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C'era una volta il compostaggio
Giovanni Messina, Legambiente - 30-04-2012
Abito in una zona periferica di un paese, Acerra, che era rurale ed ora è diventato un agglomerato di case a più piani, alcune con giardino, altre inghiottite tutte intorno dal cemento.
Qui una volta c'era il compostaggio. Bucce di banana e di arancia finivano in un mucchietto in un angolo ombroso del campo di lavoro. Quanto considerato "rifiuto" diventava ghiotto banchetto per batteri, funghi, vermi e insetti. Nel giro di qualche settimana il mucchietto si riduceva da sé, lasciando al suo posto una preziosa eredità di humus: carbonio, azoto, fosforo, potassio. Nuovo nutrimento per i vegetali circostanti. Così funziona il ciclo della vita da almeno un miliardo di anni, ben prima della tarda comparsa dell'uomo. I miei nonni e bisnonni, pur non conoscendo la chimica, la termodinamica ambientale e la microbiologia, avevano capito che se i "rifiuti" organici non tornano alla terra, dopo un po' accadono due cose: da un lato il suolo si impoverisce, dall'altro ci si trova sepolti dai nostri stessi scarti.

Abbiamo studiato i complessi meccanismi che reggono l'universo, eppure sbagliamo più di quando non sapevamo. L'azione di gettare nel cassonetto il sacco di plastica pieno di foglie verdi di lattuga diventa oggi abitudine in chi fino a ieri era estraneo, sulla scorta del buon senso e della tradizione, alla pratica dell'usa e getta. Una sconfitta culturale e sociale. Molti anziani che avevano la saggezza di una vita da trasferire al cittadino a cui la scuola non sa insegnare con la pratica (di riflessione e azione) come funziona la vita, proprio loro copiano il gesto peggiore della società attuale e non se ne danno pena.

C'era una volta il compostaggio. Seguì un tempo in cui gli uomini facevano tutto in fretta. Andavano sempre in macchina, ognuno da solo, per non aspettare altre persone. In casa tenevano sempre le luci accese per non perdere tempo a spegnerle. Anche la televisione era sempre accesa, e ogni casa aveva tante televisioni, quanti erano gli abitanti. In quel tempo, che è anche il nostro tempo, gli uomini volevano sempre provare ogni novità di cose da mangiare, di vestiti, di macchine e moto, di computer ed elettrodomestici, e finivano per passare quasi tutto il loro tempo libero nei negozi e supermercati. In quel tempo (il nostro tempo) sulle strade il traffico era sempre impazzito, i cassonetti erano sempre pieni di scatole e scatoloni dei nuovi acquisti.

Il compostaggio permette di riprodurre in piccola scala quanto avviene in natura, cioè la trasformazione dei residui organici in humus.
Nella preparazione del composto possiamo utilizzare qualsiasi sostanza di origine organica: dai residui dell'orto e del giardino (piccole fronde, paglia, sfalcio di prato, residui di potatura, ecc,) agli avanzi di cucina (fondi di caffè, gusci di uova, scarti di frutta e verdura)
Fino alle vinacce, alla segatura, alla cenere della stufa a legna, alla fuliggine dei camini e naturalmente a qualsiasi tipo di letame è possibile aggiungere anche in piccole quantità pezzetti di cartone ondulato.

L'azione quotidiana di sbarazzarci delle bucce di banane e arancia e delle foglie di lattuga ponendole nei sacchi di plastica isola il materiale organico dal mondo esterno e lo sottrae alla chiusura naturale del ciclo.
In quel sacco di plastica è racchiusa tutta la nostra ignoranza, la nostra indifferenza, la nostra arroganza nei confronti delle leggi fisiche che ci permettono di esistere.
Se poi pensiamo che questo gesto è espressione del momento storico di nostra massima prosperità economica e di progresso culturale, non possiamo fare a meno di rilevare una profonda contraddizione.

I rifiuti sono utili per il circolo produttivo e sono da considerarsi una ricchezza per un paese. Lo aveva capito lo scrittore tedesco Goethe, grande amante dell'Italia e della Sicilia, che così scriveva a Napoli il 27 Maggio 1787 nel suo libro "Viaggio in Italia":
«Moltissimi sono coloro - parte di mezza età, parte ancora ragazzi e per lo più vestiti poveramente - che trovano lavoro trasportando le immondizie fuori città a dorso d'animo. Tutta la campagna che circonda Napoli è un solo giardino d'ortaggi, ed è un godimento vedere le quantità incredibili di legumi che affluiscono nei giorni di mercato, e come gli uomini si dian da fare a riportare subito nei campi l'eccedenza respinta dai cuochi, accelerando in tal modo il circolo produttivo. Lo spettacoloso consumo di verdura fa si che gran parte dei rifiuti cittadini consista di torsoli e foglie di cavolfiori, broccoli, carciofi, verze, insalate e aglio, e sono rifiuti straordinariamente ricercati. I due grossi canestri flessibili che gli asini portano appesi al dorso vengono non solo inzeppati fino all'orlo, ma su ciascuno d'essi viene eretto con perizia un cumulo imponente. Nessun orto può fare a meno dell'asino. Per tutto il giorno un servo, un garzone, a volte il padrone stesso vanno e vengono senza tregua dalla città, che ad ogni ora costituisce una miniera preziosa. E con quanta cura raccattano lo sterco di cavalli e di muli! A malincuore abbandonano le strade quando si fa buio, e i ricchi che a mezzanotte escono dall'Opera certo non pensano che già prima dello spuntar dell'alba qualcuno si metterà a inseguire diligentemente le tracce dei loro cavalli. A quanto m'hanno assicurato, se due o tre di questi uomini, di comune accordo, comprano un asino e affittano da un medio possidente un palmo di terra in cui piantar cavoli, in breve tempo, lavorando sodo in questo clima propizio dove la vegetazione cresce inarrestabile, riescono a sviluppare considerevolmente la loro attività. »

