Tagli con lode
Saverio Luzzi, Pietro Greco - 13-07-2012
1. Salviamo la Discoteca di Stato: firma l'appello

L'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi (ICBSA), già storica Discoteca di Stato - Museo dell'Audiovisivo, non c'è più. E' stato soppresso con il decreto legge 95 del 6 luglio 2012.

CI CHIEDIAMO:

Perché nel testo di un dispositivo legislativo finalizzato a reali risparmi a livello nazionale viene espressamente nominato un Istituto storico, unico nel nostro paese, che non ha auto blu, non effettua alcuno spreco di denaro pubblico, con un budget ridotto a livelli di sussistenza?

Perché contemporaneamente si ritiene di istituire un nuovo organismo di Istituto Centrale Sperimentale di cinematografia i cui costi prevedibili saranno incomparabilmente maggiori per le pubbliche finanze e che nulla hanno a che vedere con la tutela e la valorizzazione della nostra memoria sonora ed audiovisiva?

Perché il Ministero per i Beni e le Attività Culturali negli ultimi 10 anni ha promesso uno sviluppo dell'ICBSA (già Discoteca di Stato-Museo dell'Audiovisivo) spendendo milioni di euro per la nuova sede dell'Istituto a Palazzo della Civiltà Italiana all'EUR e ne cancella oggi le attività in modo immotivato ?

Perché non si considerano le funzioni, le competenze e le iniziative svolte dall'Istituto Centrale , tutte verificabili e riconosciute, ed alcune delle quali essenziali come il Deposito Legale dei beni sonori ed audiovisivi (L. 106 del 2004)?

Perché si annullano decine di collaborazioni con università, enti ed istituzioni culturali, anche a livello internazionale, a cui l'ICBSA ha sempre dato una disponibilità istituzionale, culturale e civile non comuni ?

Perché dimenticare uno straordinario patrimonio di quasi 500.000 supporti che mai come oggi riveste una specificità e un interesse, peraltro segnalato, a suo tempo, anche dall'Unesco nel progetto Memoria del mondo"?

Chi e come assolverà ai compiti di tutela e valorizzazione del patrimonio sonoro ed audiovisivo vista la soppressione dell'Istituto e la legittima vocazione cinematografica del nuovo Istituto Centrale?

Sono alcune domande per le quali si attende una risposta.

La convinzione è che la soppressione dell'ICBSA sia un nuovo, grave colpo alla conservazione della memoria ed alla diffusione della cultura nel nostro Paese.

Sottoscrivere questo documento sarà un aiuto per richiedere la revisione del decreto di soppressione

PER SOTTOSCRIVERE L'APPELLO INVIATE UNA E-MAIL ALL'INDIRIZZO:

nonchiudiamoicbsa@yahoo.it

CON ALL'OGGETTO "SOTTOSCRIZIONE APPELLO" E NEL TESTO NOME E COGNOME O NOME DELL'ISTITUZIONE, ENTE, ASSOCIAZIONE CHE SI RAPPRESENTA

Saverio Luzi



2. I tagli a ricerca e università sono un invito ai giovani: andatevene!

«Fujtevenne!». Andate via, finché siete in tempo, diceva trent'anni fa Eduardo De Filippo ai giovani napoletani che gli chiedevano cosa fare in una città devastata dal (dopo) terremoto e da una rapidissima deindustrializzazione. Napoli sta rinunciando al suo futuro. E l'unica prospettiva per voi giovani napoletani è andare via.
«Fujtevenne!». Sembra dire Fernando Ferroni, coraggioso presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ai giovani ricercatori che hanno appena contribuito a intercettare il «bosone di Higgs» - una delle scoperte più importanti degli ultimi decenni in fisica - e che, quasi in premio, hanno subito un drastico taglio al bilancio del loro Ente e, di conseguenza, alle loro ricerche. L'Italia sta rinunciando al suo futuro. E l'unica prospettiva per voi giovani italiani è andare via.

