Disposizioni in materia di bisogni educativi speciali
Bruna Sferra - 25-11-2013
Sintesi normativa e commento

Riferimenti:

1. DIRETTIVA MINISTERIALE del 27 dicembre 2012;
2. CIRCOLARE MINISTERIALE n.8 del 6 marzo 2013;
3. NOTA prot.1551 del 27 giugno 2013 Piano Annuale per l'Inclusività- Direttiva 27 dicembre 2012 e CM n.8/2013;
4. BOZZA DI CIRCOLARE DEL 20 SETTEMBRE 2013 Strumenti di intervento per alunni con BES. Chiarimenti.


BES (Bisogni Educativi Speciali)

La Direttiva del 27 dicembre vi fa comprendere tre grandi sotto-categorie:
1. la disabilità, certificata ai sensi dell'art. 3, commi 1 o 3 (gravità) della Legge 104/92, che dà titolo all'attribuzione dell'insegnante di sostegno;
2. i disturbi evolutivi specifici (secondo la Direttiva, tali disturbi se non vengono o possono non venir certificate ai sensi della legge 104/92, non dando diritto all'insegnante di sostegno): i DSA (con diagnosi ai sensi dell'art. 3 della Legge 170/2010) e gli altri quadri diagnostici quali i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell'attenzione e dell'iperattività, e il funzionamento intellettivo limite che viene considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico;
3. lo svantaggio socio-economico, linguistico, culturale: la Direttiva dispone che l'individuazione di tali tipologie di BES deve essere assunta da Consigli di classe sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e, in particolare, la circolare n.8 del 6 marzo 2013, sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche.

ASPETTI A LIVELLO SCOLASTICO

PDP (Piano Didattico Personalizzato)

Il Consiglio di classe, o tutte i componenti del team docenti della scuola primaria, deliberano un percorso individualizzato e personalizzato (L.53/2003) per ogni alunno con BES (C.M. n.8 del 6 marzo 2013), anche in assenza di certificazione, dando luogo al Piano Didattico Personalizzato.
La Direttiva assegna PDP la doppia funzione di strumento di lavoro in itinere per gli
insegnanti e di documentazione per le famiglie circa le strategie di intervento programmate. Il PDP può essere individuale o riferito agli alunni di tutta la classe.
In aggiunta a tutti gli strumenti compensativi e dispensativi già previsti dalla Legge 170/2010, il PDP può prevedere anche un'opportuna calibratura della progettazione didattica in termini di livelli minimi di apprendimento attesi in uscita.
Il PDP deve essere firmato dal Dirigente scolastico (o da un docente da questi specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia.
La bozza di circolare del 20 settembre 2013, avente per oggetto Strumenti di intervento per alunni con BES. Chiarimenti, richiama l'attenzione sulla distinzione tra ordinarie difficoltà di apprendimento, difficoltà permanenti e disturbi di apprendimento. Vi si specifica che la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all'attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un PDP e che soltanto quando i Consigli di classe o i team docenti, eventualmente anche sulla base di criteri generali stabiliti dal Collegio dei docenti, siano unanimemente concordi nel valutare l'efficacia di ulteriori strumenti - in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o nel caso di difficoltà non meglio specificate - questo potrà indurre all'adozione di un piano personalizzato, con eventuali misure compensative e/o dispensative, e quindi alla compilazione di un PDP.
Si ribadisce che tutte queste operazioni servono per offrire maggiori opportunità formative e flessibilità dei percorsi, non certo per abbassare gli obiettivi di apprendimento.
In merito agli alunni con cittadinanza non italiana si chiarisce che essi necessitano anzitutto di interventi didattici relativi all'apprendimento della lingua e solo in via eccezionale della formalizzazione tramite un PDP, soprattutto per alunni neo arrivati in Italia, ultratredicenni, provenienti da Paesi di lingua non latina.

GLI (Gruppo di Lavoro per l'Inclusione)

Il GLHI viene sostituito dal GLI coordinato dal Dirigente Scolastico, ne fanno parte tutte le risorse specifiche e di coordinamento presenti nella scuola: funzioni strumentali, insegnanti per il sostegno, AEC, assistenti alla comunicazione, docenti "disciplinari" con esperienza e/o formazione specifica o con compiti di coordinamento delle classi, genitori ed esperti istituzionali o esterni in regime di convenzionamento con la scuola.
Il GLI svolge funzioni interne ed esterne alla scuola, relative a tutte le problematiche riferite ai BES.

