Le scienze e la scuola: dialogo ancora possibile?
Michele Cascella - 03-12-2002

Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati - SISSA/ISAS
Via Beirut 2-4, 34014 Trieste – Grignano



Abstract

L’impatto delle scoperte scientifiche e tecnologiche sulla società contemporanea nonchè sulla vita di tutti i giorni del singolo cittadino diviene sempre piu’ importante sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. Di conseguenza, sempre più spesso i cittadini e i loro rappresentanti nelle varie istituzioni pubbliche sono chiamati a compiere scelte mirate a regolamentare e a governare fenomeni che riguardano il mondo scientifico e/o tecnologico. Paradossalmente, però, il mondo della scuola non sembra in grado di formare il cittadino ad una seria e profonda cultura scientifica che lo renda in grado di seguire attivamente il dibattito culturale legato al mondo scientifico e quindi di esercitare pienamente la propria funzione democratica di controllo. Lo scopo di questo articolo e’ di individuare almeno parzialmente i principali problemi e le maggiori contraddizioni presenti nell’insegnamento delle scienze oggi, presentando al termine un’ipotesi sicuramente non esaustiva di cambiamento, volta più che altro ad alimentare una discussione nella speranza che si possa dimostrare quanto più proficua possibile per un miglioramento della realtà scolastica italiana.

Il fenomeno della tecnologizzazione della società occidentale nell’ ultimo secolo ha cambiato completamente i rapporti tra uomo e scienza. Al giorno d’oggi anche il più distratto tra i cittadini sente parlare intorno a sè di fenomeni molto diversi ma che comunque lo riguardano da molto vicino, quali ad esempio inquinamento, nuove terapie mediche o nuovi mezzi di comunicazione, e fa uso di risorse tecnologiche provenienti dai campi di ricerca scientifica più disparati.
Purtroppo, la maggioranza della popolazione vive questo rapporto con la scienza e la tecnologia in maniera passiva o addirittura conflittuale: basti riflettere sulla scarsissima percentuale di giovani iscritti ai corsi di laurea scientifici o di ingegneria, percentuale in costante calo negli ultimi anni. Al contrario, e’ stato parallelamente constatato un aumento di iscrizioni presso le facolta’ umanistiche, come riportato nel “Rapporto sulla diffusione della cultura tecnico-scientifica in Italia” redatto dal Gruppo di lavoro per la diffusione della cultura tecnico-scientifica istituito dal MURST (29/1/1997), dove viene evidenziata la controtendenza di tale dato rispetto al resto del mondo occidentale.
La scarsa diffusione di una cultura scientifica in una società che ha fatto leva proprio sulla rivoluzione scientifica per la propria crescita e affermazione pone un serio problema di democrazia compiuta: come potranno infatti i cittadini scegliere liberamente su future problematiche di varia natura, ma che sempre più coinvolgeranno la scienza come tale, se non avranno le basi culturali per formulare liberamente una propria opinione?
Probabilmente pochi individui con i mezzi opportuni saranno in grado facilmente di manovrare l’opinione pubblica in maniera non sempre chiara e democratica.
Il quesito non é retorico né futuristico:ci troviamo già in questa situazione, basti pensare al recente caso Di Bella. In tale occasione, ricordo, nonostante i pareri contrari dell’allora ministro della sanità Rosy Bindi e della praticamente totalità della comunità scientifica lo Stato Italiano fu “costretto” a investire milioni e milioni di denaro pubblico in una sperimentazione fallimentare, e questo grazie ad una battente campagna stampa in grado di convincere l’opinione pubblica sull’esistenza di un “santone” capace di guarire dal cancro, ma ostracizzato dalla “medicina ufficiale”.
Quanto oggi i mezzi di comunicazione sono in grado di governare e muovere l’opinione pubblica su problematiche scientifiche, facendo leva su una diffusa ignoranza e quindi diffidenza dei cittadini? Molto, si direbbe. Il problema é peraltro diffuso non solo in Italia, ma é ben più generale, tanto é vero che si é discusso anche di questo nel recente WATOC (world congress of theoretically oriented chemists = congresso mondiale di chimica teorica) tenutosi a Lugano nello scorso Agosto.
Come mai la società e la scienza sono oggi così lontane tra loro? Probabilmente la colpa storica spetta proprio agli scienziati, “rei” di non essersi mai preoccupati di inserirsi nei dibattiti culturali e sociali, tranne rare eccezioni (da Galileo al progetto Manhattan), convinti forse di poter continuare a compiere i propri studi indisturbati (storicamente, molti scienziati furono nobili o ricchi borghesi che iniziarono le loro ricerche anche per svago).
Di fatto, quello che avviene oggi é che i giovani non si appassionano alla scienza, e non tentano nemmeno di avvicinarla.
Il fallimento di tale incontro avviene essenzialmente nel luogo teoricamente preposto ad esso, cioè la scuola.
I motivi di tale mancanza sono molteplici e complessi.
Vorrei a tal proposito parafrasare la relazione del prof. R. E. Glaser dell’University of Missuori-Columbia, presentata sempre all’ultimo WATOC, che ha puntualizzato i principali difetti dell’insegnamento tradizionale delle scienze, riassumibili in uno scarso riscontro nelle esperienze personali dei giovani con ciò che apprendono, in un diffuso nozionismo, e quindi in una sostanziale apparente inutilità e assurdità per i ragazzi degli insegnamenti ricevuti.

