L'era del dubbio
Francesco Di Lorenzo - 12-11-2016
Forse non sarebbe una cattiva idea fare una riflessione su quanto sta accadendo. Oggi viviamo il tempo della protesta contro gli apparati, contro le élites e i poteri forti (i soliti politicanti) e nello stesso tempo ci chiudiamo nel nostro steccato fatto di paure, mentre siamo sempre più impegnati nella difesa dei nostri piccoli privilegi. Sia Brexit, sia le elezioni americane, tralasciando altri segnali, dicono più o meno questo. C'è qualcosa che non va? Qualcosa che non quadra? E la scuola che c'entra? Certo si potrebbe sempre dire che la scuola (e non solo quella italiana) non ha fatto la parte che le competeva. I maggiori analisti continuano a dire da anni ormai che la scuola non è più un fattore di mobilità sociale. Vanno a scuola (e non la abbandonano) sempre gli stessi, che tra l'altro frequentano le scuole che hanno frequentato le famiglie di appartenenza. Come a dire, questo è il nostro cerchio, voi altri ne siete esclusi. Tanto per intenderci, attualmente è difficile che il figlio di un operaio arrivi alla laurea, o quantomeno ha poche possibilità di successo. Ma, come sappiamo, la scuola da sola non basta a ridurre le distanze sociali. E allora? Ci vorrebbe l'aiuto anche di altri, ma questi altri (cioè pezzi consistenti di società) si chiudono e non si aprono, erigono muri, prospettano soluzioni egoistiche. Insomma, sembra - e lo è - un cane che si morde la coda. Ma che in qualche modo va fermato. Sul come la discussione è aperta. Si spera.

Le contraddizioni ormai neanche si contano più. Anzi, è in atto una specie di accettazione indifferente tutto quello che invece ci dovrebbe preoccupare.
In uno dei suoi ultimi interventi sulla scuola, l'ex ministro De Mauro, ha messo in rilievo come sempre di più stia crescendo il flusso internazionale di studenti che si spostano in un paese straniero per frequentare l'Università.
Anche in Italia negli ultimi anni vengono sempre più studenti di altri paesi del mondo; ne erano 30mila nel 2003, mentre nel 2014 ne sono arrivati 70mila.
C'è quindi, da una parte, la crescente voglia naturale dei giovani di aprirsi, di conoscere e di confrontarsi. E il paese che attira di più questo scambio sono gli Stati Uniti con circa 800mila stranieri nelle proprie università. Questo mentre un'altra parte, metà dello stesso paese, ne farebbe volentieri a meno. La domanda è: che fare se non convivere per forza con queste contraddizioni? Intanto soprattutto sforzarci di capirne il perché.
Nell'articolo Tullio De Mauro ha sottolineato il fatto che l'affluenza di studenti stranieri porta come indotto (all'economia) cifre di non poco conto. Altra contraddizione, o che?

Collegato alla notizia precedente, si segnala un incontro culturale Erasmus. Per l'occasione l'Italia e il Miur tentano di mantenere alta la bandiera della cooperazione e del multiculturalismo. Parole e concetti che appena qualche anno fa nel nostro immaginario erano presenti e vive, e che oggi suscitano molte incertezze nel momento stesso in cui vengono pronunciate. Inutile girarci intorno, pronunciare parole del genere fa sorgere dei dubbi.
La notizia è che è in corso a Roma un evento che già da alcuni anni è un appuntamento fisso: un incontro di benvenuto agli studenti (vincitori di una borsa di studio Erasmus) di tutto il mondo che si accingono ad iniziare l'anno accademico in Italia. Occasione per confrontare esperienze tra stranieri nuovi arrivati e tra chi ha fatto, tra loro esperienza in diverse città italiane. Insomma, un incontro e un'occasione di scambio e comunicazione di grande impatto. Indubbiamente un bel momento per mantenere viva la speranza attivata trent'anni fa con il progetto Erasmus.
Unica nota stonata la passerella iniziale in programma dei rappresentanti del ministero e di vari enti e istituzioni. Un'inutile perdita di tempo. L'ennesima contraddizione che non si riesce a spazzare via?

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