Immaginiamo Rosi Bindi in manette. Senza imputazione e senza processo
Giuseppe Aragno - 13-04-2015
Si sono presentati nel cuore della notte. Militari armati fino ai denti, come si fa con i delinquenti pericolosi, i mafiosi e i "terroristi". E' accaduto in Cisgiordiana, alla periferia di Ramallah. Si fosse trattato di Mosca, Mentana e soci sarebbero usciti con edizioni straordinarie, l'urlo della democrazia ferita, le interviste scandalizzate e l'immancabile raffica di dichiarazioni dei leader dell'Occidente "democratico". I Comuni sarebbero in subbuglio, coi fari puntati su gigantografie dell'arrestata, le bandiere a mezz'asta, i capannelli di "democratici" angosciati, in presidio permanente e Giuliano Ferrara in testa a cortei di protesta, pronto a partire per la prevedibile rivoluzione arancione.
Per Khalida Jarrar, arrestata di notte nella sua casa il 2 aprile scorso da soldati israeliani, non s'è mossa una foglia, non s'è udito un lamento e nessuno s'è scandalizzato per il penoso comportamento dello Stato israeliano, che la stampa di regime continua a definire la sola, "grande democrazia" mediorientale. Eppure la donna non è solo un'attiva femminista e militante palestinese. Khalida Jarrar è deputata in carica per il Fronte Popolare per la Liberazione del suo Paese al Parlamento palestinese e membro della Commissione parlamentare per i prigionieri politici.
Gli italiani sanno tutto di Amanda e Tonino, ma ignorano certamente che Ramallah fa parte di quel territorio che faticosi accordi internazionali hanno posto sotto la totale amministrazione dell'Autorità Nazionale per la Palestina. Gli italiani sanno tutto dei libri e del vino di D'Alema, ma nessuno gli ha mai detto che, dopo l'arresto, il 5 aprile scorso, una corte militare israeliana, senza contestare un'imputazione, senza mettere su uno straccio di processo, ha condannato la deputata palestinese a sei mesi di arresto amministrativo, rinnovabili alla scadenza a tempo indeterminato. Gli italiani, completamente presi dal bombardamento di cronaca rosa e cronaca nera orchestrato da Bruno Vespa e dai suoi strapagati complici, ignorano che l'unica "grande democrazia" del Medio Oriente detiene attualmente nelle sue carceri 18 parlamentari palestinesi, di cui 9 condannati anch'essi agli arresti amministrativi, strumento repressivo del vecchio colonialismo inglese, inventato ai tempi dell'occupazione militare britannica della Palestina mandataria. Un provvedimento così incompatibile con la democrazia, che il diritto internazionale vigente lo ritiene possibile solo in via eccezionale e per motivi straordinari. Vie eccezionali e motivi straordinari che nel caso dei deputati palestinesi non esistono.
Se la nostra stampa fosse ancora libera e non facesse gli interessi dei ceti dominanti, sarebbe chiaro a tutti che Israele,"unica democrazia" del Medio Oriente, ha trasformato il provvedimento in un abuso quotidiano, tant'è che, senza andare lontani, dal 1 gennaio 2015, per quel che è possibile sapere, almeno 319 palestinesi sono stati arrestati per via amministrativa, senza imputazione e senza processo; fra loro, persino minorenni, bambine e bambini che hanno probabilmente tirato un sasso ai militari dell'armata che occupa brutalmente la loro casa.
Khalida Jasrrar non ha tirato sassi, ma per Israele è come fumo negli occhi, anzitutto perché donna e femminista che oppone la sua militanza all'invasore - la destra israeliana ama molto le donne militari, ma odia le donne militanti nella Resistenza - e poi perché esperta di diritto umanitario. Quel diritto che Israele calpesta metodicamente e impunemente. In questo senso il provvedimento di arresto si spiega agevolmente come ritorsione del governo israeliano che non le perdona il colpo subito lo scorso agosto, quando Khalida ha potuto disobbedire all'ingiunzione che la espelleva da Ramallah, sede del Parlamento, opponendosi alla prepotenza sionista con gli strumenti legali della propria resistenza fisica, legittimamente fondata sulla quarta convenzione di Ginevra.
Di tutto questo in Italia purtroppo si sa poco o nulla. Per gli italiani, divisi perennemente nelle falangi di innocentisti e colpevolisti sui processi per omicidio che si istruiscono direttamente nei salotti televisivi, Ramallah e Gaza, sottoposta al quotidiano genocidio dello Stato d'Israele, per lo più non esistono. Quando compaiono nei nostri giornali, sono solo covi di feroci terroristi e inutilmente bussano alla porta della nostra coscienza