Funzioni interne:

-rilevazione dei BES presenti nella scuola;
-raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere anche in funzione di azioni di apprendimento organizzativo in rete tra scuole e/o in rapporto con azioni strategiche dell'Amministrazione;
-focus/confronto sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di gestione delle classi;
-rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola;
-raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH Operativi sulla base delle effettive esigenze;
-elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l'Inclusività riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico;
- elaborazione di una programmazione di inizio anno degli obiettivi da perseguire e delle attività da porre in essere soggetta a delibera del Collegio dei Docenti. Tale programmazione confluirà nel Piano Annuale per l'Inclusività; i risultati raggiunti saranno verificati dal Collegio al termine dell'anno scolastico.
La rilevazione, il monitoraggio e la valutazione del grado di inclusività della scuola sono finalizzate ad accrescere la consapevolezza dell'intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei "risultati" educativi. Da tali azioni si potranno inoltre desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento organizzativo e culturale. A tal fine possono essere adottati sia strumenti strutturati reperibili in rete [come l'"Index per l'inclusione" o il progetto "Quadis"], sia concordati a livello territoriale. Ci si potrà inoltre avvalere dell'approccio fondato sul modello ICF dell'OMS e dei relativi concetti di barriere e facilitatori.

Funzioni esterne:

-interfaccia della rete dei CTS e dei servizi sociali e sanitari territoriali per l'implementazione di azioni di sistema (formazione, tutoraggio, progetti di prevenzione, monitoraggio, ecc.).
Organizzazione: pur nel rispetto delle autonome scelte delle scuole, si suggerisce con una cadenza - ove possibile - almeno mensile, nei tempi e nei modi che maggiormente si confanno alla complessità interna della scuola ( in orario di servizio o in orario aggiuntivo)
La bozza di circolare del 20 settembre 2013 affida al Dirigente Scolastico il compito di valutare tempi e modi delle riunioni di inizio anno, anche sulla base di un opportuno periodo di osservazione degli alunni in entrata, utile a poter stabilire eventuali necessità di interventi nell'ottica dell'inclusione. La stessa bozza raccomanda il rispetto delle norme che tutelano la privacy e precisa che nulla è innovato sia per quanto concerne il GLHO, in quanto lo stesso riguarda il singolo alunno con certificazione di disabilità ai fini dell'integrazione scolastica, sia dal punto di vista normativo per quanto concerne il riconoscimento della disabilità ai fini dell'integrazione scolastica. Le procedure di individuazione delle condizioni di disabilità grave e di disabilità lieve - con conseguente assegnazione delle risorse professionali per il sostegno - continuano ad essere disciplinate dalla legge 104/1992 (art. 3, commi 1 e 3) e dal DPCM 185/2006.

PAI (Piano Annuale per l'Inclusività)

Secondo la C. M. n.8 del 6 marzo 2013, la proposta del PAI è da redigere al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di giugno).
La NOTA prot.1551 del 27 giugno 2013, per questa prima fase di attuazione, ha demandato ad ogni USR la definizione di tempi e modi per la restituzione del PAI.
La stessa nota afferma che scopo del PAI è fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del POF, di cui il PAI è parte integrante. Il Piano è discusso e deliberato in Collegio dei Docenti. Esso non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell'intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei "risultati" educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola "per tutti e per ciascuno". Il Piano è finalizzato all'auto-conoscenza e alla pianificazione, da sviluppare in un processo responsabile e attivo di crescita e partecipazione. Non va interpretato come un "piano formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali", ad integrazione del P.O.F. (in questo caso più che di un "piano per l'inclusione" si tratterebbe di un "piano per gli inclusi"). Non è quindi un "documento" per chi ha bisogni educativi speciali, ma è lo strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo, è lo sfondo ed il fondamento sul quale sviluppare una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni, le linee guida per un concreto impegno programmatico per l'inclusione, basato su una attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell'insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell'organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie.
Ciascun Ufficio Scolastico Regionale, nell'ambito della propria discrezionalità e sulla scorta delle esigenze emergenti nel proprio territorio di competenza, definirà tempi e modi per la restituzione dei PAI da parte delle Istituzioni scolastiche.
Resta fermo che il PAI non sostituisce le richieste di organico di sostegno delle scuole, che dovranno avvenire secondo le modalità definite da ciascun Ambito Territoriale.
La bozza di circolare del 20 settembre 2013 afferma che tale rilevazione sarà utile anche per orientare l'azione dell'Amministrazione a favore delle scuole che presentino particolari situazioni di complessità e difficoltà.

