Alcuni appunti sull'approccio interculturale nelle Scuole della Repubblica
Gennaro Tedesco - 20-02-2012
Dopo tanta teoria, poco e mal studiata e soprattutto non metabolizzata, su una intercultura di cui nelle Scuole ma anche in non poche Università si conoscono solo le maldestre interpretazioni di sporadici e non sempre sperimentali maestri, senza rimandare studenti e docenti alle fonti originarie e originali e senza mai aver visto e praticato un extracomunitario nel suo luogo e contesto d'origine oltre che nel "territorio", per usare un'espressione alla moda di sapore "federalista" (giacchè nel Bel Paese, fortunatamente in questo caso, tutto si riduce a vuoto propagandismo) credo che sia giunto il momento di tentare di "carnalizzare" , rendendoli meno ectoplasmatici dei ragazzi extracomunitari intravisti nelle nebbie e nelle brume gassose delle elucubrazioni e sofisticazioni di non pochi docenti e dirigenti, alcuni punti dell'approccio interculturale nelle Scuole della Repubblica.

Innanzitutto quali programmi, quali curricoli? Non sembra proprio che quelli vigenti e operanti nelle nostre Scuole, per quanto continuamente rivisti, aggiornati e rimodellati, siano all'altezza della sfida mondiale posta dall'impatto planetario e dall'accelerazione della globalizzazione e dall'apertura concettuale delle teorie della complessità. In essi vi è totale assenza di interdisciplinarizzazione e mondializzazione assunta a pratica di apprendimento. La Globalizzazione e le Teorie della Complessità hanno abbattuto contemporaneamente barriere e confini geografici oltre che le paratie stagne delle discipline, ma di tutto ciò nei nostri curricoli non vi è alcuna traccia praticabile a parte, nella migliore delle ipotesi, qualche maldestro e contraddittorio enunciato teorico che lascia il tempo che trova .

Quale formazione per i docenti? Ci si può proporre come guide e facilitatori nei confronti di allievi extracomunitari che posseggono almeno due esperienze e pratiche di vita mentre i nostri docenti non solo scolastici ne posseggono a stento una, tra l'altro, in molti casi inficiata pure da un provincialismo territorialistico e mentale? Non è soltanto una questione di mancanza o carenza di docenti di diverse origini o di diverse lingue madri . Per cominciare ad affrontare l'annoso problema della formazione dei docenti non solo scolastici con qualche probabilità di successo, dobbiamo riorientare totalmente il senso di marcia dei nostri docenti: l'avvicinamento all'agognata cattedra comporta l'allontanamento formativo obbligatorio in "Terre assai lontane" nelle dolenti contrade dei Migranti a strettissimo contatto con le loro realtà di provenienza. Una ineludibile e pur necessaria Rivoluzione formativa che, tra l'altro, consentirebbe di scegliere docenti la cui vocazione sarebbe veificata e convalidata dall'accettazione e dall'esperienza dell'allontanamento formativ .

Ancora identità e senso di appartenenza, pur in un contesto di ineludibile e necessario confronto imposto dalle circostanze dell'ambiente-classe in una Scuola italiana (ma anche Università) che sembra ancora subire e vivere come un vincolo la "scelta" dell'eterogeneità e della diversità piuttosto che avvertirla come una risorsa, un'occasione irripetibile di ricchezza formativa educativa e culturale, come preservazione di essenze e sostanze eterne e di radici monolitiche e univoche mai possedute e mai storicamente esistite? A noi pare che , anche quando tra i più 'illuminati" della nostra intellighenzia non solo pedagogica si enfatizzi la necessità e la bontà del "mescolamento" o "rimescolamento", del confronto e del dialogo tra "noi" e "loro", ci sia sempre un grosso equivoco che non è solo teorico purtroppo .
Non è questione di sostanze ed essenze identitarie o di inespugnabili trincee di appartenenza immutabili ed eterne entro cui rifugiarci per difenderci dal diverso da "noi", che non esistono e non sono mai esistite se non nelle teste di cemento armato e nelle mani lorde e insanguinate di xenofobi, nazionalisti e fondamentalisti, ma di capire e soprattutto praticare, a cominciare dalle aule scolastiche e universitarie, ma non solo, un vissuto interculturale che è veramente tale quando è carne e sangue che non si incontra semplicemente con l'altro per preservare, pur accettando l'altro, se stesso , ma che diventa impatto anche doloroso che trasforma te stesso e l'altro. Non più sostanze ed essenze che carinamente e superficialmente si incontrano, preservandosi a vicenda, quasi intimorite da eventuali totali immersioni negli abissi senza fondo delle profondità umane, ma ibridazioni e contaminazioni di nature umane prima che culturali, carne e sangue appunto. In questo ancora una volta superati noi occidentali europei ed americani dalle civiltà orientali. Alludo, in questo caso, a Bali dove credo di aver appreso una piccola grande lezione totalmente e prepotentemente umana: il naturalismo e l'animismo balinese sono cunei che penetrano e attraversano le croste e le corazze occidentali per giungere direttamente al "cuore", cioè, se così si può dire, dato che è difficile in questo campo tra l'antropologico e l'esperienziale trovare, se esiston, parole adatte e consone a rendere appunto l' "esperienza" , cioè alla "natura terrestre", mammifera dell'uomo .
Forse è questo che temevano e continuano a temere i tanti pastori e preti cristiani che ancora oggi sulla diabolica e pagana, cioè concreta isola , tentano di convertire, fortunatamente non riuscendoci, tante anime " in pena " "perdute" nella loro infima "terrestrità" che immediatamente ti fagocita come uno di "loro", cioè uno che per "patria", prima del mondo, possiede la madre natura .
Identità e appartenenze sono solo costruzioni e finzioni intellettualistiche, politiche e propagandistiche utili ai potenti di turno per dividere e dominare i popoli. L'adulto, prima adolescente e scolaro, attraversa la vita e il mondo e comprende quest'ultimo, se stesso e "l'altro" non con l'invenzione, la fabbricazione e la finzione dell'identità inossidabile e monolitica che non esiste, ma con la rottura e l'abbattimento dei "confini", con la caleidoscopica e poliedrica proliferazione e moltiplicazione delle esperienze dell'"altro" che lo trasformano in un eterno, dinamico, polimorfico e complesso divenire. Ma è proprio questo che temono i fondamentalisti della religione e della ragione,
il flusso incontenibile ed inarrestabile della vita metamorfica e trasformatrice che rende l'uomo sempre diverso da se stesso e alla continua ricerca di se stesso e dell'altro da se senza ancoraggi definitivi a "fondamenta" di alcun genere. Ed è a questo e non ad altro che una Scuola e un'Università davvero interculturali dovrebbero educare e formare gli allievi .

