Giuseppe Aragno - 18-05-2012 |
E' così bello, così amaramente bello e profondo, che non saprò mai trovare un commento adeguato. |
Giuseppe Riccobono insegnante - 20-05-2012 |
Rispetto e condivido l'amarezza di Carla ma non la sua rassegnazione finale. Molti tanti colleghi hanno opposto un netto rifiuto al tentativo di imporre, con la forza di un'autorità senza fondamento o con le lusinghe, uno strumento devastante di spersonalizzazione del nostro lavoro e di riproduzione seriale delle metodologie dei processi formativi. Insieme hanno avuto la forza di scacciare la nausea e di difendere la buona didattica che conoscono. Aggiungo, assumendomi in tutta coscienza il rischio dell'argomentazione, quanti test a crocetta dovremo fare per cercare di aiutare le nostre ragazze e i nostri ragazzi a capire la lucida/cieca, folle, vile brutalità che ci ha aggredito? Se non saremo più in grado di “farglielo” capire prima non potremo mai più dopo “spiegarglielo”. Potevi, puoi, possiamo anzi non possiamo farne a meno. |
Paolo Pilotto - 20-05-2012 |
Beh, non esageriamo... Faccio l'insegnante, ho fatto assistenza alle prove Invalsi e aiutato a tabulare i risultati... lungo impegnativo e tutto quello che vuoi. Ma questo non mi ha distrutto e men che meno ha tolto qualcosa alla dignità del mio lavoro. I ragazzi seguono bene le mie lezioni, il nostro rapporto è fondato sul rispetto e sulla cultura. Le prove Invalsi possono essere criticabili, migliorabili, sostituibili... ma non sarà per le Invalsi che il mio mestiere risulterà squalificato. Coraggio. Non esageriamo. Altrimenti le critiche vere saranno confuse con quelle sterili e i cambiamenti ancora più difficili... E piantiamo con le pseudo patologie da insegnamento. Siamo dei professionisti veri, e abbiamo il senso della misura... |
Carla Giulia - 23-05-2012 |
Nessuna rassegnazione, nessuna paura di essere valutata, avrei potuto scioperare con i COBAS? Sì, ci avevo pensato ma lo sciopero non era stato revocato? (questo è stato comunicato ufficialmente nella scuola dove insegno). A testimonianza di ciò che ho scritto sopra, vi riporto una sintesi del mio intervento a sfavore del progetto VALeS (www.istruzione.it ) fatto in sede di riunione collegiale (non svelo un segreto d'ufficio, scrivo ciò che penso, mi auguro si possa ancora fare in questo nostro PAESE): “comprendo la posizione favorevole al progetto del dirigente scolastico ma, come insegnante, non posso condividerla. Aderire al progetto VALeS significa applicare il sistema della qualità totale (TQM = total quality management) alla scuola, il che vuol dire applicare i criteri di valutazione, utilizzati per le aziende, alla valutazione dell’apprendimento. Faccio notare che in questo contesto lo studente è definito cliente. Poiché io penso che le parole siano importanti, e che non siano utilizzate a “casaccio”, deduco che ricorrere al termine cliente per etichettare l’alunno sia fatto per concretizzare la trasformazione dell’istruzione da diritto a merce (destino anche della salute, dell’acqua, della cultura ecc… coerente con le scelte politico-economiche che caratterizzano questo nostro tempo). Il preside ci invita ad aderire a tale progetto prima che diventi obbligatorio e motiva questo suo “caldeggiarlo”, dicendo che partecipare da subito ci consentirà di “governare questo innovativo processo”. Ebbene, con tali motivazioni, più volte, ho partecipato ad attività sperimentali e/o di formazione (compresa quella per la certificazione della qualità dell’istituzione scolastica : ISO 9001 e per ben due anni!) e così ho potuto rendermi conto del fatto che in realtà, anche in questo caso, anzi probabilmente più che mai ora, gli insegnanti sono chiamati ad applicare diligentemente e acriticamente processi, non certo a governarli. A proposito della valutazione della qualità dell’apprendimento, preciso di non aver mai sostenuto l’autoreferenzialità della scuola (accusa che spesso viene rivolta ai docenti critici nei confronti di certe proposte come quella che ci viene fatta oggi ) ma mi chiedo chi valuterà, con quali competenze e sulla base di quali criteri. La domanda è retorica in quanto si sa già che l’apprendimento sarà valutato attraverso le prove INVALSI. Prove di cui metto in discussione validità e significatività, in quanto si presentano come “oggettive”, ma questa sbandierata oggettività non si basa su alcuna ricerca scientifica che le possa dichiarare tali e soprattutto, e questo è l’ aspetto che più mi preoccupa, essendo uguali per tutti gli studenti italiani, e decise “lontano” dalle singole realtà scolastiche, tali prove non consentiranno di tenere conto e di valorizzare le specificità, le differenze degli studenti, delle classi, degli insegnanti, del territorio… (risorsa e non vincolo). Faccio notare inoltre, come uno strumento che omologa e che omogeneizza, qual è la prova INVALSI, non può certo essere considerato coerente con una scuola che in tutti i documenti viene definita autonoma”. Aggiungo che da molti anni, per verificare l’apprendimento, utilizzo anche test strutturati (a risposta chiusa) e che pertanto il mio criticare i test INVALSI non dipende da un’antipatia pregiudiziale nei confronti di una tipologia di quesito/verifica. Preciso tuttavia che i quesiti costruiti dagli insegnanti, per le classi con le quali si confrontano quotidianamente, sono formulati tenendo conto degli obiettivi perseguiti e di come si è svolta l’attività didattica. I “nostri” test sono fedeli, validi e significativi, e in quanto tali non sono paragonabili ai QUIZ televisivi e nemmeno a quelli INVALSI. |
Paolo Buccheri - 24-05-2012 |
A che servono le prove invalsi? Forse che i collegi docenti non sanno chi lavora e sa lavorare e chi no? (se vogliamo parlare di controlli interni). Il problema, la "misura" consiste nel fatto che non accettiamo le tipologie di valutazione cui l' invalsi, e chi per esso, si ispira. Non accettiamo quella casella da cui la crocetta non può debordare e non riusciamo a dimenticare l'importanza del pensiero laterale e creativo... Quindi le prove sono la negazione del nostro duro lavoro. |