Groviera
Emanuela Cerutti - 15-12-2012
Mariangela non sa se ridere o piangere.
- Resto di certo fino a Natale.
Terza fascia, posizione non ottimale nella classifica precaria, è arrivata a novembre in una scuola impensata, e le è piaciuta.
Ripete:
- Potessi non me ne andrei.
Ma è sufficientemente realista per non farsi illusioni.
- Fino all'avente diritto. Poi usciranno le benedette graduatorie definitive e sarà quel che sarà.
Mariangela non ci pensa. Lavora come se quella fosse la sua sede fino a giugno, e prepara, prepara. Dai muri sottili giunge la sua voce che ride e fa ridere, mentre insiste su forme grammaticali complicate.
- Dunque secondo te io sono una borsa??
- No, tu sei Maria!!
Verbi che si affollano nelle menti di studenti poco abituati a differenze tra to be e to have, ma che cercano strade nella foresta linguistica.
Lei osserva, studia, chiede, prova e riprova.
Costruisce con gli studenti quel patto che nasce solo nel tempo lungo della conoscenza reciproca, nelle ore spese a fare e rifare scommesse.
La scuola è bella perchè ogni giorno è una scommessa, dice.

- Resto di certo fino a Natale. Hanno sbagliato le graduatorie. Non si sa perchè. Le segreterie non chiamano più, almeno per ora. Tutto bloccato.
E chi la telefonata di benservito l'aveva già avuta? Chi ha già perso un posto forse per errore?
Fino a prova contraria, fino a quel momento l'errore non c'era.
Lapalissiano.

Nel patto tra un docente e uno studente c'è la lealtà: io sono qui ora, poi non so.
Ai mille perchè non si risponde.
E' difficile dare risposte a domande semplici.

Mariangela ride, perchè riuscirà a fare gli auguri ai suoi studenti e magari, pur nel tempo troppo breve, persino a collocare nelle loro teste qualche sicurezza sintattica in più. Eppure si fa seria quando ragiona sulla qualità buttata al vento, sullo spreco di forze e risorse, sulla frammentarietà disuguale eretta a sistema, sui bugs a raffica dello stesso sistema che si vorrebbe granitico, ma è un groviera.

- Sai, è come nei quiz, quelli del concorso di lunedì. Non c'è verifica di percorsi, valutazione di processi, rispetto dei tempi individuali. C'è il caso, travestito da Q.I.

Auguri, Mariangela, di cuore. E grazie per la freschezza, il coraggio e la passione che chi si crede ben ancorato e lontano dalla tempesta non ha forse più.

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 Antonia Zampolla    - 16-12-2012
Sono una insegnante di scuola dell'infanzia in pensione dal dicembre 2010 con quaranta anni di servizio, una delle poche che è riuscita ad andarci. Ho letto l'articolo, mi sento triste, desolata, arrabbiata e impotente, sia per le/i giovani che per tante/i colleghe/ghi che devono rimanere al lavoro nonostante abbiano già i quaranta anni di servizio. Il nostro lavoro è più, è una vocazione, è una scommessa continua come avete scritto nell'articolo, in tantissime occasioni non viene valutato, considerato, viene dato per scontato, in molti non capiscono la particolarità, la peculiarità ed infine in questa ultima epoca di crisi economica, di caos dei valori, della politica, di disorientamenti in ogni campo, vengono tolti diritti, dignità, precarietà e chi più ne ha più ne metta.