L’insegnamento delle scienze oggi in Italia
Entriamo nello specifico del problema.
Nonostante un dibattito ormai pluridecennale, la scuola media superiore in generale manca di una seria riforma volta ad aggiornarne la struttura e gli insegnamenti.
In altre parole, quella di oggi é ancora sia nello spirito che nelle forme la scuola di Gentile (1925), fondata su principi crociani che oggi appaiono sotto molti aspetti inadeguati o addirittura detestabili; uno su tutti, il principio secondo il quale le materie “umanistiche” sono formative della persona, mentre le scienze sono viste esclusivamente come utilità “tecnologica”... mentre proprio in quegli anni le scoperte scientifiche rivoluzionavano e definivano meglio di qualsiasi filosofo mai esistito i concetti di spazio e tempo, attraverso le teorie relativistiche, ad esempio.(Cito il documento del MURST sopra indicato, pag. 12: ”[...] e’ scarso il valore culturale assegnato alla formazione scientifica, che viene piu’ o meno implicitamente considerata piuttosto come strumento essenziale per finalita’ di tipo pratico”).
La nostra scuola, basata su questi principi, relega di conseguenza gli insegnamenti scientifici in spazi ristretti come ore di lezione (le tre ore di lezione da dividersi tra chimica e biologia per due anni in un liceo che si definisce “scientifico” sono emblematiche), dignità dei docenti (la cattedra di scienze é nei licei scientifici tradizionali solitamente di venti ore, da ripartire su otto classi), e possibilità di coprire effettivamente il programma ministeriale, come vedremo in seguito per materie quali la fisica.
Già, i programmi ministeriali: una delle principali accuse al sistema scolastico italiano riguarda l’insegnamento della storia, il cui programma si arena sistematicamente alla fine della seconda guerra mondiale (1945). Le date sono importanti, giacché i programmi di matematica, chimica e fisica si fermano a conoscenze ben precedenti a quell’anno!
Esaminiamoli nei licei scientifici tradizionali iniziando dalla matematica: il biennio é dedicato al calcolo algebrico e alla geometria euclidea; il triennio prevede nei vari anni geometria analitica, trigonometria, analisi matematica (ovvero, dal mondo antico al XIX).
La fisica inizia gli insegnamenti al triennio, seguendo un percorso logico in sé, ovvero partendo dalla cinematica, per passare all’ottica e alla termodinamica e finire al quinto anno con l’elettromagnetismo (e pure qui ci fermiamo al XIX secolo...).
Apparentemente meglio é la chimica, che é costretta a insegnare almeno la struttura atomica (inizio XX secolo), salvo poi ripiegare indietro: cinetica e termodinamica delle soluzioni sono concetti ottocenteschi pure quelli!
Sulla biologia preferisco non dilungarmi, poiché esiste una grossa frattura tra i programmi ministeriali e la loro possibile attuazione, poiché quella che viene considerata biologia contemporanea procede da principi chimico-fisici che già non vengono spiegati nei corsi di fisica o chimica. Risultato, anche qui si finisce col privilegiare concetti ottocenteschi per un principio di “chiarezza e semplicità”.
Riassumendo, gli insegnamenti scientifici impartiti oggi nelle scuole italiane sono, in base ai programmi ufficiali, fermi alle conoscenze del XIX secolo, mentre nulla o quasi è insegnato delle conoscenze acquisite nel XX secolo.

