Da Umanità Nova n. 1 del 13 gennaio 2013.
Taranto dopo il decreto salvaprofitti: due modelli produttivi a confronto.
Quello "post sovietico" al quale fa, implicitamente riferimento il governo, o quello autogestionario sotto il controllo diretto dei lavoratori e dei cittadini?
A oltre mezzo di secolo di distanza da quel progetto industriale che ha condannato Taranto e provincia ad uno sfruttamento industriale così drammaticamente "eco insostenibile" è opportuno elencare quali sono state le, inevitabili e, in taluni casi, irreversibili conseguenze. In primis è opportuno chiarire che il riscatto sociale ed ambientale tarantino non ha come unica causa scatenante la presenza della più grossa acciaieria d'Europa. Sull'intera area jonica persiste non solo la più grande produzione dell'acciaio italiano ma anche la raffineria dell'Eni, ingenti produzioni di cemento affidate alla Cementir, ben 4 inceneritori, le tre maggiori discariche d'Europa per i rifiuti speciali gestite specificatamente dall'Italcave, dall'Ecolevante e dalla Vergine. Per non parlare, ovviamente, delle reiterate proposte (anche legislative) per l'introduzione di nuovi rigassificatori, di trivellazioni petrolifere sul mare antistante la costa jonica, l'invadente presenza dell'Arsenale e della Marina militare.
Tutto questo dà il senso di come l'intera provincia jonica sia stata da tempo "commissariata" - in nome del profitto - relegata a ruolo di pattumiera industriale del terzo millennio. Ovviamente, oltre mezzo secolo di industrializzazione pesante con canoni propri ad una "democrazia popolare" di tipo sovietico piuttosto che rispondenti a standard occidentali, non solo hanno sottratto ingenti risorse (umane e sociali) ad altri settori ma - depauperando e modificando l'ecosistema originario - hanno strangolato l'economia autoctona modificando i primati tarantini del vino, olio e prodotti caseari ed ittici in quelli di primatista europea di diossina e discariche per rifiuti tossici pudicamente ribattezzati con un neologismo di stampo orwelliano in ... "speciali". I risultati di questa politica economica basata unicamente sul fattore profitto sono evidenziati dai dati resi noti dalla magistratura.
La perizia della Procura della Repubblica che ha portato ad arresti eccellenti ed al sequestro preventivo degli impianti ILVA, infatti, attesta (solo fra gli operai ILVA) un eccesso di mortalità per tumore allo stomaco (107%), alla pleura (71%), alla vescica (69%), alla prostata (50%). Per malattie non tumorali, registra un eccesso di malattie neurologiche (64%) e cardiache (14%). Fra gli impiegati vi sono eccessi di mortalità per tumore alla pleura (135%) e dell'encefalo (111%). I periti traggono queste conclusioni: "Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai dell'industria siderurgica è confermato dall'analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie".
Va da sé che proprio questo sistema socioeconomico al quale non sono estranee pesanti connivenze sociali e sindacali non può più essere considerato il punto di riferimento dal quale partire per la risoluzione della "questione" Taranto. "C'è un meschino disegno portato avanti lucidamente da politica e sindacato" - denuncia lucidamente Cataldo Ranieri - "ovvero quella "linea di pensiero" che invita i lavoratori a tenersi ben strette le fabbriche inquinanti e difenderle in quanto unica fonte ed insostituibile fonte di reddito".
La spaccatura nel mondo del lavoro - su questo punto specifico - è grave e profonda come evidenziato nella manifestazione del 15 dicembre scorso: da una parte i lavoratori ILVA promotori dell'evento che sono scesi in piazza con la gente a gridare le ragioni di una città intera e dall'altra del tutto indifferenti coloro che, forse perché subiscono in maniera forte il ricatto del lavoro oppure perché neanche sfiorati dai problemi della città e dei suoi abitanti, magari perché abitano altrove. Il 2 agosto scorso è stato sicuramente il momento tangibile della frattura con la rappresentanza sindacale. Conseguentemente la manifestazione del 15 dicembre ha registrato l'assenza del mondo sindacale, che, come precisato da molti manifestanti, "
hanno fatto bene a non venire, perché probabilmente sarebbero stati cacciati dagli stessi lavoratori".
La frattura tra "società civile" e politicanti, partiti e sindacalisti è evidente così come chiara appare la rappresentazione dell'agire politico nell'immediato: delegittimazione di questi, impresentabili, soggetti mediante lo "strappo" (testuale come riportato in un documento) delle tessere elettorali, partitiche e sindacali che vanno "incalzati" dal movimento il cui obiettivo è la gestione diretta dell'ambiente e del territorio.
Tra le tante vicende oscure di cui è diventato protagonista, accenniamo a quella riportata in un articolo de Linkiesta che ha visto scorrere tanti soldi dalla proprietà dell'Ilva al circolo Vaccarella (che gestiva il dopolavoro dell'Italsider), diventato Onlus nel 1996, con l'attuale presidente Donato Stefanelli che, incidentalmente, è anche il segretario generale della Fiom Cgil di Taranto.
Emblematicamente conflittuali e stridenti con la realtà le sue allusioni a un «sindacato che citazione testuale "deve fare il suo mestiere. Stare con i lavoratori. Non fare il gestore di masserie sulla base di accordi di cessione, piegandosi a vecchie logiche da "socialismo reale", eredità scomoda delle Partecipazioni statali. Noi non dobbiamo gestire proprio nulla" aggiungendo - come contrappunto a quella che parrebbe una, timida, autocritica - che chi non condivide il suo genere di "contrattazioni a perdere" si fa portavoce di "atti di violenza", non accettando il "dialogo democratico". E', insomma, solo la maggioranza (o presunta tale) che decide per il sindacalista/presidente di masseria ... con buona pace dei contestatori del 2 agosto scorso.
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=ztcNIBN96hw&feature=share[/youtube]
Forse vale la pena ricordare che - fin dall'epoca di Italsider, il circolo Vaccarella gestiva una masseria con palestra, ristorante e circolo del tennis. Con l'avvento del privato, Ilva ha generosamente finanziato il sindacato (attraverso il Circolo) con fiori fior di miliardi (delle vecchie lire), presumibilmente per continuare a gestire le attività dopolavorative degli operai.
Nel primo, secondo, terzo, quarto e quinto anno rispettivamente con 1,4 miliardi, 1,3 miliardi, 1,2 miliardi, 1,1 miliardi, 1 miliardi; dal sesto anno e per ogni anno 850 milioni. Finora la proprietà ha investito in "relazioni sindacali" la fantasmagorica cifra di una decina di milioni di euro circa.
Sul "Verbale di intesa" siglato il 7 febbraio 19996 tra azienda e sindacati - pubblicata a cura del Comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti - sono descritte le intese e le somme. In 16 anni di gestione, il sindacato non ha mai organizzato nulla per la tutela reale dei lavoratori intascando, in cambio, cifre da capogiro.
Lascio ai lettori la, logica, considerazione finale sul ruolo e capacità di inibizione sociale di un sindacato legato a filo doppio alla logica del profitto. Ad ogni costo.
Pasquale Piergiovanni