e cibi discutibili? Potremo autorizzarli senza verificare, prima, se bagni e corridoi sono già occupati da altri compagni? Di fronte a situazioni particolari, come dovremo agire in assenza di un servizio d'ordine gestito da autorità di sicurezza e sanitarie competenti, esterne alla scuola, preposte a far rientrare le trasgressioni? O dovremo nuovamente immolare il personale ausiliario sull'altare dei "vaffa" adolescenziali? E gli studenti diversamente abili, o con bisogni educativi speciali, o con patologie appurate, in che modo potranno essere gestiti nell'inconsapevole diversità, nell'irrefrenabili vivacità, nel latente autocontrollo? Tra i militari di prima fascia, il controllore, il "factotum" è sempre stato il sergente: riconosciuto non per le mostrine, ma per l'inflessibilità. A scuola il "tuttofare" sarà il docente, riconosciuto non per la capacità d'insegnamento, ma per la vestibilità di un'uniforme mai appartenutagli. A chi non vede l'ora che le lezioni ripartano, domanderei: sei sicuro che sarà apprendimento e non trincea? Conosci bene i giovani d'oggi e i loro problemi esistenziali, accresciuti dopo l'arrivo del virus? O preferisci non sapere, e delegare all'agenzia educativa scolastica le idee e gli interventi che persone pagate "ad hoc", profumatamente, non sono riuscite a mettere in cantiere? Si può chiedere a un docente di interpretare anche il "potere esecutivo", sottraendo tempo alla sua professionalità? In un teatrino forse sì. Non ora, però; ora che si vorrebbe dare all'istruzione l'importanza meritata: a parole. Ha senso riniziare le lezioni "live" così? Siamo certi che sia meglio una scuola snaturata (che non è più scuola), piuttosto che una didattica digitale integrata - metà e metà - o a distanza? Prepariamoci a una dispersione scolastica mai vista: sarà questo il "vaffa" peggiore. E al moltiplicarsi degli scioperi studenteschi pre-natalizi triti e ritriti, stavolta in combutta con negazionisti, "no vax" e terrapiattisti: la cui unica piattezza assodata è cerebrale.
Giovanni Panunzio, Idr


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