Che la spending review del governo abbia colpito duro il settore della ricerca (ma anche quello dell'università) sono i numeri a dirlo. L'Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), vigilato dal ministero dell'agricoltura, è stato soppresso. Non si conosce, allo stato, quale sarà la sorte dei singoli ricercatori (che intanto, per protesta, sono saliti sui tetti). Mentre i 12 enti vigilati dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca hanno subito tagli ai fondi ordinari che, per il 2012, ammonteranno a 19 milioni di euro su un bilancio complessivo che ammonta a oltre 1.400 milioni di euro. Non sembra molto: una sforbiciata inferiore all'1,4%. Ma occorre tenere in conto che interviene a metà anno. Mentre i programmi di ricerca sono già in corso. E molte spese già effettuate.

I tagli saranno maggiori nel 2013 e nel 2014, quando saliranno a 102 milioni per anno. Una diminuzione dei fondi ordinari pari al 7,3% nel 2013 e al 7,8% nel 2014. Se si considera che una parte notevole del bilancio di quasi tutti gli enti pubblici di ricerca è costituita dagli stipendi dei ricercatori (in genere, piuttosto anziani) ed è dunque incomprimibile, il risultato è chiaro: verranno sacrificati gli investimenti in ricerca e i giovani con contratto precario.

L'INFN, quello del "bosone di Higgs", vedrà ridotti in particolare il suo budget ordinario di oltre 9 milioni di euro (3,8%) nel 2012 e di 24,3 milioni (10,1%) nel 2013 e nel 2014. E questo per il semplice motivo che è stato così bravo da raggiungere un'alta percentuale di spesa in ricerca e da minimizzare la spesa per gli stipendi. La (doppia) virtù - scientifica e amministrativa - è stata punita.

Il governo ha per ora sospeso ogni decisione su eventuali altre soppressioni, con accorpamento dei ricercatori presso altri istituti. Ma restano in pre-allarme l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), i cui ricercatori per numero e qualità delle pubblicazioni scientifiche risultano i migliori d'Italia e tra i più bravi al mondo, l'a Stazione Zoologica "Anton Dohrn" di Napoli (il più antico centro di biologia marina al mondo), l'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste. Ora la soppressione con accorpamento di questi Istituti difficilmente farebbe risparmiare anche un solo euro. Anzi, come spiega Giovanni Bignami, presidente dell'INAF, in un editoriale pubblicato s La Stampa, quasi certamente produrrebbe costi aggiuntivi. In ogni caso il rischio che vadano distrutte competenze scientifiche e messi in crisi progetti di ricerca (per lo più internazionali) è elevatissimo. Una punizione non meritata per chi lavora in queste Enti e produce nuova conoscenza.

Aggiungiamo a questi il taglio ulteriore di ben 200 milioni di euro per le università (che costituisce la rete primaria di ricerca nel nostro paese), che - come ricordava Walter Tocci ieri su L'Unità - si aggiunge ai 400 milioni già decisi dal governo Berlusconi e ai 150 milioni di tagli per borse di studio e attività ricerca.
Per recuperare questi soldi, le università hanno una sola possibilità: raddoppiare le tasse di iscrizione. Scaricare sugli studenti il peso dei tagli.

Ha ragione Fernando Ferroni: il combinato disposto di queste scelte, che giungono al acme di un "tiro della cinghia" che dura da svariati anni, è un messaggio mortale per la ricerca scientifica italiana e un implicito - ma neppure troppo implicito - invito ai giovani, studenti e ricercatori: «Fujtevenne!». Per voi, in Italia, non c'è futuro.

Una simile situazione è grave in sé. E dovrebbe scatenare un dibattito serio e appassionato nel paese. A ogni livello: politico, sociale e culturale.

