Da venerdì a martedì
Anna Pizzuti - 20-12-2002
Nel giro di pochi giorni mi è accaduto di partecipare a due occasioni pubbliche di discussione sulla riforma che sta per arrivare: una alla presenza di un consigliere del ministro Moratti, l’altra una delle vittime dello spoil sistem (così lui si è definito) cioè un direttore generale “dismesso” in quanto non gradito all’attuale maggioranza.
Il tema del primo incontro era il rappporto tra genitori e scuola che si svilupperà nella scuola che verrà, quello del secondo il rapporto tra scuola e devolution.
Racconterò, semplicemente quello che ho ascoltato, perché l’aspetto più interessante dell’esperienza, sta proprio nell’eco che ciascuno degli incontri ha trovato nell’altro.
Comincio, ovviamente, dal primo.
La posizione espressa dai dirigenti dell’associazione dei genitori ruotava intorno ad un concetto: la riforma Moratti segnerà un cambiamento epocale perché per la prima volta viene messa al centro dell’azione della scuola LA PERSONA (intesa come alunno) mentre finora questo non era accaduto, di qui tutti i disastri e le violenze che hanno per protagonisti i giovani.
Il consigliere del ministro ha illustrato, nel suo intervento, gli aspetti più significativi della riforma. Ha iniziato descrivendo il quadro delle modifiche costituzionali in atto, precisando che ormai tutto il sistema è di competenza delle regioni; in questo modo – ha sostenuto – la scuola non sarà più schiacciata dal centralismo dei programmi ministeriali e dalle migliaia e migliaia di circolari che ne imbrigliavano a creatività e la libertà di iniziativa. Ha poi illustrato il percorso del doppio canale, motivandone la necessità con la consapevolezza che nessun paese moderno può permettersi i costi di una istruzione generalizzata, che il rapporto tra numero dei docenti e numero degli alunni è insostenibile e che del resto i dati sulla dispersione confermano il fallimento della scolarizzazione di massa. Per onestà di cronista debbo riferire che l’intervento, in vari passaggi, è stato accompagnato da mormorii del pubblico, composto per lo più da maestre elementari. Alcune delle quali, peraltro, direttamente coinvolte nella sperimentazione ed interessate a confrontare i primi esiti della loro esperienza con le intenzioni che ne avevano accompagnato la nascita. Le questioni che hanno posto indicano una valutazione “controcorrente” rispetto a quella presentata in questi giorni da qualche quotidiano. Le maestre hanno iniziato ricordando che alla base della sperimentazione c’era l’intenzione – scientificamente corretta – di verificare la fattibilità del progetto di riforma, dirivederlo e sistemarlo in base ai problemi ed alle valutazioni che proprio dalla sperimentazione sarebbero emerse. Hanno perciò fatto notare l’incongruenza tra i tempi con i quali la riforma sta seguendo il suo iter parlamentare e il procedere della sperimentazione che non è ancora terminata. Hanno poi lamentato il fatto che non sia stato loro concesso il tempo prolungato, mentre all’inizio era stato promesso ( e all’interlocutore ministeriale che si affannava a sostenere che è prevista l’oscillazione tra le 900 e le 1000 ore hanno citato il noeme dell’ispettore che aveva tagliato ore previste nel progetto aprovato e lodato) ed hanno anche affermato di aver visto crescere notevolente l’aspetto burocratico de loro lavoro, insieme al numero delle circolari che provengono sia dal ministero che dalla regione.
Mi rendo conto di star assumendo un tono quasi burocratico, da verbale, ma mi sono impegnata a separare, come nelle migliori tradizioni, i fatti dalle opinioni.
Altri mormorii e rimostranze ci sono stati a partire dalla risposta alla precisa domanda riguardante l’integrazione dell’handicap all’interno della riforma. Mormorii e rimostranze causate dall’affermazione che troppe sonol e certificazioni, troppi gli insegnanti di sostegno, troppe “vivacità” scambiate per handicap, e sostegno assegnato anche a bambini in dialisui (“Di un infermiere avrebbero bisogno, non di sostegno”)
In merito alla schiavitù determinata dai programmi è stata ricordata – da un’insegnate di scuola media - la differenza tra programmi e programmazione (personale, di classe, di istituto) che da anni si fa nelle scuole e un’altra insegnate ha chiesto ai colleghi presenti che cosa avessero messo al centro del loro lavoro, finora, se non i ragazzi.
E’ stato chiesto, sempre a proposito di programmi, a che punto fosse la preparazione di quelli della scuola secondaria superiore e qui ci è stata preannunciata la riuninone del 19 dicembre con gli esperti ..” e poi saranno dati in pasto a voi”.
Come promesso, non esprimo opinioni.
L’unica “alterazione” tra il procedere degli argomenti e il mio racconto è quella che riguarda le riforme costituzionali. L’affermazione” Ormai saranno le regioni ad occuparsi di scuola” fatta all’inizio, aveva suscitato la domanda.”Si dà già per approvata la proposta di Bossi?” che ha avuto la seguente risposta: “No, ma anche se la proposta fosse approvata non cambierebbe nulla, perché lì si parla di gestione della scula e questo riduce l’intervento delle regioni ai soli aspetti dell’edilizia scolastica”.
Mi è stata necessaria, l’alterazione, per lanciare il pone tra il venerdì, giorno della prima conferenza, al martedì, giorno della seconda. Che si occupava appunto del futuro della scuola all’interno del processo di devolution (termine che detesto e che è anche vagamente ridicolo, perché si usa l’inglese – lingua internazionale - per idicare un percorso che avrà come termine il trionfo del localismo).
Non sto naturalmente a riferire tutta l’illustrazione delle riforme costituzionali a partire dalla legge 59 e così la relazione risulterà più breve.
Ma una citazione mi è necessaria. Riporto quindi il testo della proposta di Bossi, che da sola, ritengo, sostituisce i commenti che mi sono impegnata a non fare.
Disegno di Legge AS 1187
(approvato dal Senato il 5 dicembre 2002)
Modifiche dell’articolo 117 della Costituzione
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.