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 ANPI Viterbo    - 13-04-2015
L'ANPI e la sua storia vicini al popolo palestinese

Di seguito la trascrizione di un'intervista pubblicata su "Patria indipendente", periodico della Resistenza e degli ex combattenti, vicino all'Anpi - la cui versione cartacea sta altresì chiudendo i battenti -, nel 1969, a seguito di un incontro voluto dagli esponenti di Al Fatah, in missione in Italia, con i dirigenti nazionali dell'Associazione.
Quarantasei anni ci dividono da quest'incontro, in politica ere geologiche. Si era chiusa da due anni la Guerra dei sei giorni, vi doveva ancora essere quella dello Yom Kippur. Molto è cambiato, e in peggio, se si considerano le condizioni del popolo palestinese.
A suggerire l'idea della riproposizione, ovviamente, le polemiche di questi giorni in merito al 25 Aprile romano, con i ricatti e le provocazioni dei sionisti, i quali non vogliono bandiere dei palestinesi "che erano alleati co' Hitler". C'è da augurarsi che questa trascrizione possa essere un contributo in particolare per far tornare la memoria anche a chi, duole dirlo, tra di noi sembra averla persa.
Silvio Antonini
Presidente Cp Anpi Viterbo


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Colloquio con un esponente di Al Fatah