Ragioni di un insegnamento
Fare scuola vuol dire una cosa molto precisa: formare le nuove generazioni. Nella scelta e nella forma degli insegnamenti non si può prescindere da tale idea di base.
In più, è fondamentale che queste motivazioni siano tanto chiare agli insegnanti che agli studenti.
Lo studente non deve essere un soggetto passivo nell’apprendimento, bensì il principale artefice della propria crescita. Uno dei modi “migliori” per non ottenere questo é costringerlo ad apprendere nozioni prive di significato, o peggio, che a lui ne appaiano prive.
Ora, ritengo che l’impostazione generale dell’insegnamento delle scienze è errato proprio da questo punto di vista.
Tornando ai programmi ministeriali quello che salta all’occhio e’ una sequenza di argomenti slegati l’un l’altro, lontani dalla realtà attuale, e talvolta perfino obsoleti o addirittura errati.
Perché si insegnano le scienze, a scuola? Per conferire gentilianamente delle conoscenze prettamente tecnologiche? Tale motivazione, nel mondo ipertecnologico di oggi, appare del tutto fuori luogo...
Resta la formazione culturale... ma che “accrescimento” culturale c’è nel saper bilanciare un’equazione chimica? Quale nel risolvere un sistema di equazioni lineari (tranne forse essere in grado di risolvere quesiti di enigmistica sotto l’ombrellone)?
Nel secolo dell’esplosione scientifica, mentre intorno a noi il dibattito epistemologico si incendia su vari argomenti, nellla scuola gli insegnamenti scientifici mancano completamente di un’impostazione storico-filosofica, che tralascino magari aspetti più tecnici, per conferire un quadro più generale delle problematiche in discussione oggi; la scienza resta uno sterile esercizio intellettuale.
Manca nell’insegnamento scientifico il fine di formulare nello studente e quindi nel futuro cittadino una coscienza critica basata sui fondamenti della scienza, nello sviluppare in lui una metodologia di indagine generale della realtà che lo circonda
(ancora il documento del MURST, pag. 11:“[...] ...(nell’insegnamento scolastico delle scienze) manca per lo piu’ la dimensione propriamente “scientifica” della scienza, per cui la scienza [...] dovrebbe essere presentata piuttosto come metodo, come linguaggio, in ultima analisi come “conoscenza””).