POF

Nel P.O.F. della scuola occorre che trovino esplicitazione:
-un concreto impegno programmatico per l'inclusione, basato su una attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell'insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell'organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie;
-criteri e procedure di utilizzo "funzionale" delle risorse professionali presenti, privilegiando, rispetto a una logica meramente quantitativa di distribuzione degli organici, una logica "qualitativa", sulla base di un progetto di inclusione condiviso con famiglie e servizi sociosanitari che recuperi l'aspetto "pedagogico" del percorso di apprendimento e l'ambito specifico di competenza della scuola;
-l'impegno a partecipare ad azioni di formazione e/o di prevenzione concordate a livello territoriale.

ASPETTI A LIVELLO TERRITORIALE

CTS (Centri Territoriali di supporto)


I CTS sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il MIUR mediante il Progetto "Nuove Tecnologie e Disabilità". I Centri sono collocati presso scuole polo e la loro sede coincide con quella dell'istituzione scolastica che li accoglie. Rappresentano l'interfaccia fra l'Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai BEI e svolgono le seguenti funzioni:
-informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali;
-organizzano iniziative di formazione sui temi dell'inclusione scolastica e sui BES, nonché nell'ambito delle tecnologie per l'integrazione, rivolte al personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie;
-valutano e propongono ai propri utenti soluzioni di software freeware a partire da quelli realizzati mediante l'Azione 6 del Progetto "Nuove Tecnologie e Disabilità";
-attraverso il contributo di un esperto, offrono consulenza nell'ambito della tecnologia, coadiuvando le scuole nella scelta dell'ausilio e accompagnando gli insegnanti nell'acquisizione di competenze o pratiche didattiche che ne rendano efficace l'uso anche in relazione alle attività di studio a casa in collaborazione con la famiglia. La consulenza si estende gradualmente a tutto l'ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici, non soltanto alle tematiche connesse all'uso delle nuove tecnologie;
-acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali e possono definire accordi con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio;
-raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni scolastiche e, opportunamente documentate, le condividono con le scuole del territorio di riferimento.
Ogni anno il CTS riceve i fondi dal MIUR. Altre risorse possono essere messe a disposizione dagli Uffici Scolastici Regionali.

CTI (Centri Territoriali per l'Inclusione)

I CTI, di livello distrettuale, sono affiancati dai CTS. Nel Lazio non sono attualmente presenti. Dovranno collegarsi o assorbire i preesistenti Centri Territoriali per l'integrazione Scolastica degli alunni con disabilità, i Centri di Documentazione per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità (CDH) ed i Centri Territoriali di Risorse per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità (CTRH). Svolgono la funzione di reti territoriali pe la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie, l'integrazione degli alunni con bisogni educativi speciali, la formazione permanente, la prevenzione dell'abbandono e il contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo e dei fenomeni di bullismo.