(Modifiche dell’articolo 117 della Costituzione)

1. Dopo il quarto comma dell’articolo 117 della Costituzione è inserito il seguente:
«Le Regioni attivano la competenza legislativa esclusiva per le seguenti materie:
a) assistenza e organizzazione sanitaria;
b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;
c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione;
d) polizia locale».


Organizzazione e gestione.E’ su questi termini che ha ragionato il relatore. E ha ricordato che erano i termini, le parole chiave, dell’autonomia scolastica. Perciò – ha fatto notare – è stato importante riuscire ad aggiungere la dicitura salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche.
Quale autonomia è fatta salva? ci si chiedeva. In base alle regole finora ritenute valide ( fino a nuovo provvedimento valgono i precedenti) l’autonomia che è scaturita dall’articolo 21 della legge Bassanini e che poi è stata trasferita nei decreti e regolamenti che tutti conosciamo.
Che tutti conosciamo e ma che che forse varrebbe la pena di rileggere, perché così magari scopriremmo quanta parte di essi sia in contrasto non tanto con i principi dichiarati dalla riforma Moratti, quanto sugli effetti che la sua applicazione avrà sull’ordinamento scolastico di questo Paese. In particolare, la questione del curricolo.
Ma se gestione ed organizzazione delle scuole passano alle regioni, cosa resta di questa autonomia?
Il rischio, secondo il relatore, potrebbe essere che dall’accentramento statalista, per usare un termine oggi diffuso, che dalla scuola dello Stato, si passi alla scuola dei governatori e degli assessori.
Anche qui, al termine della relazione, il dibattito. Intorno agli stessi temi, con le stesse preoccupazioni. Con la sensazione che la partita che si sta giocando sulla scuola è veramente decisiva. E con qualche dubbio sul fatto che gli insegnanti sappiano giocarsela anche loro, questa partita. Con la loro autonomia.





interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Osvaldo Roman    - 04-01-2003
Nella cronaca puntuale delle assemblee della scorsa settimana, fatta da Anna Pizzuti, si coglie il suo sforzo di superare il disagio di riferire le argomentazioni degli azzeccagarbugli ministeriali infarcite di una nauseante retorica priva di riferimenti ai fatti reali. Proviamo pertanto a fornire, per quelle problematiche, qualche corposo riferimento ai dati di fatto.

Punto primo: ai dirigenti dell’Associazione dei genitori beatamente appollaiati sul principio verbale della “Centralità della Persona” possiamo domandare cosa significherà nelle prossime settimane la verifica dei soggetti portatori di handicap che dovrà essere attuata in base all’articolo 23 (numerazione da verificare dopo il voto del Senato) comma 7 della legge finanziaria:?
Tale norma prevede che:
“All’individuazione dell’alunno come persona handicappata provvedono le aziende sanitarie locali sulla base di accertamenti collegiali, con modalità e criteri definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ecc… “?

Oltre centomila portatori di handicap saranno costretti ad estenuanti trafile burocratiche per consentire di scoprire chi di loro non è realmente da considerare tale secondo le geniali intuizioni della sottosegretaria Aprea?

Punto secondo: cosa significano le competenze legislative esclusive delle Regioni in materia di “organizzazione e di gestione degli istituti scolastici e di formazione”?Tali competenze non si sovrappongono per caso a quelle competenze legislative sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e sulle “ norme generali sull’istruzione”che la Costituzione allo stesso articolo 117 riserva attualmente al Parlamento nazionale?

Punto terzo: ancor più incredibilmente il testo dell’osteria bossiana di Ponte di legno declama che dovrebbe essere competenza legislativa regionale anche la “definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione”
Allora ai prossimi consiglieri ministeriali che si affacceranno in qualche scuola o nei suoi dintorni si potrà chiedere:
E’ una moderna novità che una Costituzione stabilisca che i programmi d’insegnamento si dovrebbero fare per legge( e per di più regionale)? Prima non era mai accaduto in Italia che si facessero con le leggi nazionali!
Che cosa significa “interesse specifico”?
Cosa significa parte dei programmi? Chi stabilisce quale parte? La legge? Quale legge: nazionale o quella regionale? Il disegno di legge Moratti indica tale principio ma ne rinvia l’esecuzione ad un decreto attuativo. Può un dettato costituzionale che attribuisce una competenza legislativa esclusiva regionale dipendere da un regolamento di attuazione o da un decreto delegato emanato dal Governo nazionale?

Punto quarto: la discussione parlamentare della legge delega Moratti non dovrebbe essere sospesa in attesa che la maggioranza governativa si chiarisca se le materie oggetto dei decreti delegati dovranno essere di competenza legislativa statale oppure regionale?