Di passaggio a Roma alcuni rappresentanti dell'organizzazione palestinese di Al Fatah hanno chiesto di incontrare i dirigenti nazionali dell'ANPI per uno scambio di vedute. Alla fine dell'incontro c'è stata una conversazione tra il palestinese Abu Abid e il Segretario Nazionale Giulio Mazzon, conversazione che riproduciamo integralmente come contributo documentativo sui gravi problemi del Medio Oriente alla cui soluzione il mondo intero è impegnato.
In quale anno è sorto il movimento di liberazione palestinese e per quali scopi?
il movimento di liberazione palestinese di Al Fatah è nato nel 1958 ed ha cominciato la sua lotta armata il 1° gennaio 1965. Lo scopo del movimento si vede chiaramente dal suo nome cioè: liberare la Palestina dal sionismo che è in Israele e costruire un nuovo stato palestinese democratico in cui tutti i palestinesi, sia arabi che ebrei o cristiani, possano vivere con uguali diritti.
Quali sono stati i motivi che vi hanno indotto a passare alla lotta armata?
20 anni perduti nelle risoluzioni dell'ONU e nei disegni degli stati arabi ci hanno convinto profondamente che i mezzi politici non ci condurranno mai a una giusta soluzione. Il movimento sionista stava diventando sempre più aggressivo e esprimeva la volontà di espandersi a spese del popolo palestinese e degli altri popoli arabi. I metodi degli stati arabi non ci davano la speranza che una giusta soluzione potesse essere raggiunta. Nel nostro memorandum nella conferenza al vertice degli stati arabi, nel settembre 1965 a Rabat, abbiamo affermato come fosse falso e pericoloso continuare su quella linea, perché il tempo non lavora per quel tipo di politica a favore degli arabi, ma contro. Il cercare di convincere il popolo arabo che le forze armate degli stati arabi avrebbero potuto liberare la Palestina in pochi giorni era falso e pericoloso, perché la vittoria in una guerra lampo va alla parte che ha una direzione centralizzata, che ha una tecnica superiore e che ha il migliore esercito. Queste le affermazioni fatte alla conferenza di Rabat. Perciò le cose stanno dalla parte di Israele e non degli stati arabi. Ma il fatto più importante è che quella politica non è solo falsa ma è pericolosa perché convincere il popolo arabo che la vittoria è una questione di pochi giorni vuol dire anche isolare il popolo arabo. Tutti pensavano che se le armate arabe potevano liberare la Palestina in tre giorni tutti potevano benissimo starsene a casa a fare niente. Ma quando tutti si rendono conto che è una lunga guerra popolare che porta alla vittoria in Palestina allora tutti possono partecipare a questa lotta di liberazione. Ciò porta naturalmente a mobilitare il popolo palestinese e arabo e questo è quello che vuole la rivoluzione.
Quale è stato il fatto che vi ha convinto a sparare?
Cominciammo la lotta armata nel gennaio 1965 dopo una preparazione che durava dal 1958. Era necessario prepararci a sufficienza per avere abbastanza mezzi (armi), per avere abbastanza uomini, per avere abbastanza informazioni sul nemico. Forse è interessante sapere che abbiamo perso i nostri primi uomini prima dell'inizio della lotta armata proprio tra quelli che erano andati nel territorio occupato per raccogliere informazioni. hanno creduto che fossero contrabbandieri di Hascich ma invece erano i nostri indimenticabili eroi.
All'inizio della nostra lotta gli ordini erano di mettere la dinamite non molto lontano (3-4 chilometri) dalla linea di demarcazione con Israele. Ciò era motivato dal fatto che i contadini palestinesi che vivono nei pressi del confine sentendo il rumore delle esplosioni avrebbero cominciato a chiedersi cosa stesse succedendo. Era necessario risvegliare quei palestinesi per portarli dalla nostra parte perché senza le masse la rivoluzione non può avere successo.
Quando è scoppiata la guerra cosiddetta dei sei giorni il vostro movimento ne ha tratto beneficio o si è trovato in difficoltà?
Non posso dire che abbiamo avuto benefici dalla guerra e dalla distruzione ma in realtà la guerra del giugno 1967 prova che il nostro programma è quello della realtà. È il solo programma che può portare alla Liberazione della Palestina e giungere a una giusta soluzione della causa palestinese. Gli eserciti arabi hanno perso la guerra e anche le masse arabe hanno perso molte illusioni. Uno dei risultati della guerra di giungo è che più gente, masse più grandi hanno cominciato a credere che solo con l'aiuto della lotta popolare armata si possa raggiungere la vittoria. L'altra conseguenza della guerra di giungo è che l'entità sionista non è solo un pericolo per il popolo palestinese ma anche per tutto il popolo arabo e questo dà alla rivoluzione palestinese nuove masse e nuovi aiuti. Una terza conseguenza della guerra di giugno è che ora il popolo arabo è convinto che con gli eserciti tradizionali sarebbe difficile fermare l'espansionismo sionista che è completamente aiutato e sostenuto dall'imperialismo americano. La sola via è la lotta armata popolare.
Il vostro movimento considera la stato di Israele uno stato laico oppure lo considera uno stato confessionale?
Lo stato sionista che fu creato sul territorio palestinese nel 1948, con l'aiuto dell'imperialismo mondiale, cerca di esprimersi come la patria di tutti gli ebrei del mondo. Noi crediamo che questo stato non stia esprimendo le speranze degli ebrei nel mondo e non stia risolvendo il problema ebraico ma sia uno strumento nelle mani dell'imperialismo. Questo minaccia il progresso e la pace nel Medio Oriente. In questi ultimi venti anni, per due volte, questo stato è stata la ragione che ha portato il mondo sull'orlo della guerra mondiale: nel 1956 e nel 1967.
Il vostro movimento è un movimento autonomo, interno alla nazione palestinese?
Noi siamo un movimento di liberazione nazionale. Siamo un movimento indipendente e ci siamo battuti molte volte fino ad ora per difendere questa indipendenza. Non vogliamo essere influenzati e controllati da qualsiasi stato arabo o partito politico. È essenziale per noi avere le migliori relazioni verso le masse arabe e gli stati arabi e perciò dobbiamo essere indipendenti.
Il vostro movimento rappresenta anche gli interessi del popolo ebraico per la costruzione di uno stato palestinese di nuovo tipo?
Quando noi diciamo di essere un movimento di liberazione noi vogliamo dire molto chiaramente che stiamo combattendo per conseguire la libertà di tutto il popolo palestinese, ebrei, mussulmani e cristiani. Noi non crediamo che la libertà di un gruppo di persone a spese di un altro popolo sia una liberazione. Noi stiamo combattendo contro ogni tipo di oppressine, di discriminazione, ogni tipo di disuguaglianza. Noi crediamo che gli interessi dei nostri fratelli ebrei in Palestina siano gli stessi interessi dei nostri fratelli mussulmani in Palestina: vivere in pace e in giustizia, cooperare insieme per il progresso del popolo palestinese. Molti anni di propaganda sionista e molti conflitti e tre guerre rendono questa via difficile ma noi crediamo che l'interesse dei nostri fratelli ebrei sia di cooperare con noi per combattere fianco a fianco per costruire lo stato democratico della Palestina. Fino ad ora abbiamo conseguito alcuni progressi in questa direzione ma siamo ancora all'inizio. Con altre lotte e con altri sacrifici sarà sempre più chiaro per tutti che il nostro programma è un programma serio. Questi sono i nostri princìpi e noi crediamo che il tempo stia arrivando in cui tutta la maggioranza di palestinesi, ebrei, mussulmani e cristiani, coopererà per ottenere pace e giustizia nella terra della pace cioè la Palestina.

("Patria indipendente", XVIII, 1969, 21, p. 6.)