COMMENTO

Diversi punti estremamente critici emergono dall'analisi sulle nuove disposizioni in materia di BES. Questo commento sviluppa i più significativi, relativi agli aspetti scolastici , senza addentrarsi su CTS e CTI.
Il percorso individualizzato e personalizzato per gli alunni con BES
La circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013 fa riferimento alla L.53/2003 in merito all'attuazione del percorso individualizzato e personalizzato (da deliberare al Consiglio di classe, o da tutte i componenti del team docenti della scuola primaria) per alunni con BES che darebbe luogo al Piano Didattico Personalizzato.
La L.53/2003 (la cosiddetta "riforma Moratti), all'art.2 comma l, ha determinato l'osservanza di principi e criteri direttivi, tra i quali i piani di studio personalizzati che hanno trovato il loro espletamento nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzato, in allegato al D.Lgs n. 59/2004.
A questo punto, è bene chiarire i concetti di "individualizzazione" e di "personalizzazione".
G.Domenici e L.Chiappetta Cajola, in Organizzazione didattica e valutazione, operano questa distinzione:
• individualizzazione, cioè l'insieme di strategie didattiche finalizzate al raggiungimento degli stessi obiettivi di apprendimento per tutti gli allievi, ma con tempi e modalità differenti. L'adattabilità dell'insegnamento presuppone il passaggio dal metodo (modo di procedere razionalizzato caratterizzato da riproducibilità che presenta dei vincoli) alla strategia (ideazione e costruzione di procedure differenziate in rapporto alle caratteristiche individuali). Ne deriva la flessibilità della proposta didattica in cui le procedure di adattamento si evincono dalla situazione concreta mediante l'osservazione sistematica, e non a priori. È l'insegnante ad adattare il proprio insegnamento alle esigenze formative dell'alunno e non viceversa;
• personalizzazione, concetto che risulta variamente interpretato (dall'umanesimo integrale della pedagogia personalista ai sistemi di istruzione personalizzata di stampo statunitense).
Linea conservatrice: oppone la personalizzazione all'individualizzazione; personalizzare un percorso significa adattare i traguardi dell'istruzione alla previsione di successo formulata per ciascun allievo. Si afferma la concezione deterministica della relazione tra caratteristiche personali e livello degli apprendimenti. Ad un alunno in difficoltà sarà ridotto il livello di attesa, senza preoccuparsi di esplorare le cause delle difficoltà.
Linea di stampo statunitense: insieme di strategie didattiche mediante le quali ciascun allievo può raggiungere una propria eccellenza cognitiva secondo le personali capacità e potenzialità, e con la sua diretta partecipazione alla costruzione del proprio percorso formativo, in cui gli obiettivi possono essere diversi da quelli degli altri.
Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzato avevano interpretato il concetto di "personalizzazione" secondo l'accezione più conservatrice: l'aver cassato il termine "uguaglianza", l'aver soppresso il diritto alla prestazione individualizzata e centrato le Indicazioni sulla "personalizzazione" degli insegnamenti/apprendimenti, per sviluppare i talenti personali grazie alla diversificazione degli obiettivi, aveva determinato la cancellazione della scuola delle pari opportunità formative.
Secondo l'analisi compiuta da Massimo Baldacci e Franco Frabboni, "la valorizzazione della diversità delle potenzialità individuali senza la parallela cura dell'uguaglianza rispetto alla padronanza delle competenze fondamentali corre il pericolo di dare luogo a forma di diseguaglianza degli esiti formativi che si tradurrebbero fatalmente in una disparità delle chance di vita - in cui- le diversità rischiano di convertirsi in disuguaglianze ".
La domanda sorge spontanea: come si coniuga il concetto di "inclusione" con quello di "personalizzazione" se quest'ultimo viene interpretato alla luce della L.53/2003, e pertanto delle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzato (superate, tra l'altro, dalle Indicazioni nazionali per il curricolo), il cui impianto è portatore di forti disuguaglianze formative?
Cosa si intende con il termine "inclusione"?
F.Dovigo, nell'introduzione all'Index per l'inclusione , opera una differenziazione tra "integrazione" e "inclusione". Scrive: "in questi anni, il vocabolo «inclusione» ha cominciato gradualmente a sostituire nei documenti e nei discorsi formali e informali
quello tradizionale di «integrazione». [...] le due espressioni rimandano a due scenari educativi molto diversi.[...] L'idea di integrazione muove infatti dalla premessa che è necessario fare spazio all'alunno disabile all'interno del contesto scolastico. [...] alla base di tale prospettiva rimane un'interpretazione della disabilità come problema di una minoranza, a cui occorre dare opportunità uguali (o quanto meno il più possibile analoghe) a quelle degli altri alunni. Il paradigma a cui fa implicitamente riferimento l'idea di integrazione è quello «assimilazionista», fondato sull'adattamento dell'alunno disabile a un'organizzazione scolastica che è strutturata fondamentalmente in funzione degli alunni «normali», e in cui la progettazione per gli alunni «speciali» svolge ancora un ruolo marginale o residuale. All'interno di tale paradigma, l'integrazione diviene un processo basato principalmente su strategie per
