Farsi altrove e passeggiare
Claudia Fanti - 02-11-2012
(per una "prima scuola" dei se e dei ma)

Prendo spunto dall'articolo di Lodoli "Quell'altrove culturale dove vivono gli studenti "

La mia percezione di maestra è diversa dalla sua. I bambini e le bambine mi paiono proprio essere collettori genetici della "nostra storia". Esattamente così, purchè non vengano lasciati soli nel mondo dei messaggi mordi e fuggi. Ho scritto più volte che, al di là dei facili sociologismi, il mondo degli adulti "anziani" dovrebbe sforzarsi di andare.

Non basta soffermarsi su ciò che si "vede" nelle relazioni e nei comportamenti di superficie quotidiani del mondo giovanile, non basta. Non si può come educatori-insegnanti non lottare in modo esplicito, nero su bianco, contro schede, test, analisi formali del testo, grammatica in pillole esplicite, accumulo di informazioni. E non lo si deve fare soprattutto nella scuola primaria: qui si dà il la al modo di rapportarsi al sapere e alla ricerca personale.

Anzi, l'"arte" della comunicazione orale va ripresa fin dalla più tenera età e cioè dalla scuola dell'infanzia, e va ripresa ridando sommo valore alla conversazione prima della matita e della penna, senza super produzione di oggetti (vedi quaderni, schede, cartelloni, file, o che so io)...

Entrare in classe con la parola e ascoltare la parola è l'arma più potente contro la dissoluzione del pensiero critico e illuminato sulla realtà.

La realtà, sia essa reale od onirica-fantastica-immaginaria, va indagata insieme con i giovani infischiandosene di programmi, verifiche, voti, test, risultati subitanei da raggiungere. Anche perché i risultati arrivano eccome!

"Vedere" prima, guardare poi, osservare in seguito, discutere più avanti, infine conversare e argomentare sugli aspetti della realtà in modo appassionato e laico riporta nella giusta dimensione speculativa adulti e bambini/e.

E' nel bambino/a che deve "inizare" il percorso di riconoscimento della umanità di tutti, di quella umanità che cerca nel bello e nel buono le risposte per viaggiare sicuri verso un ignoto che via via si chiarisce e quando non si chiarisce va interrogato con puntiglio e con la giusta lentezza utile a dare spazio a ipotesi, a costruzione autonoma di futuro.

Al mondo dei centri commerciali, dei giocattoli usa e getta, dei video game, del tutto e subito, quel mondo che vede bambini trascinati come valigette a correre per le corsie di un supermercato ideologico, va opposto il mondo della "passeggiata" rilassata fra le cose, quella che sa guardare in alto verso il cielo o il mare azzurro e ancora chiede perché sia azzurro, e lo indaga tramite le scienze, le poesie, la letteratura, la filosofia, la storia, la geografia, l'arte, la musica, il racconto...

E non è il numero degli argomenti affrontati nella "passeggiata" pedagogica, ma la profondità e il rigore del soffermarsi sulle proprie risposte confrontate con quelle di autori contemporanei e antichi a confronto pure essi, che fa apprendimento vero e solido.

Se con un bambino qualunque avvio una converazione su sogno (magari perché in classe qualcuno ha raccontato un "brutto sogno") e libertà (magari perché qualcuno ha detto che quando si sogna si è costretti a farlo!) e gli lascio disegnare "la sua libertà" unitamente al suo sogno e poi lo induco con la paziente attesa a parlare a lungo di ciò che ha pensato e fisso sulla carta i suoi pensieri in modo che li possa poi leggere e rielaborare, e successivamente, soltanto successivamente per non condizionarne prima l'espressione, gli presento, che so, quadri di surrealisti, senza analisi formali precoci, e gli permetto di fare ipotesi sul perché e il percome, secondo lui, sulla tela ci sono immagini stranianti, e poi leggiamo insieme la poesia di P. Eluard "Libertà" e ne cogliamo le immagini e ad esse permetto al bambino di associare le sue, e poi gli racconto la storia in cui si inseriscono tali versi e via dicendo...mi accorgo della potenza del nostro narrarci a vicenda, mi accorgo di quanto nel bambino stesso sia presente la "nostra storia", quella che Lodoli teme o auspica conclusa...