Inconsistenze e mancanze nella struttura attuale dei programmi ministeriali
La scienza nel XX secolo ha subito un’evoluzione tumultuosa; tale esplosione di idee ha avuto un forte impatto non solo sulle conoscenze specifiche, ma anche sulle categorie di pensiero ad esse associate.
Non a caso, Emilio Segrè, nel suo “Personaggi della fisica Contemporanea” (Mondadori editore) puntualizza come i grandi “padri” della rivoluzione quantistica non avessero offerto grossi contributi alle scoperte scientifiche successive alla formulazione delle loro proprie teorie essenzialmente perchè limitati dalla loro formazione “ottocentesca”, mentre giovani studenti formatisi da zero alla nuova visione della realtà fossero in grado di compiere scoperte fondamentali con relativa facilità.
Gli insegnamenti scolastici scientifici oggi sono ancora legati, purtroppo, ad una impostazione non moderna della scienza.
Esempi sono facilmente reperibili, e in vari campi.
Si parte da una grossa inconsistenza interdisciplinare: l’insegnamento dell’analisi matematica viene ritardata fino al quinto anno nei licei scientifici, o è addirittura assente nei licei classici. Uno spostamento dell’analisi matematica al terzo anno favorirebbe l’insegnamento della fisica, che prevede tra l’altro in quell’anno elementi di cinematica e dinamica dei corpi rigidi.
Tali discipline si sono sviluppate solo dopo la nascita di strumenti matematici (il calcolo infinitesimale e differenziale, appunto) adeguati.
Sembra assurdo, ma lo studio del moto dei corpi é tutt’altro che intuitivo, il paradosso di Zenone ne é esempio lampante.
Tale inconsistenza programmatica esiste perché i programmi di terzo e quarto anno di matematica sono impiegati per risolvere tediosissimi problemi su fasci di rette, relazioni di prostaferesi o equazioni trigonometriche (vero incubo per i giovani studenti).
Perché questo? Perché i programmi risalgono a periodi storici in cui la mancanza di elaboratori costringeva scienziati e non a risolvere manualmente complicatissime operazioni.
Al giorno d’oggi nessuno più sente la necessità di tali calcoli manuali; molto più utile sarebbe impiegare questo tempo, ad esempio, per il calcolo numerico e la programmazione.
E’ come se oggi l’esercito italiano continuasse ad insegnare a combattere col pilum e il gladio, mentre in guerra poi si usano i missili.
Altro esempio: oggi, dopo la rivoluzione quantistica, la chimica-fisica e le discipline ad essa collegate costituiscono le basi teoriche per lo studio di problematiche molto diverse e fondamentali: dalla scienza dei materiali, alla biologia molecolare, dallo sviluppo dei semiconduttori (ovvero alla quasi totalità delle tecnologie odierne di uso più comune) ai LASER, alla farmacologia...
Eppure, come si insegna la struttura della materia?
Basta sfogliare un libro di chimica per ritrovare le leggi di Dalton...
Che valenza didattica possono avere delle leggi formulate su basi macroscopiche in tempi in cui la natura microscopica della materia era ben lungi dall’essere capita?
I giovani oggi non ritrovano le leggi di Dalton nella vita di tutti i giorni, esse appaiono (come sono in effetti) macchinose e farraginose, e soprattutto non sono in grado di rapportarle alle preconoscenze che hanno in mente. Non si può dimenticare che il concetto di atomo è ben chiaro ai ragazzi di oggi già in tenera età, a differenza di qualche anno fa, magari.
Un ulterioriore interessantissimo lavoro presentato all’ultimo WATOC dimostra esattamente come ciò che si ritiene facile o difficile per gli studenti sia fuori luogo: la ricerca di Christina Stefani e Costantinos Tsipis del Laboratory of Applied Quantum Chemistry dell’Università Aristotele di Salonicco ha esaminato in maniera profonda un vasto numero di testi scolastici di chimica, soffermandosi sulle presentazioni delle basi della meccanica quantistica e sulle teorie della struttura atomica e quindi del legame chimico.
Quello che emerge è che i giovani giungono nella scuola già con delle immagini vaghe, ma la scuola, invece di chiarire e riordinare tali concetti, li oscura.
L’errore più grave è nella sostanziale presentazione della meccanica classica e del moto newtoniano dei corpi come concetti di base fondamentali a cui tentare di ricondurre i comportamenti quantistici della materia con immagini o spiegazioni intuitive non corrette.
Ai giovani la meccanica classica viene presentata come “esatta”, mentre la meccanica quantistica diventa un’approssimazione, che va sempre ricondotta quando possibile al moto newtoniano.
I concetti di orbitale, elettrone, funzione d’onda sono confusi e imprecisi, si continua a riferire a delle orbite classiche, e il modello planetario diventa sostanzialmente la “vera” forma dell’atomo.
La descrizione quantistica viene di conseguenza presto abbandonata, preferendo infine il modello di Lewis (linee e punti, per intenderci), modello tanto semplificativo quanto errato.
In letteratura, d’altro canto vi sono ormai diversi lavori che hanno sviluppato metodi alternativi di insegnamento della chimica e delle teorie quantistiche che semplificano ad esempio il background matematico, mantenendo d’altro canto il rigore scientifico (cito ad esempio J. Petri, H. Niedderer Intern. J. of Sci. Edu. (1998), 20, 1075; J. Gillespie J. Chem. Edu. (1996), 73, 622), ma di questi nuovi metodi non vi è traccia nei programmi scolastici.
Il lavoro qui riassunto si concludeva con una domanda provocatoria: Troppo spesso nelle scienze a scuola si ritiene più corretto far intuire i concetti piuttosto che spiegarli, adducendo la motivazione che la “spiegazione” sia troppo difficile.
Ma troppo difficile per chi? Per lo studente, che non avendo studiato nulla al riguardo ha una mente aperta e non vincolata a modelli preesistenti, oppure per gli insegnanti rimasti bloccati su modelli ereditati dal passato ed oggi obsoleti?
Ovviamente la provocazione non aveva l’intento di muovere un attacco alla classe docente attuale, anzi.
Piuttosto serviva a rimarcare come l’ancoraggio dell’attuale teoria didattica agli schemi ragionativi ottocenteschi, apparentemente più solidi, illuminanti, e semplici, in realtà conduca a contraddizioni interne, a confusione e quindi ad uno stato di disagio complessivo nello studente, e ad una sua conseguente fuga mentale da tali problematiche.
In conclusione, non è assolutamente vero che ciò che é intuitivo sia di facile apprendimento, (nel senso di “capire in profondità”) mentre ciò che non é intuitivo non lo sia.
Resta il fatto che oggi gli studenti, pur di essere preservati dallo studio di “concetti non intuitivi” escono dai corsi di fisica del liceo senza aver mai sentito parlare di relatività o di meccanica quantistica, discipline che sarebbero in grado di illuminare gran parte delle loro preconoscenze, e quindi le loro curiosità naturali, e che sarebbero in grado di formarli ad una impostazione critica della realtà che li circonda.
In compenso, la loro testa viene riempita di idee vaghe su problematiche lontane sia dalla loro esperienza quotidiana che da un immaginario scientifico ormai diffuso nella società, benché troppo spesso errato e fuorviante.
Il risultato è che lo studente mediamente fugge tali insegnamenti, restando, da cittadino, preda di facili demagogie politiche nelle scelte sociali, che saranno negli anni futuri sempre maggiori e pressanti, visto lo sviluppo tumultuoso in questi anni di discipline quali la genetica o la biologia molecolare.