portare l'alunno disabile a essere quanto più possibile simile agli altri. Il successo dell'appartenenza viene misurato a partire dal grado di normalizzazione raggiunto dell'alunno. La qualità di vita scolastica del soggetto disabile viene dunque valutata in base alla sua capacità di colmare il varco che lo separa dagli alunni normali. Ora, non solo è improbabile che questo varco possa essere effettivamente colmato (con il carico di frustrazione che da ciò inevitabilmente deriva), ma soprattutto è l'idea stessa che compito del disabile sia diventare il più possibile simile a una persona normale a creare il presupposto dell'esclusione. Porre la normalità (qualunque cosa essa sia) come modello di riferimento significa infatti negare le differenze in nome di un ideale di uniformità e omogeneità [...].Viceversa l'idea di inclusione si basa non sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti. Se l'integrazione tende a identificare uno stato, una condizione, l'inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell'accettazione, ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni - a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale - possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola".
L'Index per l'inclusione è uno degli strumenti che la circolare ministeriale n.8/2013 indica ai fini della rilevazione, del monitoraggio e della valutazione del grado di inclusività della scuola. Lo stesso Index, però, come viene spiegato da F.Dovigo, presenta un'impostazione epistemologica che tende al "graduale superamento della nozione di Bisogni Educativi Speciali. Secondo Booth e Ainscow - gli autori dell'Index per l'inclusone- parlare di alunni con Bisogni Educativi Speciali rappresenta il primo passo di un processo che conduce all'etichettatura di alcuni alunni, e conseguentemente a un'implicita riduzione delle attese educative nei loro confronti: se il punto di partenza sono i limiti, diviene difficile pensare per potenzialità, e tenere presente che queste sono potenzialmente illimitate".
Risulta evidente che ci troviamo di fronte ad un altro punto estremamente critico delle nuove disposizioni in materia di bisogni educativi speciali. Se la scuola assume come proprio il modello sociale dell'Index, che tra i suoi concetti chiave reca quello della rimozione degli ostacoli alla partecipazione e all'apprendimento, allora, come lo stesso Index precisa, occorre abbandonare il riferimento ai BES e ritenere che la disabilità e lo svantaggio non siano dentro il bambino, ma siano il prodotto del contesto culturale.
Le nuove disposizioni sono, invece, centrate sulla rilevazione e sull'intervento per gli alunni con BES collocati all'interno di una politica scolastica che, attraverso il Piano Annuale per l'Inclusione (da non interpretare, secondo la Nota prot.1551 del 27 giugno 2013, come un piano formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali, poiché in questo caso più che di un "piano per l'inclusione" si tratterebbe di un "piano per gli inclusi"), dovrebbe progettare un'offerta formativa in senso inclusivo, sviluppare una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nella realizzazione di obiettivi comuni e di linee guida per un concreto impegno programmatico per l'inclusione per la creazione di un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola "per tutti e per ciascuno". Quindi, se da una parte si centra il lavoro ragionando per casi, dall'altra si cerca di correggere il tiro enfatizzando un'inclusione per tutti che appare più un proclama che una reale intenzione. Si dimentica, infatti, che i bisogni del singolo andrebbero ricollocati nel quadro più ampio della pluralità delle differenze presenti in ogni contesto scolastico e il concetto di "inclusione" rimane in queste nuove disposizioni privo di alcun fondamento pratico e teorico. L'ambiguità attraverso la quale si vorrebbe realizzare il processo di inclusione nella scuola emerge anche nel modello ufficiale di PAI proposto a titolo esemplificativo dal MIUR che è già stato adottato pedissequamente dalle scuole. Il modello, acquisito a Roma durante la conferenza di servizio del 6 maggio 2013, a differenza di quanto indicato dalla Nota prot.1551 del 27 giugno 2013, si presenta come un mero adempimento burocratico atto a rilevare innanzitutto i BES presenti nella scuola. La sua impostazione e struttura, infatti, non lo caratterizza quale reale strumento progettuale in senso inclusivo, sfondo e fondamento sul quale sviluppare una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni, le linee guida per un concreto impegno programmatico per l'inclusione, contraddicendo così ciò che viene chiesto dalla suddetta Nota.
Riduzione dell'organico di sostegno
Ritengo che la centralità data ai BES apra la questione riguardo l'intento delle nuove disposizioni di riduzione dell'organico di sostegno nelle scuole.
Diversi punti confermerebbero questa ipotesi:

