Sul taglio di un anno del percorso scolastico
Claudia Fanti - 19-02-2014
Un tirocinante intervista Claudia Fanti


E' giusto far uscire i ragazzi a 18 anni?

Domanda illegittima. Perché non mi chiede se è giusto tagliare un anno in quest'epoca che ha tanta necessità di teste ben fatte per dirla con Morin?

Ma la nostra scuola presenta livelli di dispersione elevati, come fare?

La nostra scuola è stata capace di portare a livelli altissimi i propri studenti: ce li invidiano in Europa. Ce li rubano. Il problema, se mai, risiede nella capacità della nostra scuola a portare tutti a un buon livello di preparazione, allora le dico che per riuscirci non c'è assolutamente bisogno di "tagliare" anni. Al contrario, c'è bisogno di offrire risorse e strumenti, biblioteche, spazi verdi da fruire e da organizzare, laboratori scientifici e tecnologici attrezzati, tecnici di laboratorio, strutture come palestre, teatri per ospitare compagnie, per fare attività teatrale e musicale con i ragazzi e le ragazze; bisogna alzare il tiro culturale, altro che ridurre di un anno il percorso con ripetere l'affermazione "l'Europa fa così", la qual cosa non è neppure vera per tutti i Paesi.

E le risorse per fare ciò dove stanno?

Questo è un problema diverso: se i soldi sono il problema perché li si vuole spendere in altro capitolo o perché si vuole risparmiare, non si dica però che si vuole una scuola di qualità tagliando un anno per favorire i giovani! Per stare dalla parte dei giovani, bisogna "stare" con i giovani, avere il tempo di farlo, di guardarli in faccia, di spenderci un minuto a testa ogni giorno: pensi soltanto al taglio che è stato fatto a materie come la storia dell'arte, la chimica, l'educazione tecnica, la lingua italiana...ora si parla anche di taglio alla filosofia. Orari e organizzazione sono da rivedere non per togliere, bensì per ridare forza alla creatività, al pensiero critico, a quello divergente, per aver cura del corpo e dello spirito. Oggi più di ieri assistiamo con le mani in mano a fenomeni gravi di bullismo, di irresponsabilità, di depressioni che si rivelano in vario modo fino al suicidio! Che facciamo? Vorremmo allontanarli, tramite la legge, un anno prima?! Mi pare contrario al buon senso!

Sì, ma molti criticano gli insegnanti italiani per via della dominanza della lezione frontale e della trasmissione su altre forme di conduzione delle classi, che fare?

Semplice, dare orari distesi, classi con un numero di alunni adeguato, lasciare libertà di insegnamento ai docenti e alla loro capacità di valutare. Le faccio un esempio: un insegnante di chimica di un istituto d'arte mi ha detto: "che ci faccio con un'ora alla settimana? Come faccio a conoscere i ragazzi? Come posso insegnare anche soltanto la minima parte del programma? Sono stato precario una vita e ora che sono di ruolo mi sento frustrato, impotente, e quando leggo che noi insegnanti saremmo degli incapaci ormai mi sento semplicemente svuotato!"

So che lei è contraria ai voti e all'Invalsi, perché? Molti puntano sulla motivazione estrinseca per spingere gli alunni ad apprendere e a studiare?

Sono contraria ai voti e in particolare credo vincente eliminarli per stimolare apprendimenti duraturi e profondi che contrasterebbero l'analfabetismo di ritorno e li eliminerei da tutto il sistema, fin dalla prima classe della primaria: bambini e bambine educati ad apprendere per apprendere, acquisiscono l'abitudine alla ricerca per la ricerca, fioriscono sia in curiosità verso il sapere sia nella relazione con i compagni. Non si pongono mai nell' osservazione del proprio lavoro con l'occhio di chi misura, si pongono con l'occhio di chi valuta, diventano perfino pignoli nella critica costruttiva del proprio operato, imparano ad auto correggersi e provano una soddisfazione tale che si evince proprio dai loro gesti, dalle espressioni del viso più o meno compiaciute, chiedono spiegazioni approfondite, non si accontentano, si pongono in modo dubbioso, scelgono percorsi anche più complicati di quelli che sceglierebbero per arrivare a un sei o a un sette per accontentare l'adulto. Insomma, non ci sono attriti, i conflitti cognitivi diminuiscono, c'è in classe un clima di fiducia reciproca e di gioiosa fatica, sì proprio di fatica positiva. Ma per ora siamo lontani dal pensare a un sistema sperimentale senza voti, tanto è vero che l'Invalsi chiede agli insegnanti di inviargli i voti bambino per bambino oltre ai risultati dei test compilati. I risultati dell'esame di terza media poi fanno media con i voti. Io critico le prove Invalsi censuarie perché hanno portato molte scuole verso una didattica sincopata, a un ritorno all'istruzione-addestramento, a certi meccanicismi ripetitivi, all'adozione di eserciziari: hanno tolto freschezza, originalità, artigianalità all'insegnamento e stanno portando via tempo prezioso ai momenti già rari di conversazione, riflessione, tentativi di percorsi alternativi...

