«La scuola pubblica va difesa»
«Quella del ministro Moratti non è una riforma ma una regressione»
MILANO - «Preoccupato, anzi molto preoccupato»: sia per una «politica economica e sociale di questo governo» che ormai «rischia di spezzare il tessuto democratico», sia per gli «errori dell’opposizione» che ha «purtroppo lasciato al centrodestra il monopolio e la distorsione della parola "libertà"». Ma nonostante tutto «ottimista, molto ottimista» per la «grande passione con cui milioni di persone, in particolare voi giovani, si stanno mobilitando da mesi in difesa dei valori e dei diritti».
Così Sergio Cofferati , in un’aula magna piena di studenti ma anche (e forse più) di genitori e insegnanti, ieri pomeriggio è salito in cattedra per quasi due ore al liceo classico Parini. Un appuntamento concordato da oltre un mese, per la verità, ma che non ha impedito all’ex segretario della Cgil di affrontare uno per uno tutti i temi più caldi dibattuti tra gli studenti durante le occupazioni dei giorni scorsi: dalla globalizzazione («che ha anche aspetti positivi, purché guidata da regole precise») ai problemi della Fiat, dal terrorismo («da contrastare sempre, ricordatelo») al «no alla guerra», dalle politiche sociali a quelle sulla scuola («L’attacco alla scuola pubblica compiuto dal ministro Moratti non è una riforma bensì una regressione»). Ma il filo conduttore, propostogli dai due ragazzi organizzatori dell’incontro, era più in generale quello dei «diritti»: «Una materia fondamentale - ha detto Cofferati - che non a caso è stato capace di mobilitare per la prima volta in Italia milioni di persone in difesa di qualcosa che non si mangia».
E gli studenti del Parini hanno risposto non solo ascoltandolo e applaudendolo a lungo, ma anche incalzandolo al termine con domande precise sulla «sua» ricetta per come uscire dalla crisi: «Se Berlusconi - gli ha chiesto una ragazza - è la negazione dei diritti, perché ha vinto? E cosa deve fare il centrosinistra per batterlo?».
«Il centrosinistra ha perso perché diviso - ha risposto lui - e quindi deve per prima cosa cercare un’intesa sui programmi, con denominatori comuni che coinvolgano anche Di Pietro e Rifondazione. Dopo, solo dopo, si porrà il problema dei leader: da individuare con elezioni primarie in cui possano esprimersi non gli iscritti ai partiti, o i parlamentari, ma tutti gli elettori».