1. l'estensione dei compiti del Gruppo di Lavoro per l'handicap d'Istituto (GLHI) alle problematiche relative a tutti i BES attraverso l'istituzione del Gruppo di Lavoro di Inclusione (GLI). Non è un caso che si parli di "estensione", poiché una direttiva ministeriale non può cancellare un organo previsto da una legge (art. 15, L.104/92). Di fatto, in una situazione di siffatta ambiguità, nelle scuole il GLI sta sostituendo il GLHI assumendone ogni prerogativa. È necessario considerare che il GLHI ha tra i suoi compiti sia quello di esprimersi in merito alla richiesta di ore di sostegno da avanzare al competente USR, sia quello di determinare i criteri di ripartizione ed eventuale adattamento delle esigenze della scuola dell'assegnazione di ore di sostegno agli alunni nel rispetto delle proposte avanzate all'USR. Il rischio è quello che il gruppo di lavoro possa dare improprie interpretazioni riguardo alla seconda sotto-categoria di BES (disturbi evolutivi specifici), anche per le elefantiache prerogative del gruppo stesso. Il gruppo, per esempio, potrebbe dare per assodato che i quadri diagnostici dei vari deficit compresi nella seconda sotto-categoria non diano diritto all'insegnante di sostegno, senza approfondire con la famiglia dell'alunno se questi possano essere certificati ai sensi dell'art. 3, commi 1 o 3 della Legge 104/92;
2. la seconda sotto-categoria dei disturbi evolutivi specifici. In stretto collegamento con il punto 1, si pone l'esempio del "funzionamento intellettivo limite" (FIL) - o Borderline cognitivo - che viene descritto dalla Direttiva del 27 dicembre 2012 come un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico, ma che comunque viene inserito nella seconda sotto-categoria di BES dei disturbi evolutivi specifici e cioè tra quelli che non vengono o possono non venir certificati ai sensi della legge 104/92 non dando diritto all'insegnante di sostegno (Direttiva del 27 dicembre 2012). Se nel caso di disabilità grave non ci sono dubbi circa l'assegnazione della risorsa di sostegno, il problema si pone negli altri casi di disabilità. Il FIL costituisce il caso emblematico in cui si potrà facilmente passare da una condizione di disabilità con diritto all'insegnante di sostegno ad una senza;
3. estensione delle misure previste dalla Legge 170/10, Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, a tutti gli alunni con disturbi evolutivi specifici (seconda sotto-categoria). La Direttiva del 27 dicembre 2012 recita infatti: è bene precisare che alcune tipologie di disturbi, non esplicitati nella legge 170/2010, danno diritto ad usufruire delle stesse misure ivi previste in quanto presentano problematiche specifiche in presenza di competenze intellettive nella norma. Si tratta, in particolare, dei disturbi con specifiche problematiche nell'area del linguaggio (disturbi specifici del linguaggio o - più in generale- presenza di bassa intelligenza verbale associata ad alta intelligenza non verbale) o, al contrario, nelle aree non verbali (come nel caso del disturbo della coordinazione motoria, della disprassia, del disturbo non-verbale o - più in generale - di bassa intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale, qualora però queste condizioni compromettano sostanzialmente la realizzazione delle potenzialità dell'alunno) o di altre problematiche severe che possono compromettere il percorso scolastico (come per es. un disturbo dello spettro autistico lieve, qualora non rientri nelle casistiche previste dalla legge 104). In sostanza, per tutti gli alunni con disturbi evolutivi specifici non rientranti nelle casistiche previste dalla L.104/92, si prevede l'applicazione delle misure previste dalla L.170/2010 e, in tal modo, si esclude l'assegnazione dell'insegnante di sostegno;
4. il rapporto "Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte" di Associazione Treelle - Caritas - Fondazione Agnelli, edito da Erickson nel giugno del 2011. Esiste una stretta corrispondenza tra questo rapporto e la nuova normativa scolastica in materia di inclusione. Prima di tutto vi è il riferimento comune alla classificazione dei BES nelle 3 sotto-categorie (alunni con disabilità, alunni con difficoltà di apprendimento, alunni in situazione di svantaggio) operata dall'OCSE. Si tratta di cosa di non poco conto, visto che la classificazione costituisce anche un indicatore circa l'attribuzione dell'insegnante di sostegno. Il rapporto compie un bilancio sulle politiche inclusive della scuola italiana analizzando in quale misura abbiano funzionato, quale sia stata la coerenza della pratica con i principi, quali siano le finalità raggiunte e quale sia il rapporto costi/benefici. In relazione al sostegno, il rapporto delinea delle criticità in cui il modello italiano di integrazione risulterebbe di buoni principi, ma poco trasparente e poco intelligente:
- allargamento strisciante rispetto a quanto previsto dalla Legge 104/92, in quanto la certificazione di disabilità sarebbe talvolta riconosciuta anche ad alunni che a rigore disabili non sono, ma che presentano altri tipi di difficoltà o svantaggio (poco trasparente);
- il rigido binomio alunno con disabilità certificata + insegnante di sostegno (poco intelligente);
- la mancata corresponsabilizzazione degli insegnanti curricolari i quali tenderebbero a delegare all'insegnante di sostegno.
Per rendere più trasparente e intelligente il modello italiano di integrazione, il rapporto propone che:
- il progetto educativo debba essere funzionale alle diverse tipologie di BES, prevedendo anche insegnanti e personale ad alta specializzazione;
- venga mantenuto l'attuale livello di risorse con nuova modalità di utilizzazione (risorse umane, tecnologie, servizi vari, tempi extrascolastici);