Proposte di cambiamento
Le scienze e le loro applicazioni tecnologiche hanno oggi un enorme impatto sulla società, ne modificano gli stili di vita, e conseguentemente pongono importanti quesiti etici.
Risulta quindi fondamentale la crescita e la maturazione di una coscienza “scientifica” nella società che renda il cittadino consapevole e attivo nella partecipazione democratica alle scelte sociali.
Lo scarso interesse per le scienze deve essere combattuto attraverso una rivoluzione “copernicana” nell’insegnamento delle scienze a scuola.
L’evoluzione della scienza oggi è tumultuosa; inoltre, le singole discipline tendono a iperspecializzarsi. C’è da chiedersi quindi cosa sia veramente importante insegnare oggi.ad un giovane.
Dalla sequenza di nozioni, meglio o peggio sviluppate, prive di nessi tra loro, e decontestualizzate dal periodo storico in cui esse sono avvenute, ritengo sia necessario passare attraverso una riduzione dei contenuti nozionistici, tanto tediosi quanto inutili dal punto di vista formativo dell’individuo oggi.
E’ fondamentale che venga introdotto un approccio storicistico alla scienza, rendendo chiaro come i principi e le teorie scientifiche nascano nel contesto sociale legato alle situazioni economiche e storiche del periodo.
La diminuzione delle nozioni dovrebbe comportare un aumento nel rigore negli insegnamenti: si insegni poco, ma lo si insegni bene! E soprattutto, si insegnino le basi della scienza moderna.
Se si può insegnare Hegel, perchè non si potrebbe anche arrivare a introdurre i teoremi di Goedel?
E’ comunque auspicabile una riorganizzazione dei programmi volta a riarmonizzare le varie discipline tra loro.

