Masaccio, addio!
Gianfranco Pignatelli - 28-08-2013
Insegno storia dell'arte. Ma non solo. Ai miei alunni ricordo sempre di essere innanzitutto un educatore. Prospetto l'arte passata sottolineando gli agganci col presente e gli spunti edificanti. Un esempio? A Firenze, nella chiesa del Carmine, c'è la Cappella Brancacci, dedicata a Felice, imprenditore, come si direbbe oggi, prestato alla politica. Felice Brancacci, in pieno umanesimo, si autocelebra identificandosi in s. Pietro. Il ciclo figurativo, magistralmente dipinto da Masaccio, è ispirato agli Atti degli apostoli e alla attualità politica dell'epoca. Tra i tanti episodi, uno, il Tributo della moneta, vede Cristo col suo seguito avvicinato da un gabelliere che richiede la tassa necessaria per poter accedere alla città della quale si scorge la porta.

La pittura è arte muta, e si sa. Ma Masaccio la rende eloquente. Alla richiesta, Cristo risponde con l'intimazione a s. Pietro perché corrisponda, attraverso un miracolo, il dovuto all'esattore. L'episodio si conclude assecondando il passo evangelico, attribuito a Gesù e variamente interpretato. E' il monito laico per l'obbedienza di tutti ai doveri civili: date a Cesare ciò che è di Cesare e date a Dio ciò che è di Dio. L'opera, da sempre, mi fornisce il pretesto per spiegare ai miei alunni che il pagamento delle tasse è un dovere civile al quale nessuno può sottrarsi, anche se questo - ironicamente - esige un "miracolo".

L'imprenditore, prestato alla politica, Felice Brancacci, che aveva a cuore la res publica e l'equità sociale, introdusse nella Firenze quattrocentesca il catasto. L'istituto - racconto ai miei alunni - che censisce, ancora oggi, il patrimonio di ciascuno perché il carico fiscale sia distribuito, secondo buon senso, in modo che chi più ha, più dà. In conclusione chiarisco che il prelievo fiscale non equivale a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, ma serve a garantire, ai cittadini stessi, istruzione, sanità e tutti quei servizi sociali che identifichiamo come welfare. Sottrarsi al pagamento delle tasse, è un furto ai danni di chi deve curarsi, istruirsi, circolare, proteggersi e, perché no, anche amministrare. Perché la politica, intesa come servizio e amministrazione della cosa pubblica, ha un costo. Chi svolge questo servizio deve essere capace, saggio, onesto ed equo. E' a questo punto che, sempre, colgo qualche sorrisino e tanto tanto scetticismo. Ma qui entra in campo l'educatore. Dico ai miei ragazzi che, sebbene sembri una pretesa utopica, occorre credere che ciò si debba e si possa ottenere. Da laico, com'era probamente anche nei propositi di Brancaccio e Masaccio, impiego Cristo - non appaia blasfemo - come testimonial per la promozione del catasto, della equità fiscale e del dovere di corrispondere il dovuto per il bene comune.

Ora che dal periodo feriale usciamo con un senatore-imprenditore, ex premier, condannato in via definitiva per frode fiscale, che pretende di governare ancora attraverso un provvedimento ad personam o una amnistia "svuota carceri", nonostante non sia in carcere e non ci andrà mai, dovrò eliminare Masaccio dal programma del prossimo anno scolastico. Dopo l'imbarazzo nel giustificare alle mie studentesse minorenni la pretesa impunità di un "utilizzatore finale", avrei difficoltà a spiegare a tutti i miei alunni - magari figli di esodati, precari e disoccupati - che la giustizia è ancora uguale per tutti e, per buon senso, chi più ha, più dà.

Infine, per un istante, penso al povero Masaccio. Lo immagino costretto a celebrare il Brancaccio di oggi, costretto a ispirarsi all'agibilità, neologismo politico-penale, sinonimo di impunità. Con la sua arte muta, conoscendolo, renderebbe eloquente il tutto facendo un "quadro nero". Nero e vero.

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