Socialismo o barbarie
Lucio Garofalo - 18-11-2015
Il terrorismo islamico è solo una forma di depistaggio. È proprio una curiosa circostanza, niente affatto casuale, quella in cui uno degli attentatori di Parigi porti addosso un prezioso documento personale come il passaporto (guarda caso, di nazionalità siriana). Una strana "circostanza" che somiglia molto ad un atto di depistaggio. Siamo giunti al paradosso che chiunque si sforzi di ragionare liberamente (e criticamente) con la propria testa è accusato di "fantasticare". Ma le vere fantasie sono le narrazioni propagandistiche che negli ultimi anni hanno voluto farci credere: 1) che l'Iraq di Saddam Hussein disponesse di armi di sterminio e distruzione di massa (non si sono mai visti questi famigerati arsenali bellici dopo l'invasione del territorio iracheno); 2) che serviva "esportare la democrazia", piuttosto che la civiltà occidentale (a base di torture, violenze e massacri di ogni tipo); 3) che l'Iraq post Saddam Hussein fosse finalmente un paese "pacificato e normalizzato" dopo due guerre combattute nel Golfo Persico (rispettivamente nel 1991 e nel 2003), mentre la realtà denota rigurgiti ulteriori di fanatismo ed un'aspra recrudescenza delle guerre intestine e fratricide che ormai dilaniano il mondo musulmano: sciiti contro sunniti, sunniti contro altre disparate (e disperate) correnti e fazioni "coraniche"; e via discorrendo. Ora si pretende che si creda alle presunte "cellule islamiste impazzite", o ad una "nuova strategia" dell'ISIS. Ma chi le ha allevate tali cellule islamiste? Chi le arma e le appoggia? Chi le finanzia e le foraggia da anni? Chi ha partorito ed alimentato, negli ultimi lustri, un clima assai propizio ed un terreno fertile all'espansione del cosiddetto "integralismo islamico"? Chi ha addestrato, in Afghanistan, le prime cellule di al Qaeda in funzione anti-sovietica ed oggi le milizie dell'ISIS in funzione anti-russa? La CIA è, senza dubbio, il più sofisticato ed avanzato "cervello" strategico ed organizzativo dell'ingerenza eversiva ed imperialista statunitense. Non solo in Medio Oriente, ma in America Latina, in Africa, in Asia e pure in Europa (chi ha progettato ed applicato la "strategia della tensione", in Italia, negli anni '70?). Ma il problema è che le analisi servono a ben poco se non si prova a scardinare e sbloccare politicamente una situazione di immobilismo che pare scaturire da un senso di impotenza che attanaglia un po' tutti. In effetti, si respira un'atmosfera cupa da "fine impero". È probabile che ci troviamo in una fase di transizione storica. Rammento le illuminanti parole di Rosa Luxemburg per indicare il bivio che l'umanità rischia di imboccare in simili circostanze: "socialismo o barbarie". Con la prima e la seconda guerra mondiale e l'avvento dei regimi totalitari del nazifascismo, l'umanità ha varcato la soglia della barbarie. Dovremmo imparare da queste tragiche esperienze storiche. Gramsci diceva che la storia è maestra, ma non ha scolari. L'umanità si dimostra una pessima allieva.

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 L.G.    - 18-11-2015
Al di là delle questioni di ordine geopolitico internazionale, che sono senza dubbio serie, nelle ultime ore sto spostando la mia attenzione sul tema, non meno importante, delle dinamiche e dei processi sociali interni, ossia sul quadro dei conflitti di classe e dei rapporti di forza intestini al blocco politico borghese, che in simili casi trova giovamento e si ricompatta immediatamente. Insomma, è palese che il clima di panico ed inquietudini generato dal terrorismo, giustifica l'invocazione di una maggiore sicurezza sociale da parte dell'opinione pubblica (ammaestrata come non mai) e da parte di quelle forze politiche che giocano e speculano sulla pelle della gente e della democrazia residua, che in tal modo va a farsi benedire definitivamente. Si stabilisce così, una sorta di compromesso politico interno, in base al quale sull'altare di una sicurezza, solo illusoria, vengono sacrificate le libertà che ancora ci restano sulla carta. Ed ecco che grandi capitali europee, come Parigi e Roma, vengono ad essere presidiate militarmente, in uno stato di belligeranza interna. Tra poco saranno revocati i diritti costituzionali allo sciopero ed alla libera espressione del pensiero.

 Giocondo Talamonti    - 20-11-2015
Siamo tutti parigini, ma l'Europa c'è?

Quello che occorre ora è rispondere a "questa guerra" con senso di responsabilità, gli stati europei devono muoversi insieme sapendo che la sfida va vinta uniti. Fughe in avanti non servono, così come non serve voler imporre il proprio modello democratico ad un popolo diverso per cultura, serve invece una politica estera basata su una strategia comune che punti ad un obiettivo finale credibile. Scegliere di bombardare senza chiedersi come organizzare poi, non è più una strada percorribile. Ricordiamoci dei bombardamenti in Libia e della destituzione di Gheddafi e della guerra in Iraq che ha prodotto situazioni geopolitiche ancora più complesse delle preesistenti. Serve non farsi prendere dal timore e dalla paura. Non serve cambiare il nostro modo di vivere. Non serve fermare i campionati d'Europa di calcio del 2016, non serve però, questo si, sottovalutare le minacce dell'Isis, ma guardare ai grandi eventi attrattivi come possibili rischi. L'Onu, l'Europa devono muoversi, non sull'ali dell'emotività, ma lanciando messaggi di ferma condanna verso ogni forma di terrorismo che tenta di destabilizzare la sicurezza dei tanti popoli della terra. Siamo in un tempo in cui la paura ci fa considerare il diverso come un potenziale pericolo, torna a farsi spazio il concetto di frontiera.
Non abbandoniamoci a false equazioni. Immigrati uguale a delinquenti sarebbe soltanto fare una politica estera basata sulla superficialità e sula demagogia.