Cosmopolitizzazione ? Ma se al centro della nostra Scuola e della nostra Università l'unico "avanzato" dibattito in corso è quello sull'educazione civica e sull'educazione alla cittadinanza. Non mi sembra nemmeno pensabile e tanto meno agibile il concetto e la pratica di cosmopolitizzazione in una Scuola e in una Università ripiegate su se stesse all'inseguimento di bieche e ristrette nozioni pragmatistiche di civismo, di regolamenti e di microcomportamenti patrio-istituzionalistici e microscopiche buone pratiche e all'insegna del patriottismo costituzionale , mentre la stessa Unione Europea non riesce nemmeno a concettualizzare nei suoi Trattati, Carte e simili la valanga inarrestabile non solo economica della Cosmopolitizzazione travolgente che avanza impetuosa e straripante nelle forme aggressive del Dragone Cinese e dell'Elefante Indiano .
Nella Città Mondiale gli allievi assumono punti di vista diversi , basati sulla conoscenza , frequentazione , esperienza e pratica della differenza che non risiede solo nella classe e nel "territorio" , ma anche e soprattutto in luoghi lontani e dissimili dai "propri" , consapevoli di "appartenere"a una sola Comunità contemporaneamente naturale ed umana che, forse, metafisicamente , aspira a divenire Assoluta.
Ma di tutto ciò nella nostra Scuola e nella nostra Università non si intravede non solo l'ombra, ma nemmeno la penombra.

La nostra Scuola, insieme all'Università, pur incessantemente "riformata" almeno apparentemente e propagandisticamente nelle sue architetture ordinamentali, nel suo ordinamento gerarchico, contribuisce in qualche modo a concretizzare l'approccio interculturale ?
Negli ultimi anni, di fronte all'imperversare e all'acutizzarsi di una reazione educativa oltre che politica evidente non solo nella Repubblica, ma anche in Europa e in America, le stesse Scuole elementari e medie, in tempi non lontani caratterizzate da modelli universalistici ed inclusivi, si sono avviate e incamminate sul sentiero stretto, impervio e subdolo di un neodisciplinarismo precoce e selettivo all'insegna di un nozionismo perduto e finalmente ritrovato che, evidentemente, premia in partenza i più "fortunati" socialmente e i più "dotati" di censo. Un solo esempio: la dislessia non è più un problema relazionale, comunicativo e sociale, ma una predisposizione genetica! Se è così, allora la maggior parte degli albanesi, dei rumeni, dei marocchini, dei tunisini, ecc...., con le loro ovvie e scontate difficoltà linguistiche, espressive e comportamentali, finiscono col divenire i candidati più probabili ad una nuova e più pericolosa specie di ghettizzazione, quella genetica. Lo spettro brutale di Hitler ritorna a materializzarsi tra di noi per indicarci la via maestra, quella del Lager .
Se questa è la situazione di accoglienza al diverso nella Scuola di Base , peggio ancora nelle Superiori. Un solo caso ed esempio: il Liceo, meglio, o peggio, classico. Qui vige lo sterminio di massa del più debole, se solo per un mero incidente o accidente un adolescente socialmente fragile si arrischia a iscriversi e a frequentare questo Giardino delle delizie che è il Liceo Classico. Qui non solo l'eventuale allievo extracomunitario, come del resto quello "nazionale" cioè l'italiano, si troverebbe sbarrato il passo da un modello educativo pregiudizialmente selettivo ed elitario, ma si verrebbe a trovare anche nella condizione, specialmente se islamico, indù o buddista , di dover subire l'imposizione coatta di una dottrina occidentale identificabile ed identificata nell'esclusivismo settario oltre che ideologico dell'identitarismo classico e cristiano riversato, coniugato, declinato e propagandato nella versione italocentrica e ed eurocentrica . Un delirio xenofobo !

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