Sulla devolution dell'istruzione
Eufemia Giambelluca - 13-12-2002

Pur essendo tutti profondamente convinti che la salvaguardia dei valori e delle tradizioni locali sia necessaria, come insegnanti e come educatori, siamo allarmati dalle prevedibili ricadute che la devolution della scuola avrà sulla formazione dei cittadini e quindi sulla nostra società.
Di recente, alte ed autorevoli voci si sono levate per difendere, a questo proposito, l'insegnamento dei valori fondanti della nostra Nazione e della cultura del nostro popolo.
Tali principi vengono, però, ignorati da chi propone le riforme. Per far presa sugli elettori, infatti, si fa leva su aspetti legati principalmente ai problemi dell'occupazione e dell'economia. Riteniamo perciò opportuno esprimere alcune considerazioni mantenendoci sullo stesso piano.
Un giovane italiano termina mediamente verso i 19 anni la scuola dell'obbligo.
In tasca avrà, fra qualche anno, un diploma attestante la sua padronanza della lingua inglese, dell'informatica, della storia regionale, del dialetto - o, meglio, "lingua locale" - e di alcune materie tecniche che lo renderanno idoneo ad un veloce inserimento in qualche settore del mondo del lavoro.
Delle altre discipline "tradizionali" - su cui generazioni di Italiani si sono formate come individui e come cittadini - lo studente avrà una conoscenza decisamente superficiale, grazie alla devolution e anche alla nuova riforma scolastica, che riduce tempi e contenuti dell'insegnamento.
Oggi si richiedono conoscenze e competenze sempre più ampie ed una grande versatilità. La formazione “devoluta”, così settoriale e "regionalista", non risponde, però, a tali necessità e non permetterà ad un lavoratore di riciclarsi facilmente in un'economia globalizzata. Così, quando una delle frequenti crisi occupazionali metterà in pericolo il suo posto di lavoro, questo giovane presumibilmente ne sarà travolto, senza grandi possibilità di reagire. Saprà muoversi di certo in un ambito regionale, dato che le sue conoscenze della lingua e della cultura locali gli permetteranno di interagire con altri che, come lui, si trovano ad operare in un'economia circoscritta. Ma, dopo anni spesi per costruirsi un futuro, egli si troverà probabilmente ridotto a pura “forza lavoro”, non in grado di adattarsi ai cambiamenti senza subirli passivamente.
Tutto questo non è forse in contraddizione con quanto i governi cercano di farci accettare, quando evidenziano con forza la necessità di una preparazione ad ampio raggio, che renda attenti e aperti verso la mutevole realtà contemporanea e capaci di decifrarne le informazioni per capirne le tendenze?

DEVOLUTION

I segnali che vengono dall'alto sull’operazione in atto sono ambigui sin dal nome: si rivendica il ruolo primario delle lingue locali, utilizzando un vocabolo straniero.
Si pretende di difendere e imporre la globalizzazione economica, accentuando i localismi nella gestione della cultura e nell'organizzazione della società.
Si vuole rassicurare i cittadini davanti ai cambiamenti, mentre li si lascia sempre più senza protezione. Anzi, riformando l'istruzione secondo il principio della chiusura verso l'esterno, si tolgono loro persino l'opportunità, le capacità, la coscienza per cavarsela da soli.



Un gruppo di insegnanti
dell' ITIS " P. Levi " ,
IPSIA "Ponti " ,
Liceo Scientifico " Majorana"
di Mirano ( Venezia )

(Seguono firme)

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 Natale Scuderi    - 16-12-2002
Sottoscrivo al 100%.