Oggi che in Campania l'emergenza rifiuti tocca punte molto alte portando gli abitanti di molti comuni a protestare e lottare per salvaguardare i propri territori da discariche e inceneritori, la testimonianza di Goethe giunge a noi come una grande lezione.
Lo scrittore racconta le fasi dello smaltimento dei rifiuti, esaltando la Campania di più di due secoli fa, territorio che sapeva come riciclare la propria "monnezza". Tutto questo quando ancora mancavano ben 80 anni all'Unità di Italia.

C'era una volta il compostaggio...e dunque ancora ci sarà se insieme arrestiamo il passo in questa corsa veloce contro il tempo.
Ritornare alla pratica del compostaggio comporta necessariamente un altro orizzonte di senso. Il concetto delle trasformazioni silenziose. Una pratica che rimanda a una riflessione intorno ai concetti di trasformazione, cambiamento, divenire.
Ci sono cose che cambiano e cose che rimangono sempre le stesse. Da un estremo stanno coloro i quali ritengono che nulla cambi, che il cambiamento è una mera apparenza: la realtà permane sempre uguale a se stessa. La concezione dell'essere di Parmenide e la teoria platonica delle "idee" eterne sono esempi di questo tipo. Dall'altro estremo stanno quelli che affermano che invece tutto cambia. Per loro nulla resta invariato, nulla esiste oltre al divenire, al cambiamento in se stesso. Le cose che ci paiono rimanere uguali in realtà cambiano più lentamente delle altre, così che non riusciamo a percepire il loro divenire.

Divenire: concetto filosofico opposto a quello di essere, quando questo ultimo sia concepito come eternamente immobile e sottratto a ogni mutazione. A tale concezione dell'essere, sostenuta già nella prima fase evolutiva del pensiero greco dalla scuola eleatica, si contrappone infatti la dottrina della scuola eraclitea, secondo la quale tutta la realtà del mondo non è che un perenne divenire. («tutto scorre»). http://www.treccani.it/enciclopedia/divenire/


Da I dialoghi del film "Giordano Bruno" di Giuliano Montaldo (1973):

ARSENALOTTO: El poderà parlar! Anca se semo mone e no capimo niente!... El gaverà... El diritto... De parlar Eh?
BRUNO: Beh, io volevo soltanto sapere. Posso chiedere di che colore è il latte?
ARSENALOTTO: Bianco.
BRUNO: E allora lui quando pensa al latte, pensa bianco. E chi lo fa questo latte?
ARSENALOTTO: La vacca.
BRUNO: E che cosa mangia questa vacca?
ARSENALOTTO: Erba.
BRUNO: Prato... Pioggia... Nuvole... Cielo...
BRUNO: Cielo.... Nuvole... Pioggia.... Prato... Erba... Muuuuh! Vacca... latte.

Nel compostaggio la trasformazione rappresenterà, a monte, la maturazione ancora invisibile della mutazione dei rifiuti, a valle, il fatto che la mutazione si è tanto estesa da non essere più visibile. Così mentre la modificazione è la parte emergente della mutazione, la trasformazione ne è la parte continuamente invisibile. La trasformazione è quindi a un tempo troppo discreta per apparire all'osservatore esterno, poi troppo ferma, nel suo risultato, perché si possa ancora cogliere la differenza. Fra il momento in cui non ha ancora avuto accesso al visibile e quello in cui si è troppo mostrata e confusa all'interno del visibile perché si possa distinguere ancora, la trasformazione offre uno stretto interstizio di percettibilità; è per questo che occorre essere vigili nello scrutarla.

Spesso succede che le persone non siano d'accordo sul fatto che sia successo o no un cambiamento. Questo perché non hanno un criterio comune su cosa considerare un cambiamento.
Accarezzi un cane. È cambiato qualcosa in lui? E in te?
Guardi i cumuli di rifiuti ai lati della strada. È cambiato qualcosa per il fatto che li hai guardati o tutto è rimasto identico?
Capire innanzitutto che chi vede (chi sa) non è più innocente. Avere chiaro l'azione dello sguardo, che nel momento in cui si "mette a vedere", perde la sua innocenza.

Tags: compostaggio, educazione ambientale


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