Ma c'è di più. Il combinato disposto di queste scelte dimostra che neppure il governo dei tecnici ha compreso qual è la causa profonda del declino economico e non solo economico dell'Italia: un declino che dura senza soluzione di continuità da vent'anni. Non abbiamo compreso che nell'era della "nuova globalizzazione" non c'è più posto per la vecchia specializzazione produttiva dell'Italia. Che non possiamo più pensare anche solo di galleggiare continuando a produrre con le nostre industrie beni a media e bassa tecnologia. Perché da quasi vent'anni, appunto, abbiamo perso i due vecchi fattori competitivi: il basso costo relativo del lavoro e una moneta debole, svalutabile a piacere. Oggi abbiamo un costo relativo del lavoro alto rispetto alla gran parte dei paesi a economia emergente e in via di sviluppo. E abbiamo l'euro: una moneta che, nonostante tutto, è molto forte. E comunque non svalutabile a piacere.

In questa situazione il declino può essere solo momentaneamente rallentato, non certamente invertito, adottando il "dumping sociale" teorizzato da molti liberisti: ovvero comprimendo il costo del lavoro e il sistema di welfare. Se vogliamo dare ai giovani italiani - gli adulti di domani - una piccola chance occorre che l'Italia impari a competere nei settori dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi ad alto tasso di conoscenza aggiunto.

Ma per fare questo occorre investire. Soprattutto nei settori della ricerca e dell'alta formazione. È quello che ha fatto la Germania solo un anno fa: a fronte di tagli al bilancio pubblico per 80 miliardi di euro, ha aumentato gli investimenti in ricerca e università di 13 miliardi di euro. È quello che sta facendo la Corea del Sud, che in appena trent'anni è passata da un numero di laureati nella fascia di età giovanile (tra i 25 e i 34 anni) inferiore al 10% nel 1980 a una percentuale monstre del 63% nel 2010. Per inciso, la Corea che un prodotto nazionale loro pari a due terzi di quello italiano, investe in ricerca e sviluppo molto più del doppi del nostro paese.

Ma non c'è solo la Corea. Paesi molto diversi tra loro - dal Canada alla Russia al Giappone - hanno percentuali di giovani (fascia di età 25-34 anni) laureati superiore al 55% del totale. La media OCSE è già al 40% ed è in crescita. L'Italia non raggiunge neppure il 20%. E da un paio di anni le iscrizioni all'università sono in caduta libera (-10% solo nell'ultimo anno).

Sulla base di questi numeri (e di questi continui tagli) proviamo a immaginare quale sarà il ruolo dell'Italia nel futuro prossimo venturo. Fra trent'anni. Da un lato avremo il mondo della conoscenza: con paesi come la Corea del Sud, il Giappone, la Russia, il Canada in cui tre persone in età da lavoro su cinque avranno una laurea. E in cui il principale fattore di sviluppo economico sarà la ricerca. In questo mondo ci saranno una serie di altri paesi - dagli Stati Uniti alla Cina, dal Sud Africa al Brasile - che tenderanno a raggiungere in un modo o nell'altro performance analoghe.

Dall'altro avremo gli "esclusi dalla conoscenza". Paesi dove il numero di laureati in età da lavoro supererà appena il 10%. In cui i beni e i servizi prodotti saranno sempre meno e sempre meno importanti. Paesi che dovranno sperare di sopravvivere continuando a comprimere stipendi e welfare. È questo il futuro dell'Italia che stiamo costruendo.

Se non cambiamo rapidamente questa condizione, se l'Italia - patria di Dante e di Galileo, di Leopardi e di Fermi, di Umberto Eco e degli scopritori del "bosone di Higgs" - non si ricorderà nei prossimi mesi di avere nella conoscenza il suo maggiore e ormai unico potenziale, potremo dare ai nostri figli - non solo ai migliori cervelli, che pure continuiamo a produrre in abbondanza, ma a tutti - un solo realistico consiglio: fujtevenne!

Pietro Greco


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