- vengano abbandonate le rigide procedure che riducono l'integrazione a una meccanicistica attribuzione di insegnante/ore di sostegno;
- venga garantita la piena corresponsabilizzazione di tutti i docenti in quanto la qualità dell'integrazione si fa con la didattica individualizzata quotidiana da parte di tutti gli insegnanti, non con la delega all'insegnante di sostegno;
- venga valorizzata l'autonomia gestionale e organizzativa delle scuole.
Fin qui le nuove disposizioni scolastiche sembrano ricalcare in modo fedele il rapporto "Treelle, Caritas, Fondazione Agnelli" che prosegue con ulteriori proposte finalizzate alla scomparsa dell'insegnante di sostegno:
- attivazione a livello territoriale di nuovi Centri Risorse per l'Integrazione (CRI) diretti da un dirigente responsabile e costituito da insegnanti e personale ad alta specializzazione (stabili nel loro ruolo, a tempo pieno, senza impegni di lavoro didattico diretto, che svolgono consulenza tecnica e formazione per le scuole, con le conseguenti revisioni normative e contrattuali che si rendessero necessarie), in una fase transitoria dagli attuali insegnanti di sostegno, e da personale ATA selezionato per assistenza all'integrazione. Scopo dei CRI è quello di svolgere un servizio di "sportello unico" per gli alunni con disabilità e le loro famiglie, assistendoli nei vari momenti di vita e integrazione e di attivare un sistema di politiche premiali a favore delle scuole che realizzano pratiche di integrazione efficaci ed efficienti caratterizzate da innovatività e riproducibilità, cioè quelle che sapranno utilizzare meglio le risorse umane e materiali presenti, "risparmiando" richieste di organico aggiuntivo (ex insegnanti di sostegno);
- passaggio graduale degli insegnanti di sostegno all'organico normale delle scuole;
- preparazione di base in pedagogia e didattica speciale nella formazione di tutti gli insegnanti;
- certificazione ASL efficace solo per le provvidenze (agevolazioni, sussidi, assistenza ecc.), ma non per i suoi effetti scolastici;
- lettura dei bisogni di integrazione e progettazione di interventi ("Piano educativo individualizzato- Progetto di vita", in sostituzione della diagnosi funzionale e del profilo dinamico funzionale) svolte dalle scuole autonome in concertazione con il CRI e non dalle ASL.
È evidente, vista la natura stravolgente di tali proposte, che queste non avrebbero potuto essere introdotte con una direttiva e delle circolari. La loro introduzione nel sistema scolastico richiederebbe infatti una significativa modifica della normativa vigente, a partire dalla L.104/92, e delle norme contrattuali di insegnanti e operatori delle ASL. Si tratterebbe, comunque, di un processo che realisticamente potrebbe essere concluso in tempi non troppo lunghi.
Il grande interrogativo che sorge di fronte a tali proposte è su come si possa solamente immaginare che un insegnante, anche in possesso di ottime competenze in pedagogia e didattica speciale, possa far fronte alle esigenze formative dell'alunno disabile e di ogni altro suo alunno se si troverà a svolgere da solo le diverse attività educativo-didattiche.
Estensione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi agli alunni in situazione di svantaggio socio-economico, linguistico, culturale
L'estensione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi previsti dalla Legge 170/10 apre un'altra questione di rilievo. È necessario precisare che tale indicazione non è rivolta solamente a tutti gli alunni con disturbi evolutivi specifici, ma anche agli alunni in situazione di svantaggio socio-economico, linguistico, culturale. Infatti, la circolare ministeriale n.8/2013 recita testualmente che per questi alunni, e in particolare per coloro che sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana - per esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione e, in specie, coloro che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell'ultimo anno - è parimenti possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati, oltre che adottare strumenti compensativi e misure dispensative. In pratica, per tutti gli alunni privi di certificazione di disabilità, individuati come BES dal Consiglio di classe o, nelle scuole primarie, da tutti i componenti del team docenti, gli insegnanti curricolari dovranno elaborare un Piano Didattico Personalizzato in cui si potranno/dovranno adottare misure dispensative e strumenti compensativi. Ci si domanda su quali basi e criteri l'adozione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste per gli alunni con DSA possano, per esempio, rispondere anche alle esigenze formative di alunni con ADHD (Disturbo di Attenzione con Iperattività) o di alunni in situazione di svantaggio socio-economico. Una siffatta generalizzazione può, invece, comportare l'attivazione di interventi didattici inappropriati che, anche se a carattere provvisorio, potrebbero determinare degli ostacoli al processo di insegnamento-apprendimento, oltre che fenomeni quali il pregiudizio e lo stigma sociale.
Individuazione dei BES appartenenti all'area dello svantaggio socioeconomico
