Unione Europea della scuola
Giuseppe Aragno - 02-04-2014
Nelle scuole s'è saputo? Per l'11 di aprile, su mandato dell'assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori «precari» di scuola statale, tenuta a Roma il 19 gennaio, l'Unione Sindacale Italiana ha proclamato lo sciopero generale del settore. E' difficile dire in quante scuole la «notizia» stia passando, ma saranno mosche bianche e, per favore, niente storie alla Marchionne sulla pervicace vocazione al conflitto e la reale o presunta «rappresentatività» d'un sindacato. Nemmeno se simili oscenità avessero cittadinanza in democrazia, sarebbe legittimo invocarle a giustifica di un silenzio massmediatico che sa di censura. In tema di «rappresentatività», poi, «pesi e misure» sono ormai volgarmente truccati. Non fosse così, come sarebbe potuto accadere che scuola e università disastrate finissero in mano a una ministra disastrosa come la Giannini? Ce l'ha imposta «Scelta Civica», un partito sparito dalle statistiche sul voto, perché non rappresenta neanche se stesso, ma alle Camere, grazie a una legge elettorale illegale, ha quanto basta di «nominati» per tenete in pugno un filo che regge il pupo fiorentino. E il telesvenditore della Repubblica lo sa: se il pugno s'apre, lui va giù a valanga e toglie il disturbo recitando i versi del suo grande conterraneo: «io venni men così com' io morisse. / E caddi come corpo morto cade».
Silenzio, quindi, che il nemico ascolta e guai a chi parla! Nessuno sappia che la scuola lotta perché si applichi il dettato Costituzionale che pupi, pupari e compagnia cantante stanno cancellando; lotta per chiedere il potenziamento delle scuole d'infanzia e primarie pubbliche e afferma ciò che tutti sanno: i soldi ci sono e non occorre sceneggiare romanzi d'appendice sull'asta del «parco auto blu»; basta evitare scialacqui per il rafforzamento del «parco cacciabombardieri». La scuola lotta per miglioramenti salariali, dopo l'eterna manfrina dell'«Europa che lo vuole», come Dio volle le Crociate - «alta voce Franci omnes simul exclamaverunt: Deus hoc vult, Deus hoc vult» - e chiede di piantarla col trucco dell'Europa che ci chiede sempre tutta l'unità possibile, poi, in preda a non sai quale precoce arteriosclerosi, dimentica l'europeismo dei diritti, a partire da un contratto europeo sulle retribuzioni. Per questo lotta la scuola, molto più europeista di Monti, Napolitano, Renzi e la Giannini. Lotta - e non sarà uno scandalo, si spera - perché si torni a meccanismi di automatico aggiornamento salariale rispetto alla dinamica dei prezzi e al «costo della vita», che non è un'invenzione bolscevica; lotta per la civiltà del lavoro, che è anche diritto alle ferie o alla loro retribuzione per il personale a tempo determinato; si batte, la scuola, soprattutto per l'applicazione di leggi e disposizioni sui contratti a tempo determinato e la stabilizzazione del precariato utilizzato. Anche qui più europea dei sedicenti europeisti alla Napolitano, che puntualmente ignora nelle sue torrenziali esternazioni che la Commissione Europea si è più volte pronunciata contro l'abuso dei contratti a termine che da anni Berlusconi, Berluschini e comunisti pentiti utilizzano senza limiti, barbaramente, in totale disprezzo delle indicazioni e della normativa UE che qui da noi si applica con rigore se colpisce il lavoro e si ignora bellamente se lo tutela.
Sarebbe da prima pagina la notizia che la Commissione ha più volte chiesto ai tre ultimi governi - Napolitano Monti, Napolitano Letta, Napolitano Renzi - se «per garantire una certa flessibilità negli organici della scuola e far fronte, senza oneri eccessivi per lo Stato, a variazioni imprevedibili della popolazione scolastica sia veramente necessario [...] ricorrere ad una successione di contratti a termine senza alcun limite quanto al numero dei rinnovi contrattuali e alla durata complessiva del rapporto». Si potrebbero riempire colonne sotto titoli a caratteri cubitali con le parole di un'Europa che il circo mediatico ignora, forse perché farebbero più danno di cento manifestazioni No Tav e non gli puoi mandare l'esercito di occupazione. Un'Europa che non chiede sacrifici e con inusitata chiarezza dichiara impossibile «ritenere che la legislazione italiana sul reclutamento del personale docente e ATA a termine contenga criteri obiettivi e trasparenti [...] risponda effettivamente ad un'esigenza reale e sia atta a raggiungere lo scopo perseguito». E ne ricava la logica conclusione: «il ricorso a contratti a termine successivi per la copertura di vacanze in organico che tale legislazione consente non può pertanto considerarsi giustificato da ragioni obiettive». E allora perché si fa? E' chiaro come la luce del sole che non si tratta di soldi. E' che la scuola statale, per quanto ridotta allo stremo dalla sedicente «riforma Gelmini», costituisce ancora un intoppo per un disegno reazionario che utilizza la crisi come corpo contundente. In quanto fucina di pensiero critico, va perciò demolita. E' questa la condizione «sine qua non» per la realizzazione della svolta autoritaria che l'asse Renzi-Berlusconi spaccia per «riforma istituzionale».
Un tempo si mettevano in piazza i blindati. Ora si massacra il sistema formativo.

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