L'incanto che si può leggere negli occhi e nelle parole stupite di un bambino che si accorge di "sapere" prima del sapere formale di altri, e di non essere solo con le sue intuizioni, con le sue parole, con i suoi disegni, con i suoi incubi, con i suoi desideri di libertà e autonomia, è un regalo che lui/lei fa alla scuola e, in definitiva, al futuro.

Con ciò, non voglio dire che le difficoltà di apprendimento e insegnamento non esistano, voglio semplicemente far presente che nulla è perduto. Anzi, direi che forse il nostro presente sarebbe potentissimo nel suo rifornirci di strumenti d'indagine anche tecnologici a supporto degli approfondimenti che mettiamo in atto a scuola, se solo sapessimo selezionare tali strumenti e usarli come strategici supporti e non come dei che pretendono sottomissione di teste e programmi da svolgere.

Un tempo c'erano quei lunghi elenchi di parole dai quali attingere il lessico, alla Savaresi per intenderci: testo letterario su un aspetto della natura trattato in modo lirico, successivo contenitore lessicale a margine per l'espressione. Ecco, non certo questo oggi facciamo coi nostri alunni, Tuttavia il ridare gli occhi, la voce, le parole... alle cose belle, significative, mentre si materializzano davanti alla nostra coscienza, siano esse una cosa-farfalla o un cielo stellato, credo sia necessario, essenziale, d'obbligo. Il riflettere su di esse a lungo, il rielaborare insieme e poi il riordinare le idee con l'aiuto di storia e autori appartenenti al nostro "antico sapere" sono atti pedagogici e didattici che vanno agiti e divengono il volano per spingere in avanti questi bambini e ragazzi troppo costretti nelle gabbie dei risultati, dei prodotti verificabili, dei giochini di livello che il mondo sclerotizzato propina loro riproponendo le dinamiche adulte dei rapporti e delle visioni à la page...

Davanti a una scuola, ieri, vedevo schiere di studenti e di insegnanti, allora li ho ascoltati: parlavano di interrogazioni, di compiti in classe, di programmi più o meno onorati nella loro corposità...

Invece mi piacerebbe sentir parlare delle idee di ognuno, delle opinioni (anche fossero le più strampalate, almeno sarebbero espresse), di domande senza ancora una risposta alle quali se ne vorrebbe trovare una insieme...un bell'altrove!

In ogni caso, ritengo che non si valuti ancora fino in fondo il peso che ha avuto negli ultimi vent'anni sull'insegnamento/apprendimento lo spostamento di visione indotto, anche nei più resistenti, da una scuola degli "attesi imprevisti" alla Perticari (per intenderci) a quella degli obiettivi specifici e generali da raggiungere senza se e senza ma, della competizione, del voto, delle verifiche a crocette e dei risultati DOVUTI.


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 Pier Luigi Lunerti    - 04-11-2012
Nella stagione della crescita, mentre il corpo comincia a germinare, un ragazzo avverte una fame insaziabile di relazioni interpersonali . L’amicizia diventa la questione capitale. Il ragazzo comincia a sentire i primi battiti irregolari del suo cuore. Vive i primi conflitti con i genitori. Il gruppo diventa il suo vero punto di riferimento. In questo contesto, la Scuola (soprattutto quella secondaria), mostra sempre di più la sua inadeguatezza presentando una frattura totale fra lezioni e la vita reale. I contenuti spesso sono prioritari, diventando perfino la ragion d’essere di ogni “prova di verifica”. La logica dei contenuti si trasforma facilmente nella somministrazione di nozioni e di test di valutazione. La centralità dei programmi fa capolino ad ogni proposta riformatrice che arriva dall’alto. Come diceva un mio amico: “SI CAPISCE BENE COS’È UNA SCUOLA QUANDO LA VIVIAMO COME SE FOSSE IL LUOGO DOVE SI ENTRA COMPETITIVI, AGGRESSIVI, RAZZISTI E, DOPO AVER LAVORATO E STUDIATO INSIEME PER BISOGNI COMUNI, SI ESCE RISPETTOSI DEGLI ALTRI, AMICI, TOLLERANTI.”