Qualcuno potrebbe tacciare questa idea di scuola con la solita definizione di buonista, non crede?

Eh no, non ci sto, la scuola della formazione, dell'educazione, della conversazione, dell'ascolto reciproco, certo non è quella della competizione, degli sguardi annoiati o in tralice, delle teste basse a mettere crocette o a eseguire verifiche in silenzio. E' invece proprio la scuola della fatica del pensare e dell'agire, del rispetto reciproco, del parlare, dell'esporsi con gli altri e per gli altri. E' molto faticosa, perché è quella nella quale gli studenti diventano protagonisti del proprio apprendimento nel fare, nel provare e riprovare, nel ricercare soluzioni. Molto più faticosa, eppure alquanto motivante, perché è quella che induce i ragazzi a confrontarsi come singoli in un sistema di cooperazione negli apprendimenti: dalla scrittura, alla lettura, alla recitazione, alla conferenza, allo studio e alla rendicontazione attiva di qualsiasi attività...

Ultima domanda: pare che siano proprio i ragazzi a volere un anno in meno, che ne dice?

Dico che vorrebbero scappare dall'Italia, ma se la scuola offrisse loro un posto, un tempo, un ascolto, una opportunità di fare e vivere da protagonisti non se ne andrebbero di certo né dalla scuola né dall'Italia. Ripeto bisogna "stare" con i giovani e non solo con i giovani, bisogna dare valore alle persone per quello che sono, che sanno fare e dare, a tutte le persone senza ridurle a polli in batteria!

18 febbraio 2014

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 Pier Luigi Lunerti    - 23-02-2014
Cara Claudia
Ho letto le tue risposte alle domande della tirocinante e ritengo che possano essere usate assolutamente come linee guida dalla neo ministro della “Pubblica Istruzione” per il suo programma di lavoro . Voglio però soffermare l’attenzione sulle domande dell’intervistatrice che si presuppone giovane e di belle speranze ma che in realtà dimostra (se le stesse domande non sono volutamente provocatorie) idee superate , datate e appartenenti ad una scuola “tradizionale” da cambiare velocemente. La scuola dei giudizi, dei voti, dei premi, delle verifiche, il clima competitivo non favorisce assolutamente lo scambio e la collaborazione e quindi la crescita dei bambini. La scuola deve porre la massima attenzione al “processo” di sviluppo del bambino che deve essere incoraggiato e sostenuto. L’errore è un mezzo di crescita non il momento della punizione. L’educazione non ha nulla a che fare con le logiche aziendali, è un atto riferito a persone e non a cose, si basa sulla valorizzazione delle diversità , sui percorsi individuali, sulle intelligenze specifiche. In quest’ ottica la misurazione con le pagelle non ha nessun senso, è un atto fine a se stesso: a volte gli insegnanti aumentano o abbassano i voti con lo scopo di produrre una motivazione al miglioramento estranea però al sapere gratuito e appassionato, legata invece unicamente alla mortificazione o al premio. Il tempo dello studio dovrebbe aumentare, perché la scuola è, e deve continuare ad essere, un luogo dove sviluppare la capacità di pensare con la propria testa. La scuola rimane l’unica istituzione che assolve a questo compito , che le compete fin dalla sua nascita. L’etimologia rimanda, infatti, al greco “scholé” cioè il luogo di riposo dagli impegni lavorativi, dove riflettere e discutere per nutrire lo spirito. Sono convinto che se i nostri governanti avessero frequentato una scuola con questi presupposti, saprebbero trovare senza indugi le risorse adeguate per la “Scuola Pubblica”.
Un carissimo saluto e un augurio di buon lavoro.
Pier Luigi