Da ultimo, è assurdo che ancora oggi “luminari” possano dichiarare che le scienze non siano formative per l’uomo, e che vengano divise dalle discipline “umanistiche”.
Cosa vuol dire “umanistico”? Che pertiene all’uomo, si presume. Cosa è più umanistico della Scienza, allora?
La scienza è una metodologia di indagine della realtà, o meglio, l’unica metodologia d’indagine i cui risultati siano condivisibili trasferibili e riconoscibili da parte di ogni essere umano.
E’ formativo o no venire in possesso di uno strumento di analisi delle esperienze universale, applicabile a varie problematiche, dall’indagine della realtà che ci circonda all’indagine storica, alla sociologia etc etc, che ponga l’individuo nelle condizioni di verificare ipotesi e formulare tesi su una base coerente e razionale?
Come si può tollerare che oggi, nel XXI secolo la scuola italiana prepari generazioni di cittadini ignoranti in scienza, e quindi completamente lasciati in balia di sciacalli o imbonitori di dulcamariana memoria?
Una impostazione neogentiliana o neocrociana della scuola che continui a mortificare gli insegnamenti delle scienze e che continui a relegarle in una nicchia culturale è antistorica ed esecrabile oltre che penalizzante per gli studenti italiani nei confronti dei parigrado stranieri con cui essi saranno chiamati a confrontarsi negli anni futuri.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Elisabetta Calanchi    - 15-03-2003
Leggendo l'interessante articolo di M.Cascella intitolato "Le scienze e la scuola: dialogo ancora possibile?" vi chiedo: perchè nei licei scientifici la cattedra A060 "Scienze Naturali, Chimica e Geografia" è di 20 ore dal momento che la legge finanziaria 2002 considera illeggittime le cattedre oltre le 18 ore? Ho provato a porre la stessa domanda ai sindacati ma non mi è ancora giunta risposta! Penso però che sia un argomento che possa interessare tutti gli insegnanti di Scienze Naturali!!!
In attesa di un vostro riscontro vi porgo cordiali saluti,

 Angelina Mura    - 16-03-2003
Mando un articolo di Italia Oggi che parlava proprio di questo:
***Tar Calabria: non sono straordinario.
Gli orari over 18 in buonauscita
Il docente che ha un orario di cattedra obbligatorio superiore alle 18 ore
ha diritto al riconoscimento delle ore eccedenti anche nella buonuscita.
Così ha deciso il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sede
di Reggio) con tre sentenze gemelle emesse, rispettivamente, il 17 (n. 10) e
il 28 gennaio scorso (nn. 21 e 22). Le pronunce, peraltro, si inseriscono
nel consolidato orientamento della magistratura amministrativa, incline a
riconoscere questo diritto ai docenti di scienze che insegnano nei licei
scientifici, la cui cattedra è fissata nell'ordine di 20 ore settimanali.

Un principio che, fino a oggi, non è ancora stato recepito
dall'amministrazione, malgrado le numerose sentenze che affermano
l'esistenza di questo diritto. I magistrati del Tar della Calabria hanno
dichiarato, però, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo,
per quanto riguarda la questione dell'adeguamento del trattamento
pensionistico, che rimane di competenza della Corte dei conti. I ricorsi
riguardavano, rispettivamente, tre docenti di scienze naturali, chimica e
geografia nei licei scientifici, cessati dal servizio il 1° settembre del
1992 e del 1994 e del 1991, che lamentavano, appunto, il mancato
riconoscimento delle due ore di insegnamento in più che avevano prestato
regolarmente, per effetto della particolare conformazione della cattedra.
Ciò perché l'amministrazione aveva considerato le due ore in più non come
integranti la retribuzione stipendiale, ma alla stregua di retribuzioni
straordinarie. Come tali non integranti il diritto al riconoscimento ai fini
della buonuscita.

Una tesi che non è stata condivisa dal collegio amministrativo che, citando
la normativa relativa alla conformazione della cattedra, ha evidenziato il
carattere obbligatorio della prestazione. Di qui l'inesistenza dei
presupposti per l'insorgenza della natura di prestazione straordinaria che,
per contro, ha sempre carattere facoltativo. Vista dunque l'obbligatorietà
dell'orario, l'amministrazione non può non tenerne conto ´nella
determinazione della tredicesima mensilità e dell'indennità di buonuscita'.***

molise@uilscuola.it