Un altro importante elemento di criticità delle nuove disposizioni è relativa all'individuazione dei BES appartenenti all'area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale, che secondo la circolare ministeriale n.8/2013, dovrà essere effettuata sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Si chiede cioè agli insegnanti di circoscrivere alunni privi di certificazione diagnostica all'interno della categoria di alunni con BES per destinare loro un Piano Didattico Personalizzato attraverso una sorta di attestazione "fai da te" . Nella sua premessa, la Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 evidenzia l'opportunità di assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l'identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta e individua nel modello ICF il documento attraverso il quale individuare i bisogni educativi speciali dell'alunno. Il prof. Dario Ianes, docente di Pedagogia Speciale e Didattica speciale presso la facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell' Università di Bolzano, nonché fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson di Trento, definisce il Bisogno Educativo Speciale come qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o apprenditivo, espressa in un funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell'Organizzazione Mondiale della Sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall'eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata . Il dichiarato intento di superare la logica della certificazione, si traduce dunque nel riconoscimento di una difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o apprenditivo, che si esprima in un funzionamento (stato di salute) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale con riferimento al modello ICF.
L'ICF (International Classification of Functioning Disability and Health) è una classificazione elaborata nel 2001 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità volta al superamento delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH) in cui si è dato ampio spazio alla descrizione delle malattie dell'individuo secondo la logica sequenziale:
"malattia, infortunio o malformazione menomazione (danno organico disabilità (perdita di capacità operative) handicap (svantaggio sociale)".
L'ICF, anziché classificare le conseguenze delle malattie, classifica le "componenti della salute" e definisce la disabilità, non come assenza della salute in una minoranza di persone, ma come conseguenza o risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l'individuo. La disabilità viene interpretata non più come un problema che riguarda solo un gruppo di persone, ma come una condizione che a ciascuno può capitare sperimentandola in qualsiasi momento nel corso della propria vita. Nell'ICF vengono classificate la salute e gli stati ad essa correlati in riferimento alla qualità della vita delle persone in un'integrazione tra la dimensione medica e quella sociale della disabilità in cui i disturbi vengono rapportati a uno stato considerato di salute. Si passa da un modello sequenziale a un modello reticolare in cui viene effettuata una catalogazione sistematica dei fattori ambientali, in cui la disabilità assume il valore di una condizione di salute in un ambiente sfavorevole .
Dopo questi necessari chiarimenti, è possibile affermare inequivocabilmente che gli alunni in situazione di svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale NON possono in alcun modo essere individuati come alunni con BES, visto che NON sono classificabili attraverso il modello ICF poiché NON rientrano nella dimensione medica della disabilità. Ci si chiede con quanta superficialità sia stato possibile affermare che per individuare un BES ci si possa basare su elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche! E ancora quale possa esserne il fondamento psicopedagogico! Se il punto di partenza e di arrivo è l'inclusione scolastica, allora le differenze tra gli alunni dovrebbero costituire una risorsa per promuovere l'apprendimento di ognuno e non un problema da risolvere. La definizione degli obiettivi e l'organizzazione dell'attività didattica dovrebbero cioè avere come riferimento le differenze e non l'alunno medio, affinché il processo di insegnamento-apprendimento sia sviluppato con in mente le capacità di apprendimento e le eventuali difficoltà di tutti gli alunni. In caso contrario si creerebbe il presupposto dell'esclusione. Si ribadisce che l'Index per l'inclusione sostiene che l'idea che le difficoltà educative possano essere affrontate individuando alunni con bisogni educativi speciali appare assai problematica, in quanto impone un'etichetta che può condurre a una diminuzione delle aspettative nei confronti di tali alunni e che, al tempo stesso, tale visione distoglie l'attenzione dalle difficoltà che incontrano anche gli alunni "normali" e dai problemi che possono insorgere a partire dalle relazioni, dalle culture, dai curricoli, dagli approcci all'insegnamento e all'apprendimento, dall'organizzazione della scuola e dalle politiche educative.
Una vera attenzione verso l'inclusione scolastica dovrebbe, dunque, evitare la creazione di categorie e sotto-categorie etichettanti e avviare una profonda riflessione sulle tematiche educativo-didattiche, sugli stili d'insegnamento, sulle scelte metodologiche, sulla gestione della relazione educativa, sullo sviluppo dell'intelligenza emotiva, sugli approcci curricolari.
A questo va aggiunto che le nuove disposizioni in materia di BES definiscono come necessaria l'attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato per ogni alunno con bisogni educativi speciali senza, peraltro, fornire alcuna concreta indicazione metodologico-didattica e ignorando completamente i tanti disagi che la scuola pubblica statale sta soffrendo da anni, determinati dai "tagli" all'organico, dalla cancellazione della compresenza e del Tempo Pieno, dall'aumento del numero degli alunni per classe, dalle esigue risorse per la formazione e dalle quotidiane divisioni di alunni in altre classi per la mancata nomina dei supplenti, solo per citarne alcuni.
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